Libri
di Marco Villa 18 Maggio 2017

“La nostalgia non è una cosa sana”, intervista a Zerocalcare

Il ritorno dell’armadillo e di Zerocalcare, tra sguardi verso il passato e il film (finalmente) in arrivo

Un dettaglio della copertina di “La profezia dell’armadillo – Artist Edition” di Zerocalcare (Bao Publishing)  Un dettaglio della copertina di “La profezia dell’armadillo – Artist Edition” di Zerocalcare (Bao Publishing)

 

Dai centri sociali ai record di vendite, passando per internet e i fumetti pubblicati e diffusi online. La storia di Zerocalcare è nota a tutti, così come la sua capacità di leggere, rileggere e riscrivere l’immaginario di chi è nato tra la metà degli anni ’70 e la fine degli anni ’80. Il boom è avvenuto online, ma il primo vero riscontro c’è stato con la pubblicazione de La profezia dell’armadillo, stampato in autoproduzione da Graficart nel 2011 e ristampato a colori da Bao Publishing un anno dopo. A distanza di 5 anni, “La profezia dell’armadillo” è tornato in edicola, sempre per Bao: nuovamente in bianco e nero, con l’eccezione di una dozzina di tavole inedite che fanno da introduzione al vecchio volume.

Una artist edition che ha portato Zerocalcare a riempire nuovamente le librerie di mezza Italia, con presentazioni e firmacopie che hanno fatto registrare file record. In una pausa tra una presentazione e l’altra l’abbiamo chiamato nella sua tana a Rebibbia, per parlare del passato che ritorna e capire quale forma avrà il suo futuro. Spoiler: il film è in arrivo.

 

Che effetto ti ha fatto ributtarti su “La profezia dell’armadillo” cinque anni dopo?
Mi ha fatto tanti effetti. Il primo ovviamente è stato pensare che i disegni fossero orribili e chiedermi per quale motivo avessi deciso di pubblicarli. È il libro a cui sono più legato, la fotografia di un momento della mia vita che è proprio passato, mi sembra preistoria, perché contiene alcune incertezze di vita, che mi sembrano appartenere a un’altra epoca. Mi ha fatto molta impressione per questo.

Il libro contiene anche una nuova storia che fa da introduzione al libro e in cui metti in scena un incontro impossibile tra il te stesso di oggi e quello di nove anni fa. Se non avessi messo online i tuoi primi fumetti, secondo te cosa avresti fatto?
Questa è la grande domanda. Io avevo due mensilità di autonomia per pagare l’affitto e poi avrei finito i soldi e sarei tornato a casa da mia mamma. Quello per cui facevo traduzioni di documentari di caccia e pesca è fallito, per cui non avrei avuto nemmeno quell’introito. Avrei continuato forse con le ripetizioni, ma davvero non sapevo dove sbattere la testa. Se guardo gli amici miei a distanza di anni, molti di loro stanno ancora con i genitori e non sanno cosa fare. Probabilmente sarei stato come loro.

Qual è stato il momento in cui hai capito che i fumetti erano qualcosa di più di un tentativo?
Il momento è stato molto materiale, quando il reddito che proveniva dai fumetti ha superato il reddito che mi arrivava da ripetizioni e traduzioni di documentari. E poi il momento in cui sono arrivate più rotture di scatole legate ai fumetti: all’inizio lo vivevo come una passione e non capivo perché da una cosa che doveva essere bella dovessero arrivarmi anche problemi, come dover mediare con persone che mi facevano orrore. Me lo chiedevo e poi ho avuto un’illuminazione: ok, è un lavoro. A quel punto l’ho accettato come tale e mi ha fatto molto bene anche alla testa, mi ha permesso di evitare di crucciarmi di tutte queste cose così sgradevoli.

