Gabriele Mainetti è il regista del film italiano più eccitanti degli ultimi anni, quel Lo chiamavano Jeeg Robot che ha vinto 7 David di Donatello e che potrebbe aver spianato la strada a tutta una serie di progetti che solo pochi anni fa sarebbero sembrati impossibili. Mainetti è appena tornato dal Giappone, dove ha presentato il film insieme a Claudio Santamaria, il suo protagonista. L’incontro più emozionante è stato con Go Nagai, lo storico fumettista che ha creato Jeeg Robot e tutti gli altri robottoni che ci hanno cresciuto negli anni ’80: Goldrake, Mazinga, i Jetta Robot, tutti suoi.
Noi del film di Gabriele Mainetti abbiamo già abbondantemente parlato e ci è piaciuto davvero tanto. Stavolta vogliamo approfondire il prima e il dopo: come si fa a credere così fortemente in un progetto apparentemente impossibile come quello del supereroe romano e cosa succederà al cinema italiano dopo questa rivoluzione. Lo abbiamo chiesto direttamente a lui.
Dopo il successo del tuo film, si può dire che in Italia ci sarà un prima e un dopo rispetto a Lo chiamavano Jeeg Robot. Ora magari i produttori classici proveranno la strada del superhero movie giusto per cavalcare l’onda. Come la vedi?
Mi auguro che nascano una serie di produttori anche giovani che investano i soldi in film belli, emozionanti, e lì ci può essere anche la storia di un supereroe, come abbiamo visto dal nostro film. Non state a dire che adesso rinasce il genere, la bellezza di un film esula dal genere. Prima si diceva che un film come il nostro non si sarebbe potuto fare perché gli italiani non l’avrebbero guardato. Non è vero. Basta che hai una bella storia da raccontare, la puoi pure ambientare sulla luna. Un po’ come Moon di Duncan Jones, un film semplice che è costato poco e ha reso tanto.
Si è parlato un sacco delle performance strepitose di Claudio Santamaria e Luca Marinelli. Ho letto da qualche parte che invece Ilenia Pastorelli, dopo il provino, non era stata scelta per il ruolo di Alessia. Oggi potresti mai vederci un’altra attrice in quella parte?
Guarda, durante i provini avevo visionato una trentina di attrici dell’età del personaggio e non mi convincevano. Ce n’era una che poteva andare bene perché aveva un dolore importante, ma non aveva quel tessuto romano, c’avrebbe dovuto lavorare sopra e ci credo fino a un certo punto che si possa tirar fuori quel carattere lì. Ilenia venne a fare l’incontro ma non si ricordava niente, l’aveva preparato un po’ con la mano sinistra e dissi “Sì, è brava ma non può sostenere un personaggio così importante”. Dopo una settimana mi chiama il casting dicendo di aver ricevuto una telefonata dalla Pastorelli che vorrebbe rifare il provino perché ha capito delle cose. È tornata e ha fatto un provino che m’ha lasciato a bocca aperta. Lei però era alle prime armi e l’ho mandata da un mio amico a fare un po’ di training. Al terzo provino è entrata in ballottaggio con l’altra attrice che dicevo prima e alla fine ho puntato sulla romanità del personaggio. Non è stato facile per niente perché recitare, a prescindere dal talento è anche saper prendere la luce, mantenere il punto, prendere il segno, non impallare l’altro attore. Ilenia ha un ritmo naturale, quindi non avrei potuto fare le robe stilistiche tipo carrellata e quando s’avvicina la macchina, l’attrice alza la testa e dice la battuta. Però era talmente ricca di un vissuto neorealistico che dovevamo andare con quello. Ti dico una cosa: Ilenia è stata eccezionale in quel ruolo, però era un ruolo già eccezionale di suo, questo va riconosciuto agli sceneggiatori Menotti e Nicola Guaglianone, che hanno scritto un personaggio femminile meraviglioso.
In tanti sperano in un sequel: è possibile?
