MP5 è una giovane artista romana che, da tempo, si è fatta notare per i suoi lavori. Tratto netto e marcato, colori piatti e omogenei. Compone figure – spesso uomini o donne – capaci di trasmettere un’inquietudine molto particolare.
Negli anni si è approcciata ai formati più diversi, a partire dai fumetti fino a grandi opere murali, ora in molti la considerano una street artist ma, in realtà, il suo è un progetto molto più ampio.
“Mi occupo di arte visiva, il media che utilizzo dipende sempre dal tipo di progetto a cui sto lavorando in quel momento” – commenta MP5 – “Tutto parte dall’idea, il media da utilizzare viene in un secondo momento. Dieci anni fa venivo accostata al fumetto, ora alla street art, ma non mi hanno mai interessato queste etichette”.
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Il tuo stile è decisamente riconoscibile: usi tratti netti e colori omogenei, spesso bianco e nero. Come ci sei arrivata?
Mi hanno sempre colpita gli artisti che riuscivano a creare atmosfere e suggerire messaggi con pochi tratti semplici e usando pochi colori. L’uso del bianco e nero può sembrare semplice a prima vista, ma ovviamente non lo è. Riuscire a trovare il giusto equilibrio del pieno e del vuoto, del bianco e del nero a seconda dell’intento, richiede tempo. Sono due decenni che questa ricerca pervade il mio lavoro.
Sai essere veloce ed estemporanea o anche il disegno più semplice richiede molto lavoro di studio e di preparazione?
Ci sono progetti che prendono forma e che vedono la luce in pochissimo e tempo ed altri, invece, che richiedono più lavoro e incontrano parecchi ostacoli nel cammino. In generale cerco di non lasciare mai nulla al caso, i dettagli sono più importanti dell’opera generale.
Un’altra caratteristica spesso presente nei tuoi lavori è spingere chi li guarda ad una riflessione su determinati temi sociali e politici. Quanto è importante per te questo aspetto?
Mi interessa rappresentare le ambiguità del contemporaneo, spingendo il fruitore a fare una buona parte del lavoro nella lettura critica dell’opera e della realtà.
La cosa più difficile in tal senso qual è?
Il pubblico, in generale, cerca delle immagini facili da condividere e a volte succede che la sua sia una lettura veloce, che si fermi allo strato più superficiale. La lettura di un’immagine dipende non solo dall’immagine in sé ma dal contesto nella quale viene collocata.
Ci racconti brevemente Phantasmagorica, il progetto realizzato insieme al compositore Teho Teardo e andato in scena allo Short Theatre di Roma a inizio mese?
Phantasmagorica è un progetto ideato per il teatro, dove lo spazio teatrale è pensato come uno spazio dell’inconscio e dove le immagini si possano animare e danzare sulle note della musica di Teho. Phantasmagorica è l’omaggio ad un teatro del passato fatto di trucchi e gesti volti a provocare lo stupore o la paura. Era il teatro delle apparizioni, della lanterna magica, delle illusioni. Qui la proiezione delle immagini e l’esecuzione musicale e il buio, invitano il pubblico in una dimensione sospesa, la messa in scena di uno spettacolo d’illusionismo, o dello spazio della nostra mente. Dopo questo debutto ci stiamo preparando per le date europee.
Ci sono degli artisti che ti hanno davvero influenzato e che puoi considerare fondamentali nel tuo percorso?
Credo di avere avuto e di avere tuttora tantissimi riferimenti, spesso involontari. Sono io stessa una collezionista di libri d’arte, fumetti, dvd e stampe da quando ero piccola. Ho sempre amato il fumetto underground Americano degli anni ’70 e ’80, il cinema noir degli anni ’50/’60, i libri di Paul Auster, il cinema di Haneke, di Aldrich, la pittura espressionista e quella murale e politica di inizio ‘900, il costruttivismo russo… l’elenco è lungo. E tutta la mia formazione è un continuo mash-up.
Mentre se ti chiedessi qual è oggi il nuovo nome della street art su cui puntare, mi sapresti rispondere?
Più che artisti specifici ci sono delle opere che sono molto interessanti, il genere installativo è quello che mi entusiasma di più. Molti artisti italiani in questo momento stanno sperimentando in questa direzione.
Qual è la cosa più bella del tuo lavoro?
Il cambiamento. Non sapere mai con quale media e in che contesto lavorerò nel progetto successivo.
La più brutta?
L’incertezza.