Graziano Locatelli è un artista italiano che lavora tra Milano e Londra. Le sue opere hanno uno stile riconoscibile e altamente personale. Fin da piccolo subiva la fascinazione per gli oggetti distrutti o gli ambienti abbandonati, a maggior ragione quelli domestici. Nel suo percorso artistico ha sviluppato una tecnica per utilizzare le piastrelle di ceramica che l’ha portato a risultati sbalorditivi.
“Ho sempre amato i vecchi muri rivestiti da piccole piastrelle, mi hanno sempre trasmesso una malinconica attrazione” – commenta l’artista – “Inizialmente la piastrella era un oggetto come un altro utilizzato per descrivere uno spazio e un ambiente abitato. Non è stato amore a prima vista ma, dopo alcuni studi, ho trovato nella ceramica un ottimo strumento di linguaggio”.
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Prima che l’arte diventasse la tua prima attività ti guadagnavi da vivere facendo il muratore: direi che ha avuto un’influenza evidente nelle tue opere, sbaglio?
La creatività è dentro di noi e muove la nostra mente e le nostre mani. Ciò che è accaduto durante la mia vita prima di iniziare a produrre opere ha sicuramente influito nell’acquisire una manualità e forse anche nella scelta di alcuni materiali, ma il discorso che porto avanti con la mia arte nasce prima, nella mia infanzia, quando ho costruito la mia emotività tramite alcuni episodi fondamentali. Se avessi continuato il lavoro nei cantieri restando a vivere nelle valli bergamasche non credo che avrei fatto dell’arte il mio mestiere.
L’idea di rottura sembra uno degli elementi ricorrenti nelle tue opere
Sicuramente la frattura, la deframmentazione e la deformazione di corpi solidi sono i tratti del mio linguaggio. Creano uno stadio successivo rispetto a cosa utilizziamo e rispetto al nostro vissuto. È un’altra dimensione dove l’oggetto diventa protagonista invece di essere uno scarto. Nelle fratture della ceramica, ad esempio, si crea un mix di casualità e di forme inedite. Io le ricreo simulando la realtà e dando forme che portano a qualcosa che l’osservatore può cogliere: non solo perché è fondamentale ma che ha anche un forte impatto estetico.
Il corpi che rappresenti non hanno mai un volto e i riferimenti alla morte sono evidenti, come si combina quest’esplosione che fa uscire il soggetto dal muro con un soggetto senza vita?
È molto semplice, i corpi uscenti che hai visto in alcune opere non rappresentano degli esseri umani ma sono il simbolo della vita che assume la forma del ricordo, intriso in una parete. Rappresenta un spazio abitato, testimone di fatti quotidiani e del tempo passato.
Nelle tue opere possiamo leggere qualcosa che deve essere liberato, può essere un’interpretazione corretta?
Forse, ma se vuoi esserne certo ti posso dare il numero del mio analista lui saprebbe… (sorride). Ti posso dire, però, che i corpi uscenti hanno funzionato più da studio per le opere successive: gli squarci, le fratture compatte ed i ritratti sono i temi delle mie ultime opere. Di certo, nel tempo, ho cercato di essere sempre più minimalista.
La piastrella può portarci a ragionare sull’idea di memoria: ci sono quelle nuove e integre, quelle rotte e consumate…
Esattamente, la memoria è ciò che la piastrella mi ha trasmesso ed è per descriverla che utilizzo questo materiale. Un dipinto ha delle ombre e dei colori diversi, dei tratti e delle figure, le fratture sono i miei segni.
Tecnicamente, qual è la parte più difficile nel realizzare una delle tue opere?
Non trovo grandi difficoltà nella realizzazione né nella progettazione. Non ho bisogno di macchinari o utensili particolari solo l’idea e la manualità. Tra l’altro a oggi non sento una forte esigenza di cambiare o sperimentare nuovi materiali, quindi lavoro con una serenità che mi rende tutto molto semplice.