Le infografiche possono anche essere belle, ma quelle di Dear Data sono praticamente uniche. Nato nel settembre 2014, è un progetto delle visual designer Giorgia Lupi e Stefanie Posavec. Sono separate dall’Atlantico (vivono rispettivamente a NewYork e Londra), ma la cosa non ha impedito loro di scambiarsi una cartolina a settimana, per un anno intero. Niente di eccezionale, se non fosse per il fatto che le loro cartoline sono delle infografiche illustrate a mano, che estrapolano i loro dati personali.
Le infografiche di Dear Data raccolgono emozioni, incontri, cibo, amicizie, pensieri negativi, musica e abitudini nell’uso dello smartphone: quante volte hanno detto “grazie” o sono state ringraziate da una persona? Quante volte hanno controllato le notifiche delle app? Che tipo di musica hanno ascoltato? Quali libri hano letto?
Le due designer hanno esplorato diversi aspetti personali delle proprie vite e li hanno trasformati in altrettante infografiche che si sono scambiate attraverso 52 settimane di cartoline. Un modo mai visto prima per conoscere se stesse e un’altra persona. Incuriositi dal progetto, abbiamo chiesto a Giorgia Lupi come è andato questo esperimento di “slow data” a cavallo dell’Oceano.
Come avete fatto a essere così diligenti per un anno di fila?
L’aspetto collaborativo è definitivamente il centro di tutto. Ci siamo responsabilizzate l’un l’altra: avere un’altra persona coinvolta nel portare avanti il progetto è un bene, perché non vuoi deluderla. È stato anche utile fissare un piano e una tempistica inflessibili: abbiamo disegnato le nostre cartoline ogni weekend, spedite ogni lunedì per conoscerci meglio attraverso i dati per 52 settimane. La cosa più importante è che entrambe amiamo disegnare, e dato che lavoriamo in digitale per la maggior parte del tempo siamo state molto felici di poter finalmente dedicare un po’ di tempo al disegno ogni weekend! Personalmente, affrontare un progetto del genere e portarlo avanti fino alla fine ha contribuito all’atmosfera di crescita e studio che voglio conservare nel corso della mia vita, tant’è che ho capito che è stato proprio questo ad aiutarmi a essere disciplinata!
Quanto tempo impiegavi a realizzare una cartolina tra raccolta dati, bozze e illustrazioni?
La raccolta dati durava sette giorni per ogni cartolina. Dopodiché, lasciavamo i dati a riposare per tutta la settimana successiva mentre stavamo già raccogliendo quelli per la settimana successiva. Per quanto riguarda il disegno, i tempi variavano molto: quando ero fortunata, non facevo errori e capivo subito come illustrare i dati, finivo la mia cartolina in due o tre ore. Altre volte ci sono volute quattro o cinque ore – e diverse testate contro il muro! Di solito iniziavo analizzando i miei dati, guardandoli per capire quali aspetti della settimana avrei voluto evidenziare. Sai, un’altra cosa che abbiamo capito è che alla fine del weekend la cartolina andava spedita, era quindi impossibile rimandare e procrastinare all’infinito, in questo modo ti ritrovi ad accettare le imperfezioni, ad accettare che probabilmente non era la soluzione migliore ma almeno è qualcosa di compiuto.
Una delle tue prime cartoline ha avuto qualche disavventura postale. È successo spesso?
Dopo 52 settimane il bilancio è questo: tre delle mie cartoline andate perdute (e le ho dovute ridisegnare); una cartolina mi è tornata indietro e l’ho dovuta rispedire; quattro cartoline di Stefanie sono andate perdute (le ha ridisegnate); una delle mie (quella della dodicesima settimana) si è inzuppata durante il viaggio e ha assunto un look molto vissuto.
Quali app o software avete utilizzato per raccogliere i dati?
