Siamo in Provenza, davanti a uno dei paesaggi che hanno ispirato il pittore Vincent van Gogh alla fine del’Ottocento. Le chiome degli alberi piegate dal vento sono improvvisamente distorte da un algoritmo in un blur. Dov’è il confine tra reale e artificiale? È la domanda che ti poni di fronte a Pleasant Places, un’installazione audiovisiva in 4k a metà tra natura e realtà virtuale.
Pleasant Places è firmata da Quayola, un artista italiano nato a Roma (classe 1982) che vive e lavora a Londra. Da tempo realizza installazioni artistiche immersive che prendono vita come ibridi di pittura animata e scultura. Lo abbiamo contattato per chiedergli come è nata la sua ultima opera ispirata ai paesaggi di van Gogh.
Quali sono le considerazioni artistiche alla base di Pleasant Places?
Con Pleasant Places ho voluto esplorare le relazioni e le ambiguità tra rappresentazione e astrazione, nello specifico all’interno del contesto della mediazione digitale. Sono affascinato dall’osservazione del mondo attraverso i sistemi di computer vision: algoritmi che forniscono punti di vista alternativi e, in certo senso, potenziano la visione e la percezione. Sono alla ricerca di nuove sintesi e modalità alternative di osservazione. In modo simile, sono affascinato dalla tradizione dei paesaggisti moderni, come netto punto di partenza verso l’astrazione. Pleasant Places è un omaggio a questa tradizione e, più nello specifico, all’ultimo periodo della vita di van Gogh, in cui i paesaggi diventarono un pretesto per una visione e gestualità interiori. Il mio lavoro riflette sulla mediazione digitale di oggi come opportunità per scoprire nuovi tipi di visione.
Come sono stati scelti i luoghi che vediamo trasformati in Pleasant Places?
Riferendomi al lavoro di van Gogh, ho trascorso un po’ di tempo nella stessa zona della Provenza da cui provengono i paesaggi presenti nel mio lavoro. Ero alla ricerca di una natura selvaggia, eppure familiare e intima. Ho voluto creare un particolare attrito tra il punto di vista di una persona che osserva i paesaggi e quello di un sistema computerizzato che li reinterpreta. Un altro elemento cruciale del lavoro è il vento. Ho voluto che all’interno delle inquadrature ci fossero una certa energia e movimento, in modo tale da avere le giuste dinamiche per le relative trasformazioni digitali. Abbiamo trascorso molto tempo in attesa delle condizioni meteorologiche ideali per filmare i vari soggetti come ci eravamo posti di fare. Un altro fattore importante è la scala. Tutti i paesaggi sono stati filmati in modo da apparire in scala vicino a 1:1 una volta proiettati per l’installazione finale. Di conseguenza, il punto di vista nelle inquadrature è legato anche alla manifestazione fisica della proiezione finale – così da diventare un luogo a sua volta.
Nel processo di astrazione gli algoritmi sono percepibili come traccia umana oppure non-umana?
Sicuramente entrambe le cose. L’estetica si riferisce chiaramente alla pittura, anche se le sue dinamiche sono molto algoritmiche; per me ciò crea tensione e ambiguità interessanti tra uomo e visione artificiale. Penso che un livello ulteriore sia dato dalle relazioni tra gli interventi digitali e il movimento intrinseco degli alberi – tant’è che il confine tra reale e artificiale diventa sempre più sfumato.
Quando osserviamo un’immagine sullo schermo di un computer o dispositivo portatile, ci aspettiamo di poter interagire con essa e vederla cambiare. Trovarsi di fronte all’installazione di Pleasant Places ha un effetto diverso sulle persone?
Un proiezione ultraHD da 15 metri è un’esperienza molto differente da quella dello schermo di un dispositivo mobile o di un laptop. Non penso che Pleasant Places sia percepito come un video, ma più come un oggetto di contemplazione con le proprietà scultoree. L’installazione vuole essere un luogo da esplorare. Di solito ho un approccio simile in tutti i miei lavori visuali. Sono interessato alla creazione di sculture basate sul tempo che abbiano forti qualità fisiche e tangibili. Certo, puoi guardarne un piccolo frammento su un computer o su un telefono nello stesso modo in cui puoi guardare la foto di un dipinto, ma è un’esperienza molto differente dal vedere l’opera in sé.
Al di fuori del frame di Pleasant Places, quanto sono cambiati i paesaggi provenzali 125 anni dopo van Gogh?
Sebbene il progetto sia un chiaro omaggio a van Gogh, non ho lavorato con gli stessi identici paesaggi, dato che la mia intenzione non era quella di riprodurre quei dipinti. Ho studiato i paesaggi in un’area vicina a quella in cui si trovava van Gogh. Dato che il mio focus era la natura priva di alcun intervento umano, direi che questi paesaggi erano praticamente gli stessi di 125 anni fa.