Siamo abituati a mostre ed esposizioni nei musei, ma anche in luoghi sempre più strani ed estremi. Una mostra su un’isola disabitata, condannata a essere sommersa nell’arco di pochi anni, però, non l’avevamo ancora vista. Un buco colmato dalla Biennale de La Biche, esposizione che inaugura il 6 gennaio su un’isola abbandonata nell’Oceano Atlantico, al largo di Guadalupa.
Il cuore dell’esposizione sarà una serie di opere che verranno messe in mostra e poi lasciate a se stesse, in attesa che il mare se le prenda. Un’idea azzardata, ancora più strana se si considera che non è venuta ad artisti locali, ma a Maess Anand e Alex Urso, rispettivamente un’artista polacca e un italiano che vive a Varsavia. Abbiamo contattato Alex Urso per farci raccontare come è nata l’idea e come si svilupperà la biennale.
Quando ho visto l’evento su Facebook ho subito pensato alla bufala o alla provocazione, mi confermi che è tutto vero?
Ma no, le bufale e le provocazioni le fanno gli artisti senza idee. La voglia di realizzare una biennale d’arte contemporanea in un’isola sperduta delle Antille è nata da una proposta di Maess Anand, pittrice e disegnatrice polacca che, per motivi personali, si stava preparando ad un viaggio nell’isola caraibica di Guadalupa. Conoscendo la mia attività – oltre che di artista – di curatore indipendente, mi ha lanciato la palla, chiedendomi di pensare insieme a un evento da realizzare ad Ilet La Biche, un’isola minuscola raggiungibile dalla Guadalupa in barca. È stata una decisione presa ad occhi chiusi, senza voler calcolare i rischi del caso. Nessuno di noi era infatti mai stato sull’isola, e neanche ne conoscevamo lo stato. Sapevamo comunque che esisteva sulla mappa. Ci siamo detti di provare, nonostante i tempi strettissimi, i fondi inesistenti, e l’eventualità che gli artisti – senza garanzie – avrebbero respinto l’idea. Eppure tutto ha preso forma, i lavori stanno viaggiando proprio in queste ore sull’isola, e il 6 gennaio apriremo ufficialmente l’evento: la più piccola biennale d’arte contemporanea al mondo.
Ecco, parlaci un po’ di La Biche
Ilet La Biche è un un’isola con una fauna marina incantevole, uno di quei posti tropicali per definizione: mare limpido, tartarughe e tutto il resto. Eppure è un luogo fantasma, perché l’isola, anni fa vivibile, ora è disabitata e destinata a scomparire a causa dell’innalzamento dei mari. È un posto che non ha neanche più una superficie: qualche turista avventuroso ci arriva in barca, ma non ci sono strutture in grado di accogliere nessuno. Piantata al centro dell’isola c’è sola una vecchia baracca in legno, decrepita anche quella, e in buona parte sommersa: all’interno di questa struttura ciancicante abbiamo progettato la biennale.
Cioè?
In questo vecchio capannone abbiamo invitato quattordici artisti internazionali, chiedendo loro di presentare dei progetti espositivi dalle dimensioni ridotte, non invasivi in nessun modo per l’ambiente circostante, in grado di adeguarsi alle dinamiche del luogo e, eventualmente, di deperire col tempo. Ogni lavoro, dunque, avrà un inizio (al momento della sua installazione in loco), e una fine non determinabile. Probabilmente, nel giro di poche settimane, dei lavori installati non resterà traccia. Proprio come dell’isola tra qualche anno…
Abbandonare l’arte a se stessa, insomma.
L’idea è quella di intendere l’opera d’arte non più come frammento monumentale e stabile su una linea del tempo, ma come elemento fragile che decade, seguendo i limiti del mondo di cui è inevitabilmente parte. L’artista, rispetto all’isola, diviene un intruso all’interno di uno spazio originale, che non gli appartiene. In punta di piedi si relaziona all’ambiente e alla natura del luogo accorgendosi della caducità dell’elemento artistico e, in ultimo, della sua funzione. Esistono oltre 150 biennali al mondo, ma una su un’isola sperduta, con lavori destinati a consumarsi sul posto, forse non si era mai sentita.
Guarda la gallery Styrmir Örn Guðmundsson, Resolution - Xerox print, 2017 Karolina Bielawska, Lure - Polyurethane foam, 2016 Jeremie Paul, Ecume - Flag, 2016 Aleksandra Urban, Elephant - Photograph, 2016+6
Come avete scelto gli artisti?
Una volta definito il concept della biennale abbiamo pensato agli artisti, mediamente tutti sotto i trentacinque anni. Essendo una biennale su un’isola disabitata, era interessante coinvolgere autori provenienti da diverse nazioni, in modo da intendere l’isola come una sorta di campo neutro nel quale far convergere forze provenienti da tutto il mondo. Chiaramente abbiamo dovuto tener conto dei limiti logistici ed economici: abbiamo dunque cercato un compromesso, richiedendo opere dalle dimensioni ridotte, facili da trasportare o da inviare. In alcuni casi mostreremo un disegno, come con l’opera di Styrmir Örn Guðmundsson (Islanda), in altre una fotografia, come nel caso di Aleksandra Urban (Polonia), in altre ancora una installazione o una performance, che realizzeremo sul posto seguendo le indicazioni dell’artista. Ovviamente abbiamo fatto tutto senza finanziamenti alle spalle. Ci siamo detti: quanto abbiamo? Niente. E ci è sembrato sufficiente. I lavori sono stati caricati in valigia, senza assicurazione, e con un bel po’ di paura, perché anche se gli artisti sapevano tutto, diverse tra le opere coinvolte hanno un valore stimato piuttosto importante. Eppure, in situazioni del genere, non conosco altro modo per fare le cose: se il progetto si propone come indipendente, deve sostenersi con le risorse che ha, ma soprattutto trovando rimedio a quelle che non ha.
Ecco l’elenco completo degli artisti che faranno parte della prima Biennale de La Biche: Karolina Bielawska (PL), Norbert Delman (PL), Michal Frydrych (PL), Styrmir Örn Guðmundsson (ICE), Maess (PL), Ryts Monet (ITA), Jeremie Paul (FR), Lukasz Ratz (PL), Lapo Simeoni (ITA), Saku Soukka (FIN), Aleksandra Urban (PL), Yaelle Wisznicki Levi (USA/PL), Alex Urso (ITA), Zuza Ziółkowska-Hercberg (PL).