No, non siamo diventati improvvisamente Alberto Angela, ma questa domanda ce la siamo fatta un po’ tutti, in seguito ai nubifragi che si sono abbattuti nelle nostre città in questo primo mese estivo. Può esistere un anno senza estate? La risposta è sì.
Il 1816 è chiamato anche Eighteen hundred and froze to death (1800 e si moriva di freddo nei paesi di lingua inglese), oppure l’anno della povertà, un’altra analogia coi tempi moderni. Gravi anomalie al clima estivo distrussero i raccolti nell’Europa settentrionale, in Canada orientale e nel nord-est degli Stati Uniti.
Lo storico John D. Post lo ha battezzato “l’ultima grande crisi di sopravvivenza nel mondo occidentale”.
Oggi si ritiene che le aberrazioni climatiche furono causate dall’eruzione vulcanica del Tambora, nell’isola di Sumbawa dell’attuale Indonesia (allora Indie olandesi), avvenuta dal 5 al 15 aprile 1815, eruzione che immise grandi quantità di cenere vulcanica negli strati superiori dell’atmosfera. Il vulcano Soufrière nell’isola di Saint Vincent nei Caraibi nel 1812, e il Mayonnelle Filippine nel 1814, avevano già eruttato abbondanti polveri nell’atmosfera. Come è comune a seguito di grandi eruzioni vulcaniche, la temperatura globale si abbassò poiché la luce solare faticava ad attraversare l’atmosfera. Tali fenomeni si sovrapposero ad un periodo in cui si verificò il Minimo di Dalton in cui si ritiene che il sole abbia emanato meno energia. [via]
Durante le incessanti nevicate nel luglio del 1816, Mary Shelley scrisse “Frankenstein” e John William Polidori scrisse “Il Vampiro”. Come a dire che non tutto il male vien per nuocere. I livelli di cenere di quell’anno furono altissimi e resero i tramonti spettacolari, come testimoniano i dipinti di J.M.W. Turner
Quello seguente è un documentario della Rai sul tema:
Stiamo sereni, quest’anno l’estate arriverà. Oppure scriveremo un nuovo Frankenstein.