Quando abbiamo saputo che Rizzoli Lizard avrebbe pubblicato un nuovo libro di Craig Thompson l’hype è scattato in modo del tutto naturale. Per chi, come noi, ha letteralmente adorato ogni pagina di Blankets era abbastanza ovvio aspettarsi un nuovo capolavoro dall’autore statunitense. E possiamo dirvelo senza girarci troppo intorno, questo libro è un altro capolavoro. Ma non come ce lo saremmo aspettati. Infatti tanto è stato immediato e viscerale l’amore per l’opera precedente, tanto l’affetto nei confronti di questa è stato lento, per così dire, cerebrale.
Ginseng Roots è un’opera radicalmente differente da Blankets. Blankets, salutata, tra gli altri, dal Premio Strega Nicola Lagioia come uno “dei grandi capolavori della narrativa degli ultimi vent’anni”, era una sublime storia di formazione dell’autore protagonista del suo stesso racconto. Qui il set è più o meno lo stesso anche se il “nostro” protagonista è cresciuto rispetto all’opera precedente. Ma la vera differenza non è questa, se Blankets era una storia intima e personale, Ginseng Roots è una storia corale e (auto)biografica della complessità etnica e sociale di una buona fetta degli Stati Uniti d’America. Attraverso l’esplicazione, anche molto dettagliata, pagina dopo pagina della coltivazione del ginseng (per altro si imparano un sacco di cose su questa formidabile pianta) Thompson presenta persone e personaggi che hanno punteggiato la propria vita, ergendoli a icone della storia americana ma senza mai far perdere loro un briciolo di umanità.
Come si può evincere dalle nostre foto in Ginseng Roots la dominanza cromatica è rappresentato dal nero delle figure e, soprattutto, dal rosso delle piante del ginseng, che non punteggiano solo gli scenari dell’opera ma ne segnano anche l’ideologia e l’ispirazione. Con una narrativa che, costantemente, va avanti e indietro nel tempo la lettura rispetto a Blankets è certamente più ardua, con momenti più spezzati e tanto, tantissimo testo da leggere. All’inizio questa scelta ci aveva fatto se non storcere quantomeno alzare più di un sopracciglio (stile Carletto Ancelotti), solo dopo aver terminato la storia abbiamo compreso quanto tale scelta sia stata azzeccata.
Pagina dopo pagina abbiamo capito come Thompson invece di ripetere la formula di successo di Blankets sia andato ancora più in profondità nel suo metodo narrativo, occupandosi della storia del proprio Paese “tradotta” tramite la coltivazione della pianta del ginseng. Una pianta che viene dalla Cina ma che era già conosciuta dalle popolazioni autoctone dell’America. Così la storia dei due fratelli che lavorano i campi si mescola con la Storia con la “s” maiuscola degli Stati Uniti e la trama si apre a temi “politici” come l’immigrazione, la guerra del Vietnam e quella in Corea e la religione. Craig Thompson insomma, pur cambiando tutto, non sbaglia niente e ci fa innamorare di nuovo, con una qualità intrinseca dei disegni, tra l’altro, che migliora ancora rispetto a Blankets. Inutile dirvi che, se fossimo in voi, correremmo in fumetteria a pigliarne una copia. Anzi due, se volete bene a qualcuno e volete farle/gli un bel regalo.