Perché no? Guarda, non ci lanceremo mai in un sequel del quale non siamo convinti, e per essere convinti dobbiamo avere dei personaggi tridimensionali, emozionanti. Ci dobbiamo fidare di noi, c’è chi dice che lo dobbiamo assolutamente fare, chi dice che dobbiamo finire qua, c’è addirittura chi chiede la serie. Noi adesso ci ragioniamo perché all’inizio pensavamo “Jeeg farà un milione, un milione e due, c’ha il suo percorso.” È arrivato a quattro milioni e mezzo di euro. A parte per il soldi ma quando vedi che 700.000 persone sono andate a vedere il film e ti chiedono ancora storie di Enzo Ceccotti, ti fa pure piacere poter pensare di raccontarne altre. Non si deve pensare che con personaggi o interpreti diversi non si riesca a fare un film del genere, troveremo altri personaggi e ci lavoreremo per renderli altrettanto interessanti.
Com’è che i film come il tuo, in provincia faticano a rimanere in sala o addirittura a uscire. C’è un modo di sensibilizzare i distributori in modo che li facciano uscire in più sale? Come funziona quell’aspetto?
Purtroppo in provincia le cose arrivano sempre dopo, però c’è anche da dire che se escono e nessuno va a vederli, li tolgono. Nelle province del nord, Jeeg ha faticato tanto, forse è stato un po’ rifiutato per via del romano, quindi la politica del “noi provinciali vediamo dopo tutti”, beh, fino a un certo punto. Se esce e tu non ci vai in sala, te lo tagliano subito. Io non mi scordo un cazzo: quando è uscito Jeeg, lo stesso weekend è uscito Tiramisù di Fabio De Luigi e nel nord sono andati tutti a vederlo. Il pubblico si è fidato dopo, ma intanto il film si è perso le sale. Un film si gioca nelle prime settimane, addirittura a volte nella prima settimana. Jeeg ha avuto una fortuna che è quella del passaparola, poi è rinato dopo i David. Adesso sta andando benissimo però quando è uscito, la prima settimana ha fatto 700.000 € e la seconda settimana 350.000. È andato subito in discesa. In molti pensano “Sì, poi lo vedo dopo, lo aspetto in dvd” ma alla fine, a chi mi dice “Ci sono andato ma l’hanno tolto dopo una settimana”, se l’hanno tolto vuol dire che c’è andata poca gente. Nessun esercente fa una stronzata del genere se ha la sala piena.
A proposito dei David, immagino che qualche tuo collega abbia rosicato…
Certo, molta gente non mi ha chiamato quindi penso abbia rosicato, però mi hanno chiamato tante altre nuove persone. Quando ho preso il David come miglior regista esordiente avevo staccato il telefonino, poi l’ho riacceso e sono arrivati più di 1500 messaggi, il telefonino sembrava impazzito. A parte gli amici cari che non fanno questo lavoro e che erano contenti per me, la cosa più bella è stata sentire sui social le persone che esultavano. Io dal palco ho ringraziato le persone che sono andate a vedere il film la prima settimana e che poi hanno incoraggiato amici o conoscenti ad andare in sala. Questa gente mi ha detto “Quando hai ricevuto il premio era come se l’avessi vinto anch’io, perché c’ho creduto come te” e mi ha emozionato tanto, perché il film è di tutti, il cinema è di tutti, non lo puoi fare per te, è un’arte di puro intrattenimento che dev’essere condivisa. Anche nel girarlo è un lavoro collettivo. C’è la visione del regista ma si collabora con un sacco di gente, dallo sceneggiatore che è un po’ la mamma del film al produttore ma anche al montatore, allo scenografo, al direttore della fotografia e via dicendo. Ognuno ha una visione che contribuisce a formare ciò che sarà il film e poi la storia non finisce finché non viene partecipato nelle sale dal pubblico, è lì che il film diventa di tutti. È stata una bella cosa.
Una cosa che mi sono sempre domandato, quando esce un film che cita così evidentemente un personaggio o un altro film è come funziona coi diritti d’autore?
