Chiara Dal Maso è un’illustratrice ventottenne nata a Sarcedo, un paese di 5.000 abitanti in provincia di Vicenza e trasferita a Milano per lavoro. Il suo tratto combina astrazione e scene della vita di tutti i giorni, marcate in modo volutamente infantile coi pennarelli colorati.
Ama l’approccio tipico del sogno lucido di artisti come David Hockney, Raymond Pettibon, David Shringley e Niki De Saint Phalle, mentre i musicisti di riferimento che ascolta in sottofondo mentre disegna sono gente del calibro di Sonic Youth, Boards of Canada, Wire, Brian Eno e Elliott Smith.
L’abbiamo intervistata per la nostra serie Dailybest Catalogo.
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1) Partiamo da una breve presentazione: chi sei, quanti anni hai, da dove vieni?
Mi chiamo Chiara, ho 28 anni e vengo da un piccolo paese in provincia di Vicenza: Sarcedo.
Questo paesino conta poco più di 5000 abitanti ed è stato sempre un po’ troppo piccolo per me. Gran parte del tempo che ho trascorso lì, l’ho passato pianificando di andarmene, un giorno.
2) Dove sei adesso?
Vivo a Milano da quattro anni. Non avrei mai creduto che mi sarei fermata qui così a lungo, perché ero abituata al movimento: prima di trasferirmi Milano sono stata a Vancouver, Copenhagen e Stoccolma, dove ho lavorato come graphic designer. A questa città comunque il movimento non manca affatto, un movimento interno fatto di persone, nuove tendenze, idee.
Sono arrivata senza aspettative e qui per me si sono concretizzate pian piano molte cose che da tempo desideravo. È stata una grossa, bella sorpresa.
3) La prima cosa che hai disegnato e l’ultima?
All’asilo mi piaceva molto disegnare chiocciole per via della forma a spirale del guscio. Spesso facevano capolino nella foresta di gambe lunghissime appartenenti ai personaggi che affollavano i miei disegni, abbagliati da un sole-polpo infiocchettato e provvisto di occhi, naso e bocca. L’ultima cosa che ho disegnato è una rappresentazione mostruosa ed ironica dell’ego umano.
4) Hai dei rituali prima di metterti al lavoro e dopo aver finito?
Il disegno è in sé il rituale. Per me funziona come la meditazione, è un atto esplorativo, terapeutico, liberatorio. Quand’ero bambina mi veniva spesso detto che vivevo in un mondo tutto mio. Anche da adulta quel mondo mi ci ritrovo spesso e volentieri, che io sia nella mia stanza o in un luogo affollato, basta un pezzo di carta e qualche colore.
5) Qual è la tua tecnica preferita e perché?
Disegno soprattutto con pennarelli a base acrilica. Ho adottato questa tecnica lavorando al mio progetto, Everyday Distraction. Faccio un disegno al giorno e ho bisogno di realizzare disegni in poco tempo e ovunque mi trovi. Questi colori sono molto comodi da trasportare e usare, scrivono su quasi qualsiasi superficie ed essendo coprenti danno la possibilità di lavorare a strati, aggiungendo dettagli in un secondo momento.
6) Qual è l’errore che un artista non dovrebbe mai commettere?
Personalmente non credo troppo all’errore nella sua accezione più negativa, né nella sperimentazione artistica, né nella vita: tutto è esperienza e si sa che un apparente sbaglio può condurre a grandi scoperte, ove un apparente successo è causa di stagnazione. Penso che tutti dovrebbero sentirsi liberi di compiere errori anziché aver paura di commetterli.
7) Che rapporto hai con le tue opere? Le vendi senza problemi o fai fatica a staccarti?
Non ho troppe difficoltà a separarmi dagli originali perché mi piace che le persone possano ricevere qualcosa di unico e personale. Lasciar andare parte di me in questo modo mi permette di rinnovarmi e desiderare di creare altre cose. Conservo le opere in occasioni particolari, in questo periodo ad esempio non posso venderle perché le esporrò a fine Novembre a Bologna, in occasione di BilBOlbul Festival, nel circuito mostre off.
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