Sergio Sarri è un – relativo… – segreto del mondo dell’arte contemporanea, a modo suo Sarri è un artista da iniziati, ed è lì il bello. La sua è una pop art anomala, che ha poco o nulla in comune con quella che negli anni sessanta si sviluppava a Roma, o a Milano. Sarri è diverso.
È un altro campionato e un altro sport, le sue opere non sono immediate, non sono giocose, anzi, più spesso – soprattutto quelle degli anni ’70 – sono spaventose, indecifrabili, diversissime da tutto quel che siamo stati abituati a considerare come archetipo pop dell’epoca. Mettetelo a fianco di Schifano, di Rotella, la distanza di immaginario è siderale.
Nato nel 1938 a Torino, cresciuto a Bologna, Sarri da ragazzo gira il mondo, poi torna in Italia, e ormai da tempo vive e lavora a Calice Ligure: dal 24 febbraio al 2 aprile avremo un’ottima occasione per conoscerlo meglio, visto che a Milano saranno esposte trenta sue tele di medio e grande formato, all’interno di una mostra antologica che ripercorre cinquanta anni di carriera dell’artista intitolata Sergio Sarri. Opere 1967 – 2017, a cura di Walter Guadagnini, in programma da Robilant + Voena, in via Fontana 16 a Milano, inaugurazione giovedì 23 febbraio alle 18.30.
Piacerebbero di sicuro a Cronenberg o a Ballard le opere di Sarri, dipinti “glacialmente analitici, freddi nella loro precisione, esibiscono frammenti di corpi che fanno pensare a una visionarietà sadomasochista” e dove, scrive il curatore Walter Guadagnini “A ben vedere, i corpi (…) sono scomposti, agglomerati di carni che danno vita ad arti o teste indecifrabili, in parte coperti da strani elementi da immaginario fetish, in parte vestiti con banali abiti borghesi”. Quello di Sarri è un mondo parallelo allucinato, pieno di lame, ibridi tra uomo e macchina, arcobaleni, simbologie vagamente esoteriche, robot, tubi da idraulico, cinghie…
Quando gli chiedono come mai Sarri dipinga “la macchina”, o l’ibrido tra uomo e macchina, lui risponde: “Viviamo in un mondo tecnologico, e d’altra parte la nostra generazione ha ancora un bagaglio umanistico del quale è molto difficile liberarsi, come ha potuto fare la generazione successiva (…) Nel miei quadri risulta un pessimismo evidente, malgrado il quale tuttavia, e anzi proprio perché lo rappresento, spero in una estrema possibilità dell’uomo dl non soccombere“. Negli anni del deep learning delle macchine, le opere di Sarri sono profetiche.
E continua, in un dialogo sempre con Guadagnini spiegando che “in fondo il mio interesse nei confronti della tecnologia, delle macchine, è senza dubbio un modo per rimanere coinvolto nella vita reale anche facendo il pittore ed inventando mondi paralleli; non a caso sono un appassionato di fantascienza, il regista che amo di più è Stanley Kubrick, insieme a David Lynch“. Ha qualcosa di burroughsiano Sarri: se non lo conoscete ancora, questa è un’ottima occasione per.