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La vera traccia nascosta di un disco è la sua copertina

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Lo scorso giovedì 21 aprile, il posto migliore per l’aperitivo a Milano erano gli uffici italiani di DigitasLBi, l’agenzia per un mondo digitale del gruppo Publicis e riserva naturale di unicorni. Dalle 18.30 infatti era possibile partecipare all’evento Designing For Squares con Matthew Jacobson, uno che ha capito tutto: infatti non solo è Global Executive Design Director proprio di DigitasLBi, ma in più fa anche qualcosa di davvero interessante, cioè progetta e disegna copertine, poster e altre cose parecchio folli per musicisti come Jack White, Beck, Jerry Lee Lewis e gli Spoon.

E, come si dice, molti altri.

 

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Io c’ero, mi sono emozionato (ok, c’entra anche il fatto che verso le 19, cioè nel cuore della presentazione, è arrivata sui social la notizia della morte di Prince e questo per me è stato un brutto colpo ma avere qualcosa su cui concentrarmi mi ha aiutato), dicevo, c’ero e proverò quindi a far capire a quelli che invece erano altrove cosa si sono persi.

 

 

Per circa un’ora e mezza, Matthew Jacobson ha fatto andare una playlist di idee, design fantastici e aneddoti che hanno messo bene in chiaro due cose secondo me molto importanti e collegate: l’importanza di fare qualcosa che davvero si ama e il fatto che non esiste lavoro troppo semplice o con troppo poco budget. I limiti servono proprio per trovare un’idea migliore.

Qualche esempio? Dovendo fare una compilation con i pezzi più significativi di una piccola etichetta indipendente con tantissimi brani e volendo realizzarla in vinile è impossibile farli stare tutti su un unico disco. Allo stesso modo è troppo costoso realizzare un doppio o triplo album. La soluzione è ovvia: realizzare il primo disco a 3RPM. Per capirsi, i dischi sono a 33RPM (revolutions per minute, ovvero giri al minuto), 45RPM e, una volta, anche a 78RPM. Un disco a 3RPM è cioè un disco che gira lentissimo e quindi può contenere molta più musica. Non ci sono apparecchi in grado di suonarlo, è vero… ma basta rallentare il disco con le mani, come farebbe un DJ.

 

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Oppure quella volta che, per un concerto di Jack White a Las Vegas, Matthew ha realizzato quello che molti giudicano “The coolest gig poster ever designed“. L’immagine è una slot-machine vecchio stile e ogni poster aveva una diversa combinazione di simboli nascosta sotto una classica vernice gratta e vinci, con veri premi in palio. Date un’occhiata su eBay: uno di quei poster oggi vale parecchie centinaia di dollari.

E poi tantissime copertine, grafiche, fotografiche, psichedeliche, elaborate o semplicissime: il racconto della loro genesi ha gettato un po’ di luce sulla sensazione che conoscono bene tutti quelli che hanno passato ore a flippare tra i rack dei CD e dei vinili dei negozi di dischi della propria città. Quel mix di pura possibilità regalata della cover e di immediata e totale soddisfazione promessa della musica contenuta dentro. Una tensione che, quando il designer ha fatto bene il suo lavoro, non si allenta mai: la copertina continua a far sognare e a far venire voglia di cercare le risposte nella musica, anche dopo anni.

 

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Insomma, come un brano in più, una hidden track senza la quale la musica non sarebbe completa. Ma come sarà la cover del futuro? Matthew Jacobson ha diverse idee a riguardo. Anzitutto, ha fatto notare una tendenza che si afferma sempre di più nell’era dello streaming: copertine senza testo.

Perché tanto nome dell’artista e titolo dell’album sono sempre presenti nell’interfaccia digitale vicino al visual. E questo potrebbe aprire la strada a copertine pensate fin dall’inizio come video o animazioni. Un trend che non si è ancora affermato del tutto, ma che, appena lo farà, offrirà nuove possibilità ai designer e nuovi sogni a chi ama la musica.

Luca Comino

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Luca Comino
Tags: grafica

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