A inizio Marzo è stata inaugurata presso il Museo Ettore Fico di Torino Truth depends on where you see it from, la bellissima mostra del collettivo Truly Design. Attivi dalla fine dei ’90, sono tre artisti che negli anni hanno lavorato sulle immagini anamorfiche ottenendo effetti ottici assumente fantastici.
Se nelle precedenti esposizioni si erano occupati di immagini più legate al mondo della street-art vera e propria, questa nuova mostra vuole ragionare sul concetto di spazio portando una riflessione che nasce dall’analisi del Divina Proportione, l’importante trattato del 1500 che influenzò molti dei più noti artisti rinascimentali.
“Il De Divina Proportione è stato frutto dei nostri interessi già da qualche tempo – raccontano – non solo per le tavole illustrate ad opera di Leonardo da Vinci. Ci affascinano questi personaggi rinascimentali che vogliono trovare i principi fondamentali del sapere. Pacioli, l’autore del testo, vuole dimostrare l’importanza della proporzione aurea trovandone applicazione in campo filosofico, matematico, musicale, architettonico… come un alchimista ricerca la pietra filosofale”.
Partiamo dall’inizio, riassumeteci brevemente il percorso e la storia del collettivo Truly Design
Con Mauro149, Mach505 e Ninja1 ci conosciamo alla fine degli anni ‘90 tra le architetture abbandonate della periferia di Torino e assieme iniziamo a realizzare i nostri primi graffiti, fortemente connotati dalla nostra passione per la grafica, l’illustrazione e la pittura. Questo sodalizio si rafforza negli anni dipingendo i muri e i treni, prima in Italia e poi in Europa, culminando in un progetto professionale comune, iniziato nel 2003 sotto il nome di Truly Design Urban Artists, uno studio di comunicazione alternativo che si occupa sia di progetti artistici che commerciali.
Guarda la gallery Truly-Design_MEF_2016_Shape-of-Things_ambientato Truly-Design_MEF_2016_Shape-of-Things_dettaglio2 MEF_Shape-of-things-project-Truly-Design Truly-Design_MEF_2016_Shape-of-Things_making-of+12
Vista l’estrema complessità della figure proposte e dei concetti espressi, se doveste spiegare la mostra ad un bambino come fareste?
Inizierei così, con un parallelismo: le figure geometriche sono come la musica classica, quella senza parole. Non vi aspettate che Mozart o chi per esso vi racconti una storia precisa, lasciati ispirare dalla sensazione che ti trasmette una forma o un colore. I bambini, assieme ai matti, sono spesso tra i maggiori fan dei graffiti. Sono molto bravi a capire e a fare arte, perché non hanno i filtri che abbiamo noi adulti.
Citando provocatoriamente il titolo della mostra, il fatto che la verità sia dipendente dal punto da cui la si guarda potrebbe voler dire che di verità c’è n’è soltanto una e che tutti gli altri punti di vista siano sbagliati.
Ovviamente il concetto che vogliamo esprimere è proprio l’opposto. Il punto di vista che proponiamo, quello dell’autore, è solamente una traccia che consegniamo al fruitore che sceglie di esplorare la mostra, ma non lo consideriamo più giusto o sbagliato di quello che può assumere un normale visitatore. Il bello di un anamorfismo è proprio la possibilità di poter scegliere un punto di vista diverso da quello semplicemente frontale, tipico di un’opera su tela o su un muro piano. Personalmente, di ognuna delle tre opere in mostra, ho il mio punto di vista preferito, che non è mai quello “ufficiale”.
Il passaggio da figure decisamente più vicine alla street-art ad altre totalmente geometriche come è avvenuto?
Il progetto architettonico ad opera di Alex Cepernich fa del Museo Ettore Fico uno degli spazi più interessanti della Torino contemporanea e ci ha conquistato dal primo sopralluogo. I suoi piani iper-geometrizzati non rispettano i dettami della architettura “classica”, creando degli spazi incredibili e irregolari, perfetti per i nostri lavori anamorfici. Così, diversamente da altri casi, abbiamo scelto di lavorare su di un progetto in strettissimo dialogo con l’architettura del museo.
Più in generale, come siete arrivati alla riflessione sull’idea di spazio partendo dalla street-art?
I graffiti e la street-art ci hanno insegnato a lavorare con il contesto, essendo dipinte direttamente in ambito urbano e non trattandosi di opere trasportabili attaccate su di una parete, come nel caso di un dipinto più classico. Da quando abbiamo iniziato a confrontarci con contesti indoor, come nel caso dei musei, il nostro atteggiamento è rimasto lo stesso, anche se ovviamente si riferisce ad uno spazio più “metafisico” e meno in relazione con la strada.
L’intero progetto quanto è durato?
È durato circa un mese e mezzo. Paradossalmente la fase progettuale è stata molto più lunga di quella realizzativa, anche se le opere sono piuttosto grandi e complesse. Dal sopralluogo alla formulazione delle tavole progettuali definitive intercorrono interminabili discussioni interne e problemi legati alla tematica, alla logistica, alle tempistiche e al budget… inoltre, in questo caso, c’è stato uno strettissimo confronto con il direttore del museo, Andrea Busto, persona splendida e di incredibile cultura. Il bello di lavorare con questo team sta nella consapevolezza di arrivare sempre ad una conclusione efficace, non tanto perché ci si creda così bravi, ma per l’assoluta fiducia e stima che si è creata all’interno del gruppo di lavoro. La parte realizzativa, infondo, è stata semplice: dopo anni che dipingi in strada, al buio e per raggiungere i punti più alti ti tocca salire sulle spalle di qualcuno, diventa tutto più facile quando lo fai in museo e hai a disposizione un braccio meccanico (ride).
La cosa più stimolante del progetto qual è stata?
È sicuramente l’imprevedibilità di alcuni aspetti legati all’anamorfismo. Finché l’opera non viene dipinta e conclusa non riusciamo a prevedere in fase progettuale quale sarà esattamente l’effetto della luce dell’ambiente sul disegno e che aspetto avrà il disegno fuori dal punto di vista. Per noi il processo realizzativo è una continua scoperta con la convinzione che, pur partendo da un progetto dettagliato, il risultato presenterà dei dettagli inaspettati.
Quella più difficile?
Sicuramente tollerare la sfilata di alcuni personaggi politici davanti alle nostre opere a scopo di propaganda elettorale.