 

 

Sempre nell’introduzione, torni sulla storia di Camille, che è il cuore del libro, e di come la sua versione a fumetti stia inglobando nella tua testa il ricordo reale che avevi di lei. È difficile tenere separato Michele Rech e Zerocalcare?
È un tema super importante. Percepisco molto il tema del sovrapporsi dei miei ricordi e della loro versione a fumetti. Sono uno che si scorda molto facilmente le cose e per me i fumetti servono anche per fissare i ricordi: è molto utile, ma al tempo stesso li impoverisce, perché se io provo a ricordare gli elementi importanti della mia storia con Camille, mi rendo conto che qualche anno fa dentro di me c’erano sentimenti molto più forti. Quando partiva una canzone che mi ricordava lei, mi sentivo scosso. Adesso, dopo averne parlato tante volte, averlo disegnato, averlo portato in giro, tutto si è un po’ appiattito e mi sento un po’ assuefatto. Ed è una cosa che mi mette tanta ansia. Tu hai allargato questo discorso a tutto il resto, a come si confondono le emozioni del personaggio e della persona vera. In effetti non ci avevo mai pensato, ci sto pensando adesso per la prima volta ed è un tema su cui mi dovrei interrogare.

L’autobiografia è il punto di partenza di tutto il tuo lavoro: all’inizio, quando il pubblico era poco o non c’era proprio, immagino fosse più facile, adesso riesci ad avere la stessa libertà o ti senti frenato?
Questa cosa mi viene ancora abbastanza semplice, anche perché è l’unica cosa che so fare a fumetti, quindi sarebbe un problema grosso essere frenati. Però mi metto molti paletti su un aspetto, ovvero su come le mie storie possano essere interpretate. Se racconto una cosa che mi succede alle poste o in ospedale, c’è il rischio che poi la mia storia venga presa a paradigma di tutto quello che succede alle poste o in ospedale, perché sono esperienze da cui sono passati tutti e in cui la gente si identifica. A volte però possono stimolare reazioni che mi fanno orrore, super populiste. Una volta ho passato la notte in ospedale aspettando al pronto soccorso e mi sono dovuto censurare per non raccontare quella che è stata la mia esperienza con gli infermieri in quell’occasione, perché anche se ho dovuto passarci tutta la notte e mi hanno fatto rodere il culo per mille motivi, in realtà credo che la sanità italiana funzioni e se non funziona non è certo colpa degli infermieri che si fanno un bucio de culo come un secchio. Invece sapevo benissimo che se avessi scritto tutto quello che è successo quella notte avrei avuto tantissimi commenti tipo: “ah, questi non c’hanno voglia di fare un cazzo! Fannulloni” e bla bla bla e questa cosa qua mi disgustava proprio. Questo tipo di paletti me li metto.

Comprensibilissimo, perché ci vuole poco a diventare bandiera di qualcuno o qualcosa che non si vuole rappresentare.
Non mi metto paletti nel racconto delle mie emozioni, ma proprio per evitare di diventare bandiera di cose che mi fanno schifo.

È successo o sei sempre riuscito a evitare questa cosa?
Sono riuscito a evitarla, ma perché in realtà venendo da una formazione super politica e da centro sociale, io sto super attento a ogni parola, ogni sillaba che metto nei fumetti. È forse la cosa a cui ho dedicato più attenzione, perché tutto il resto è venuto mezzo per caso. Ho avuto grande consapevolezza nel non voler dare nessun appiglio a chi mi fa schifo.

Però è un esercizio faticosissimo, ci vuole una grande disciplina, no?
Molto faticoso. Io provo sempre a scrivere in modo simile al parlato, ma in Italia i discorsi di strada sono pieni di espressioni sessiste, è una cosa fisiologica. Io faccio un super lavoro per cercare di tenere un parlato di strada, ma senza nessun riferimento di quel tipo: evito anche di mettere “figlio di puttana”, per dire.

 

Una vignetta di Zerocalcare tratta da “La profezia dell’armadillo” (Bao Publishing)  Una vignetta di Zerocalcare tratta da “La profezia dell’armadillo” (Bao Publishing)

 