Tramite un avvocato abbiamo contattato la Toei Animation e siamo entrati in possesso dei diritti d’immagine di un minuto di un cartone. Abbiamo pagato e bon, ma la cosa assurda è che non avevamo i diritti dell’audio, quindi lo abbiamo ricopiato noi: io, Claudio Santamaria e la mia ragazza, tutta la puntata, facendo le voci e cambiando le battute perché non potevamo utilizzare quelle dell’episodio. In seguito abbiamo comprato i diritti editoriali della sigla italiana e l’abbiamo ricantata. Non sto parlando di quella finale riarrangiata, parlo proprio della sigla classica del cartone animato di Jeeg: l’abbiamo risuonata e anche lì è Santamaria che canta, imitando il vocione del cantante originale. Corri ragazzo laggiùùùùù… è lui. Non è il master originale perché ci costava troppi soldi.
Hai suonato anche la colonna sonora, dì la verità: ti sei sentito un po’ Carpenter?
Certo, infatti se senti i bassoni anni ’80 sono proprio un omaggio a lui. Io ho iniziato a suonare molto presto, ho studiato pianoforte, chitarra classica e elettrica, poi ho fatto dei corsi di composizione, però dopo l’elettrica ho iniziato a fare corsi di regia e prima ancora di recitazione perché volevo fare di tutto. La musica è nata prima, ho uno zio che è compositore di colonne sonore che mi ha iniziato a quel mondo. Comunque l’evento chiave che mi ha fatto diventare regista è questo: stavo al cinema Maestoso a Roma, ho visto Il Corvo di Alex Proyas, tratto dai fumetti di James O’ Barr, avevo 17 anni e mi sono detto “Cazzo, voglio fare questo lavoro.”
Tra l’altro aveva una bomba di colonna sonora.
Eh ci stavano i Cure, gli Stone Temple Pilots, i Violent Femmes…
Continuando coi riferimenti nerd, in Giappone hai conosciuto Go Nagai, il creatore di Jeeg Robot: com’è stato l’incontro?
È stato splendido. Ero sul palco con un moderatore che mi faceva le domande e intanto mi angosciavo al pensiero che non gli fosse piaciuto il film e che se ne stesse seduto in prima fila per cortesia. Quando il moderatore ha chiesto chi volesse fare domande dal pubblico, Go Nagai è stato il primo ad alzare la mano e io mi son detto “Eccoci, ora mi dice qualcosa che mi distrugge” . Invece lui mi guarda e mi dice “Quando lo fai il sequel?” Mi ha spiazzato perché mi ha fatto un sacco di complimenti, mi ha detto che il film è meraviglioso e mi ha elencato una serie di citazioni cinematografiche che mi hanno anche sorpreso, facendomi capire che ne sa di brutto anche di cinema. Ero la persona più felice del mondo e come se non bastasse, anche le domande del pubblico sono state molto belle, perché i giapponesi hanno un ottimo rapporto con la cinematografia. Qualcuno ha visto una relazione tra il mio film e Takeshi Kitano, per il modo di trattare la violenza e l’ironia e mi ha colpito, perché è uno dei miei registi preferiti in assoluto. Insomma, alla fine sono sceso giù a ringraziare Go Nagai, “Arigato sensei” e lui mi ha chiesto cosa facevo a cena, poi mi ha portato a cena con sua moglie e Claudio Santamaria che era con me. È stata una cosa assurda, essere rispettato e benvoluto dal maestro, non avrei mai creduto. Mi ha portato una maglietta di Devilman, un pupazzetto di Jeeg Robot e un almanacco di tutti i suoi lavori dal 1967 al 2007 su cui in prima pagina ha disegnato Jeeg con la dedica.
Felicissimo lui e felicissimo tu, quindi.
Scrivilo pure, Mainetti dice: “Andate a fare in culo voi che dicevate che Jeeg Robot non si poteva toccare”. Nel film c’è tantissimo rispetto per il lavoro di Go Nagai. Chiaramente non si può pensare di riprodurre filologicamente un mecha, un cartone animato con i robottoni a parte perché non ci sono i capitali per produrre un film del genere in Italia, ma poi perché è una cultura che ci appartiene per certi aspetti in modo filtrato, che noi abbiamo utilizzato come strumento per raccontare la nostra di storia.
So che stai parlando col tuo team del nuovo film e allora ci provo: qualche spoiler?
No, è in una fase talmente embrionale che proprio non posso, è come quando uno mette i semìni nella terra, se uno gli chiede di vedere che pianta è e la tiri fuori, muore tutto.