Quando qualche tempo hanno annunciato che per tre giorni sarebbero tornati al cinema, in un’unica “soluzione”, Evangelion: Death (True)2 e The End of Evangelion un piccolo brivido mi è corso lungo la schiena. E, badate bene, un brivido di assoluto piacere. Già perché Eva (che ha da poco festeggiato i 25 anni e di cui vi abbiamo parlato qui) non è semplicemente una serie animata ma quella specie di “cavallo di Troia” che si può evocare a piacere quando qualcuno, magari in modo sprovveduto, pronuncia la frase: “Sì ma dai, ancora con questi cartoni giapponesi”.
Ecco andare al cinema a vedere la creatura di Hideaki Anno penso proprio sia la mossa finale per fugare ogni possibile dubbio di questi miscredenti. Death (True)2 e The End of Evangelion, rispettivamente il riassunto cinematografico della serie animata e l’allargamento filmico degli ultimi due episodi, sono infatti una vera e propria apoteosi della settima arte. Tralasciando per un momento le ripercussioni che la serie ha avuto in Giappone e nel mondo, Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time, l’ultimo film uscito, per esempio, ha riscosso il più grande successo di pubblico di sempre, Eva al cinema è una figata atomica. E i motivi sono semplici: sul grande schermo il montaggio serratissimo di Death (True)2 è una vera e propria goduria per gli occhi.
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Senza soluzione di continuità sul grande schermo scorrono le varie puntate, super sintetizzate e con il trait d’union rappresentato dal concerto d’archi che i protagonisti della serie, Shinji Ikari, Rei Ayanami, Asuka Sōryū Langley e Kaworu Nagisa si mettono appunto a suonare assieme. Tuttavia, il concerto grosso arriva con The End of Evangelion.
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Qui la follia, anche e soprattutto concettuale e registica di Anno, si esprime alla massima potenza con la sequenza finale che, non ho timore ad ameterlo, va dritto dritto nella storia della cinematografia mondiale, non soltanto di quella animata e orientale.The End of Evangelion non solo “ridona” un finale alla serie, perfettamente congruo e diegetico all’intonazione generale dell’opera, ma compie anche un passo in avanti verso nella propria epopea visuale tramite una serie di animazioni del tutto fuori di testa, allusioni più o meno dichiarate alla sfera sessuale e un sacco di rimandi alla filosofia della morte, all’immanenza e alla paura degli altri.
Guardarlo al cinema, rispetto allo schermo del pc di casa è, inutile che ve lo dica, tutta un’altra storia. Si rimane come impietriti sulla poltrona della sala, ammirati verso una forma d’arte che fonde la musica e il teatro d’avanguardia, che riecheggia della filosofia di Schopenhauer ibridata con riferimenti cristiani e cristologici e un sacco di contaminazioni dell’ansia di vivere dell’essere umano contemporaneo. Insomma, soltanto per i venti minuti finali di The End of Eva un passaggio al cinema è d’obbligo: quando ne uscirete mi ringraziarete, ne sono certo, perché, proprio come dice Kaworu:
Senza conoscere altre persone non è possibile né tradirsi né ferirsi l’un l’altro, però… non è neanche possibile dimenticare la solitudine. Gli esseri umani non potranno mai affrancarsi dalla solitudine. Del resto ogni uomo è comunque solo. Ed è soltanto poiché è possibile dimenticarlo che gli uomini riescono a vivere.