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Il fascino spettrale del cimitero monumentale di Milano nelle foto di Mattia Mognetti

Il Famedio, 1866, foto © Mattia Mognetti

 

Il Cimitero Monumentale di Milano è un vero e proprio museo a cielo aperto, con le sue costruzioni dai richiami bizantini, gotici e romanici riproposti nel 1866 da Carlo Maciachini, l’architetto che lo progettò.  Nel Famedio, la sua entrata principale, vi trovano sepoltura i grandi d’Italia come Alessandro Manzoni e Carlo Cattaneo, ma anche personalità scomparse in questi anni, come Enzo Jannacci.

Al suo interno, il Cimitero Monumentale ospita sculture ed edicole funebri, obelischi e colonne dall’altissimo valore artistico. Resta però sempre un cimitero e a nessuno di noi verrebbe la voglia di rimanerci intrappolato di notte.

Mattia Mognetti, un laureato in neuroscienze prestato alla fotografia e all’arte digitale, ha fotografato l’interno del Cimitero e le sue opere nella serie “Моnuмеnтаlе“, facendole uscire dal nero pece, come se fossero miniature o scenografie di un film dell’epoca d’oro dell’horror. Nessuna presenza umana, nessun contesto riconoscibile.

Costruzioni e monumenti isolati, che in questo modo diventano ancora più iconici e potenti. Lo abbiamo intervistato per saperne di più sul suo lavoro.

 

Edicola Bernocchi, 1931-36, foto © Mattia Mognetti

 

“Mi chiamo Mattia Mognetti e ho 29 anni. Mi sono laureato in psicologia clinica e neuroscienze coltivando la mia passione per le arti e per la fotografia, che col passare degli anni sono diventate il mio principale interesse. Oggi mi occupo di fotografia e di editing di immagini, soprattutto per aziende che operano in ambito architettura e design, e da anni sto sviluppando diversi progetti personali.”

 

Ossario Centrale, 1865, foto © Mattia Mognetti

 

Perché hai scelto questo soggetto?
Le immagini di questo progetto ritraggono alcuni monumenti che mi sono molto familiari, sopratutto quelli collocati all’interno del cimitero monumentale di Milano. Questo è uno spazio denso di materiale interessante, che nel corso degli anni ho metodicamente esplorato e ripetutamente fotografato. Il primo frutto di questi studi è stata una serie di ritratti di soggetti scultorei, pubblicata un paio d’anni fa. Parallelamente stavo sviluppando anche un altro progetto personale, “Restore”, focalizzato sull’architettura sacra e in cui è presente una forte componente di post-produzione finalizzata anche a ripulire alcuni edifici da quegli elementi urbani che col passare degli anni, a volte in maniera del tutto inclemente, si sono inseriti nel contesto originario. Da questi due lavori si è sviluppato quest’ultimo.

 

Arco della Pace, 1807-38, foto © Mattia Mognetti

 

Le tue fotografie sono spettrali, quasi uscissero fuori dal set di un film horror della Universal anni ’30. Come le hai realizzate?
La scelta di usare il nero, di giocare sui contrasti forti e di rieditare le luci e le ombre è una caratteristica distintiva di diversi miei lavori. Mi piace come la maestosità, la solennità, degli edifici entri qui in dialogo con l’atmosfera surreale dell’immagine. Se il proposito non è la mera documentazione, ma è qualcosa di più espressivo, come in questo caso, tra le cose che cerco vi è senza dubbio l’impatto, visivo ed emotivo. Non penso sia dunque un caso che possa sollecitare un parallelo con l’atmosfera caratteristica del cinema horror degli anni ’30, atmosfera in quella sede alimentata anche da un uso caratteristico delle luci e delle ombre, dei contrasti e della grana della pellicola. Il realismo era messo in secondo piano, come accade anche in queste immagini, per privilegiare altre chiavi di lettura e toccare altre corde.

 

Monumento ai caduti, 1927 – 29, foto © Mattia Mognetti

 

“Dal punto di vista tecnico ciascuna fotografia ha richiesto un lavoro scrupoloso, a partire dalla realizzazione dello scatto, eseguito ad hoc, fino alla lunga e minuziosa post-produzione.”

 

Edicola Brutti, foto © Mattia Mognetti
Simone Stefanini

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Simone Stefanini

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