Chi come te (e come me) è nato nella prima metà degli anni ‘80 ha sviluppato già da giovane un sentimento di nostalgia potentissimo, che è emerso molto prima rispetto alle generazione precedenti. Uno sguardo al passato e al suo immaginario che è molto presente anche nei tuoi libri: come te lo spieghi?
Io ho la mia spiegazione personale ed è legata al fatto che noi siamo stati piccoli in anni in cui chi era più grande di noi tendenzialmente aveva una serie di certezze e garanzie. Io associo a tutti i momenti della mia infanzia e pre-adolescenza una grande sicurezza verso il futuro. Mi pareva di avere dei binari e delle tappe, per arrivare a un lavoro stabile come mio cugino grande o i miei genitori, con una proiezione in avanti molto sicura. In realtà quando abbiamo finito le scuole e ci siamo affacciati al mondo del lavoro, il mercato era stato completamente cambiato a livello legislativo, con il pacchetto Treu e l’introduzione della flessibilità. E questo ha cambiato anche antropologicamente la nostra vita. La nostalgia è quindi nostalgia per un momento in cui ero convinto che la mia vita sarebbe stata scontata, con tappe già conosciute che mi avrebbero portato serenamente alla vecchiaia. Io questa nostalgia la sento fortissima, ma non credo sia una cosa sana.

Dopo la riedizione della “Profezia dell’armadillo” arriverà anche il film, annunciato ormai parecchio tempo fa?
A un certo punto il film era slittato e si era arenato. Adesso è ripartito e dovrebbe farsi abbastanza velocemente, perché la sceneggiatura c’è e bisogna solo girarlo. Il regista non sarà più Valerio Mastandrea, che però sarà comunque nel film come attore. Credo possa uscire entro il 2018.

Stai già lavorando a un nuovo libro?
Al nuovo libro sto lavorando anche in questo esatto istante e nasce da tutte le riflessioni scaturite dal riprendere in mano “La profezia dell’armadillo”. Il cast dei miei fumetti ormai è datato: sono personaggi rimasti cristallizzati a quando li ho creati, ovvero tra i 5 e i 9 anni fa. Le persone vere a cui si riferiscono però sono andate avanti nella vita, chi in meglio chi in peggio. Mi piaceva fare una storia corale che riportasse tutti i personaggi del mio cast a paro con la vita reale, ad esempio far vedere i problemi di oggi dell’amico cinghiale che si è sposato e ha un figlio. Provare a raccontare l’attualità di persone che hanno 34 anni e non più quella di pischelli di 26/27 anni.

Con questa riedizione sei tornato indietro di 5 anni, facciamo il percorso inverso: dove ti vedi tra 5 anni?
Stamattina ho avuto l’illuminazione. Vorrei finire questo libro, presentarlo e poi andare a fare un gran corso di animazione all’estero. Proprio una cosa di questa mattina, magari stasera è già passata, ma forse sto andando in fissa con l’animazione.

 

Una vignetta di Zerocalcare tratta da “La profezia dell’armadillo” (Bao Publishing)  Una vignetta di Zerocalcare tratta da “La profezia dell’armadillo” (Bao Publishing)

 

Tu sei riuscito a trovare e imporre un linguaggio e un immaginario chiari. Siete in pochi ad avercela fatta: penso a te, Gipi, Le Luci della Centrale Elettrica, I Cani. Secondo te quali altri nomi dovrebbero esserci in questo elenco?
C’è un sacco di gente che ha tutte le carte in regola per esserci, ma non riceve l’attenzione che meriterebbe. Nel campo dei fumetti c’è una ragazza che si chiama Nova Sin che non è ancora uscita, il suo primo fumetto uscirà per Bao e ogni volta che vedo una sua cosa penso che sia bravissima. Oppure Toni Bruno che ha pubblicato “Da quassù la Terra è bellissima”. Gente molto brava, ma che ancora non ha ricevuto quello che merita. Poi penso alle webserie, tipo i The Pills che hanno creato un linguaggio molto riconoscibile. Ma anche Mattia Torre e tutti i creatori di “Boris”. E poi ultimamento sto scoprendo il teatro, che non avevo mai calcolato, a dimostrazione che di certe cose non capisco un cazzo: sono andato a vedere “La vita ferma” di Lucia Calamaro e ho pensato che come linguaggio e scrittura è una cosa fighissima che parla di emozioni e di cose molto nostre.

E con gli accolli come va?
Ecco, con quella roba là non ce la faccio più. Sono veramente arrivato al limite della mia sopportazione, non ce la faccio più a lasciare il mio quartiere e andare in giro.

Quindi Rebibbia è ancora una zona salva per te? Non è diventata il grande polo del fumetto romano?
Ma direi proprio di no, siamo ancora molto lontani da quel momento, qui a nessuno frega niente dei fumetti.

 

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