Art
di Simone Stefanini 22 Giugno 2017

I classici dell’arte incontrano i brand nei collage di Nicholas Mottola Jacobsen

I marchi sono le nuove opere d’arte? Lo abbiamo chiesto a Nicholas Mottola Jacobsen

Il mash up è il territorio naturale per i lavori di Nicholas Mottola Jacobsen. Mescolanza di epoche e stili che tornano nei suoi nuovi collage in cui si serve dei classici della storia dell’arte per portarli nella nostra dimensione, quella dominata dai brand. Gli abbiamo fatto qualche domanda in proposito.

 

Oggigiorno a molti piace giocare a decontestualizzare l’arte classica. Come ti è venuto in mente di mettere i brand sui capolavori del passato?
Da sempre, nel mio percorso artistico, ho trovato ispirazione nelle opere pittoriche e, attraverso esse, la mia idea di arte si è sviluppata ed espressa. Il filo rosso che lega i miei lavori, nonché l’idea di fondo, è la contemporaneità dell’arte: bellezza atemporale senza confini spaziali che, come la moda del resto, esprime davvero se stessa quando uno sguardo si posa su di essa. O si è un’opera d’arte o la si indossa.

Pensi che i loghi dei brand siano le opere d’arte più riconoscibili di oggi?
Sono dell’idea che oggigiorno le massime espressioni artistiche e di creatività si fondono con la moda e con il branding. Caravaggio potrebbe collaborare con Gucci e magari Raffaello dare una svolta alla nuova pubblicità targata Ikea. Quella che lega i brand all’arte è una passione controversa, un’attrazione reciproca che esiste da sempre. Si pensi al futurismo di Depero a servizio di Campari; o ancora a Nokia, la cui immagine simbolo ricorda le celeberrime mani di Adamo e di Dio dipinte da Michelangelo nella “Creazione di Adamo”. In effetti  la contemporaneità dei brand e la moda  la loro riconoscibilità  devono molto all’arte: il loro salto di qualità, è tutto merito di quest’ultima.

 

 

Quali sono i tuoi canali promozionali preferiti?
Non credo di poter parlare di una vera e propria promozione dei miei lavori. Un tempo ero molto legato a Tumblr. Di tanto in tanto mi capita di tornarci, fare un giro, ma non è più quello di una volta. Il mio nuovo “contenitore”, se così possiamo definirlo, è Instagram – tra una storia e l’altra! Ah! Prima o poi renderò felice anche mio padre, che ormai da troppo tempo mi rimprovera di finire il sito!

C’è spazio per l’evoluzione della pop art in Italia?
La Pop Art ha radicalmente cambiato il modo di fare arte contemporanea e su questo non ci piove. In Italia? Non saprei. Geolocalizzare una corrente artistica non è una priorità dei nostri giorni, la geolocalizzazione serve solo a Google Maps per portarti al ristorante indiano più vicino. Io ho sempre avuto molti contatti dall’Asia, ho avuto modo di parlare con giovani designer interessati a quello che faccio. Così i miei lavori si sono evoluti tra l’Italia e l’Asia, poi Marrakech, l’Africa, la Grande Mela!   La Pop Art continua la sua evoluzione e rivoluzione culturale all’insegna dei valori imposti dal consumismo e da internet senza legarsi a nessun posto fisico in particolare.

Se l’Ultima cena fosse stata fatta al Mac, Giuda avrebbe trovato la forza per tradire Gesù?
Non credo, specie dopo il menù grande.

 

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