Peter Kogler è uno dei nomi più importanti della scena artistica viennese contemporanea. Attivo da oltre trent’anni, viene considerato uno dei maggiori esponenti della cosidetta “generazione di mezzo” austriaca.
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Al pari di nomi come Fanz Graf, Heimo Zobernig e Erwin Wurm, anche Kogler inizia le sue prime sperimentazioni negli anni ottanta. Il suo obiettivo è quello di trovare punti d’intersezione fra discipline e mezzi espressivi differenti, come performance, video, film, pittura, arte digitale, scultura e architettura.
Da subito individua nel computer e, più in generale nelle tecnologie informatiche, un elemento importante per il suo percorso artistico. Gioca con le immagini in movimento e con le fonti sonore creando atmosfere futuristiche ma al contempo stranianti e oniriche, spesso ricondotte a Blade Runner o ai film di Fritz Lang (due tra i riferimenti più citati nelle sue interviste).
Tra i suoi elementi più ricorrenti troviamo lampadine, topi bianchi, cervelli umani e tubature. Quest’ultime, poi, vengono ripetute all’infinto creando grigie ondulate e motivi ipnotici inserendo lo spettatore in un labirinto virtuale che sembra galleggiare isolato dal tempo e dallo spazio.
Questo senso di smarrimento è sicuramente voluto ma alla base delle opere di Kogler c’è anche un gusto marcato per movimenti artistici quali il minimalismo e la pop art.
In più, la ripetizione ossessiva di tutte queste linee riesce a comunicare quel senso alienante tipico delle società moderne dove ogni persona non può che vivere connessa alle altre. Di fatto, è come se Kogler avesse previsto in anticipo la potenza che avrebbero avuto i social network nell’era contemporanea.
FONTE | | JUXTAPOZ