Prima di iniziare abbiamo deciso che avremmo dovuto raccogliere i dati a mano, prendendo appunti nelle nostre Moleskine. Ma dopo i primi tre giorni ci siamo mandate dei messaggi e ci siamo rese conto che sarebbe stata una cosa folle. Così abbiamo iniziato a utilizzare strumenti digitali come, per esempio, annotando tutto con Note su iPhone oppure su Mac, e anche con Evernote. A volte abbiamo usato anche l’app Reporter. Il più delle volte il risultato finale era un miscuglio di diverse tecniche, come scrivere appunti su Evernote al telefono, a volte su carta se riusciva più semplice che annotarle in digitale, o addirittura dicendo al mio compagno “ricordati che devo appuntare questa cosa appena arrivo a casa.” Perché nell’inverno gelido di New York dell’anno scorso c’erano momenti in cui proprio non riuscivo a togliermi i guanti per scrivere sul telefono. Di conseguenza, ho dovuto fare affidamento anche sulla mia memoria.
Parlando di Dear Data con altre persone ti è mai capitato di assistere a reazioni strane?
Domanda interessante. Di solito tutte le persone con cui ho parlato erano molto curiose del progetto. Abbiamo reso pubblica la cosa lanciando il sito web dopo dieci settimane di lavoro, ed è stato molto divertente. Eravamo soddisfatte. Ci sono arrivate centinaia, quasi migliaia di commenti di tutti i tipi da persone diverse, che non erano solo geek e designer. Non abbiamo mai smesso di deliziarci e sorprenderci del fatto che le persone stavano dedicando del tempo per scriverci e dirci quanto amavano il progetto. A volte commentavano dettagli specifici, raccontandoci come anche loro stavano iniziando a conoscerci attraverso i nostri dati. Abbiamo anche capito che questo tipo di progetti coinvolgono le persone su diversi livelli: quando le persone twittano o ci scrivono utilizzano aggettivi e sostantivi che difficilmente assoceresti a un progetto basato sui dati. Descrivono Dear Data come “cool, adorabile, divertente, fantastico, innovativo, impegnato, coinvolgente, umano, naturale, sublime” e così via. E non finiamo mai di ricevere questo genere di definizioni. Poi ci sono un sacco di messaggi di persone che raccontano di quanta ispirazione abbiano trovato in Dear Data: c’è chi vuole prendere la palla al balzo e iniziare il proprio progetto di data-drawing o di approfondimento personale. È incredibile. Da un altro punto di vista, muoio dalla voglia di sapere che ne pensa il postino delle nostre cartoline. Purtroppo non ho mai avuto modo di chiederglielo.
Hai fatto un bilancio personale dopo Dear Data? Il progetto ti ha aiutata a vedere la tua vita sotto una luce diversa?
Abbiamo imparato entrambe che la cosa cosa più importante è prestare attenzione, ed essere consapevoli di noi stesse e di ciò che ci circonda. Per noi Dear Data è stato un progetto di ricerca su noi stesse a lungo termine in grado di toccare diversi temi contemporaneamente. Alcune settimane sono state di particolare approfondimento, soprattutto quelle che hanno premuto tasti particolari, come le nostre ossessioni; o dettagli personali, come la relazione con i nostri compagni/mariti per esempio. Ma l’esperienza principale che abbiamo abbracciato è stata l’attenzione ai particolari.
Una cartolina di Stefanie parla del terrore che si prova quando si perde il proprio smartphone. Anche tu hai scritto che parlare del tuo è una cosa molto delicata. Dear Data ti ha messo di fronte a “usi e costumi” della tecnologia su cui non ti eri mai soffermata?
Sappiamo che per generare dati basta respirare: i nostri acquisti, spostamenti in città e ricerche su internet contribuiscono a formare le impronte di dati che lasciamo lungo la nostra vita. Mi sono resa conto che per estrarre un significato reale da questi dati una persona dovrebbe focalizzarsi e dedicarsi a una pratica che faccia chiarezza e interpreti questi numeri attraverso storie personali, comportamenti e routine. Più in generale, pensiamo che i dati estrapolati dalle nostre vite siano un’istantanea del mondo, così come una fotografia è la cattura di un frammento di tempo. I dati possono descrivere la trama nascosta in ogni aspetto delle nostre vite, dalla nostra esistenza digitale fino al mondo naturale che ci circonda. Non appena realizzi che i dati possono essere raccolti da ogni singola cosa sul pianeta, capisci come trovare questi numeri invisibili. E inizi a vederli ovunque.