Marco Mazzoni è un artista dallo stile molto personale e riconoscibile. Classe 1982, di Tortona, utilizzando esclusivamente le matite colorate, ritrae animali inquietanti o volti di persone immersi tra le piante più diverse che comunicano un senso claustrofobico davvero potente. Una piccola, e al tempo molto affascinante, enciclopedia dei disturbi e delle paure umane. Più famoso negli States che in Italia, pubblicato su tutte le più importanti riviste di settore e venduto da galleristi come Jonathan Levine , è stato uno dei protagonisti delle due mostre che il nostro editore Betterdays ha organizzato di recente ‘Fire&Desire’ e ‘La Bellezza fa 40’. Ora è arrivato il momento di scoprirlo e di innamorarvene. Ecco la nostra intervista.
Se dovessi descrivere il tuo stile in una sola frase ci riusciresti?
No, non saprei come descrivere il mio lavoro… ho fagocitato diversi artisti per arrivare a quello che faccio, dai disegni di Goya a Vespignani, passando per David Choe, Phil Hale, Yoshitomo Nara e, in qualche modo, Giuliano Guatta. Mi ricordo con piacere, ad esempio, la prima volta che vidi una mostra di Agostino Arrivabene, un mio caro amico. Ero un giovane studente di accademia e quei lavori mi donarono alcune basi colore che non ho ancora abbandonato
Guarda la gallery The House Of The laughing Windows Decanted Dance/Weep/Dance Rancour+25
Ogni tuo lavoro prevede uno studio particolare?
Studio le piante che disegnerò, sono tutte piante medicinali. Per il resto mi affido alla memoria e a dei brevi scatti fotografici della mia fidanzata Gaia.
Da piccolo eri il classico bambino che amava disegnare?
Disegnavo molto, soprattutto fumetti. Verso i sette anni sviluppai un ossessione per L’Uomo Ragno di Todd McFarlane, aveva cambiato il disegno degli occhi del costume del supereroe e passai due anni a riempire quaderni di scuola e libri con facce e mani di SpiderMan e di Spawn. Ero quasi morboso, ogni volta che usciva un albo di quell’autore – Torment su tutti – correvo in edicola e mancava poco che usassi il lentino contafili per osservare le tavole fino al minimo particolare. Riconobbi alcune sue chicche, come aggiungere un piccolo Felix in ogni inizio capitolo o disegnare la tela di ragno con traiettorie impossibili.
Quanto tempo impieghi per ogni disegno?
Dipende dalle misure e dalle scadenze. Devo riconoscere la mia pigrizia e devo ammettere che riesco a lavorare meglio solo sotto pressione, questo significa che non c’è un tempo preciso per ogni disegno
Raramente i tuoi soggetti hanno gli occhi, cosa significa?
È sia un espediente tecnico, che un metodo rappresentativo. Eliminando gli occhi elimino il ritratto del soggetto, portandolo ad essere quasi una natura morta. Cancello la vista anche perché è il senso che porto a spegnere nel momento dell’estasi, cioè nel momento in cui l’essere umano entra in catarsi con la natura.
I tuoi disegni trasmettono un’inquietudine molto forte, è il sentimento che ti interessa di più?
Non saprei… è vero, l’inquietudine è presente ma forse è una parte delle sensazioni che vado cercando mentre disegno. Sui Moleskine – che sono forse i miei lavori più “politici” – vedo di più la presenza del dolore, dell’inadeguatezza dell’essere umano nella società: è impossibile essere liberi in mezzo ad altre persone… Forse più che inquietudine parlerei di claustrofobia.
Ti piacciono i film horror?
(sorride) Li ho amati fino a qualche anno fa, ma li guardavo allo stesso modo in cui Paul Auster definisce i giallisti: scrittori che possono, all’interno di un percorso thriller ben preciso, dare sfogo alla propria capacità letteraria. Sono affascinato dai registi horror che, dovendo muoversi all’interno di un genere, sono capaci di finezze del mestiere. Prendi, ad esempio, le luci e i colori di film come L’Esorcismo di Emily Rose oppure, ultimamente, di The Witch.
La matita ed i pastelli sono il tuo strumento preferito?
Normalmente utilizzo esclusivamente le matite colorate ma in questi mesi, in collaborazione con Andrea e Fulvio di Satellite Press, sto lavorando anche ad una serie di incisioni. Ho ritrovato il piacere dell’incidere e degli odori della stamperia.
Qual è la cosa più bella del tuo lavoro?
Il tempo, quello che dedico al lavoro e quello che il mio lavoro mi permette di dedicare ad altro.