Geek
di Mattia Nesto 23 Maggio 2022

Dolmen: uno space-soulslike tra luci, ombre e cristalli

Apparentemente Dolmen pareva essere l’anello di congiunzione tra Dark Souls e Dead Space: purtroppo le aspettative non sono state confermate.

Un impatto scenico interessante  Un impatto scenico interessante

 

Che Domen dei Massive Work Studio fosse un esperimento di unione tra un setting à la Dead Space e un comparto ludico à la Dark Souls non occorreva certo un comunicato stampa ufficiale per capirlo. Eppure il titolo dei Massive Work Studio è sì, in un certo senso, proprio questo, ovvero un tentativo di ibridare due marchi videoludici di successo in un unico prodotto, con però un distinguo fondamentale: purtroppo l’esperimento non è pienamente riuscito, anzi.

Eppure il primo paio di ore vanno via che è una bellezza grazie a un combat-system che i veterani dei souls riconosceranno immediatamente. C’è la parata infatti, l’iconico roll e tutto quelle operazioni di spacing-parata-attacco tipiche della primigenia avventura ambientata a Lordran. Ma qui, invece di Lordran, siamo nel bel pezzo di un inquietante portale spaziale che si è aperto in un’astronave merci e saremo chiamati a indagare sulle misteriose, e letali, creature che lo popolano. E qui iniziano i primi problemi: infatti Dolmen è veramente un gioco che “ripete se stesso”. Infatti, dopo le già citate due orette di gioco, i nemici e gli avversari saranno stati talmente tanto “già” visti e “già” combattuti che il rischio di posare il pad a terra in mano per poi non riprenderlo più è considerevole.

Poca mobilità ma colpi devastanti  Poca mobilità ma colpi devastanti

Già perché se è vero come è vero che a livello di ambienti Dolmen sa il fatto suo, regalandoci scorci molto interessanti, la sensazione del “già visto” “già conosciuto” è anche in questo “settore” un ritornello che, volenti o nolenti, sentiremo presto. Un peccato perché, al netto di una trama di gioco che certamente non raggiunge chissà quali piccoli, la sensazione di avere tra le mani un titolo comunque hardcore, con specifiche meccaniche punitive è, forse, la cosa più intrigante e stimolante di tutti. I combattimenti, anche contro i “grunt” più basilari non sono mai semplici perché le varie sezione di gioco sono, letteralmente, disseminate di nemici pronti a ghermirci con improvvisi, quanto mortali, agguati. Ecco, dal mio punto di vista, la cosa che ho preferito di Dolmen, un titolo che comunque come avrete compreso, lascia più domande che risposte alla videgiocatrice o videgiocatore, è il pensiero con il quale gli sviluppatori hanno posto i nemici “semplici”: qui, sul serio, si toccano, in certe occasioni, gli ottimi livelli dei souls.

Un nome un perché  Un nome un perché

Quello che insomma davvero manca è un cuore originale di Dolmen: anche se mediato da altri titoli, anche se influenzati da altri brand, anche se scaturito da franchise differenti, Dolmen ha una base interessante che però non viene sviluppata con originalità E dire che la possibilità di utilizzare armi con status, buff e statistiche differenti è un elemento interessante. Insomma di “ciccia” ce n’è, magari non moltissima, ma è presente: va cucinato in modo molto più unico, altrimenti si sceglie, perdonate la metafora, un altro ristorante.

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