108 è sicuramente uno dei più interessanti street artist italiani contemporanei. Già presente anche nella mostra La bellezza fa 40 organizzata da Better Days lo scorso anno a Lecce, potete trovare le sue opere in molte delle più importanti città del mondo e capirete subito che si tratta di lui: l’uso del nero, le forme astratte ma assolutamente riconoscibili e un attento lavoro di dedicato alle proporzioni e alla location in cui il disegno viene inserito. In questa lunga intervista ci racconta di come la sua idea di street art sia evoluta negli anni.
Il nero è una delle grandi costanti dei tuoi lavori. Come è maturato nel tempo il tuo rapporto con questo colore?
Assolutamente sì, è una costante. Sono arrivato al nero per due motivi: primariamente per un motivo pratico. Venivo dai graffiti classici, quando ho iniziato con il “progetto 108” usavo spray sui muri e carta adesiva gialla ritagliata per le forme più piccole. Avevamo iniziato a frequentare sempre più spesso posti abbandonati, non ci interessava più così tanto essere visibili, ma il contesto in cui dipingevamo. Lo spray mi aveva un po’ stufato e ho provato ad usare solo il biancone in modo grezzo come facevano a Berlino, ma il risultato con le mie forme non mi soddisfaceva per niente. Allora ho provato il nero, purtroppo non così economico e reperibile come il bianco, ma molto, molto più forte, perfetto per le mie forme e molto meno invasivo n quei posti così già naturalmente perfetti. Il secondo motivo è quello del nero come simbolo. La gente collegava il giallo dei primi tempi (usavo il giallo perché era il colore più visibile sui box grigi) come una cosa solare, divertente. Esattamente il contrario di quello che stavo facendo, forme volutamente incomprensibili ai più, molto più simile ad una malattia che ad una decorazione. Il nero esprimeva il mio carattere introverso e un’idea di eleganza in qualche modo.
Guarda la gallery L’affascinante astrattismo di 108 L’affascinante astrattismo di 108 L’affascinante astrattismo di 108 L’affascinante astrattismo di 108+22
Quanto è importante il contesto in cui decidi di inserire una tua opera?
Se lavoro in un contesto pubblico, all’aperto diciamo, la location diventa fondamentale. Rappresenta il 50% del lavoro completo: per me trovare il contesto giusto è importantissimo, significa osservare, trovare la texture, lo sfondo, la luce, le condizioni ideali in cui dipingere. Questo è il motivo per cui ancora oggi, nel 2016, ho bisogno di fare lavori murali. Ovviamente non parlo dei festival, dove tutto è scelto da altri e molto spesso l’idea di chi organizza è quella di “riqualificare”, lontana da me anni luce. Su tela il contesto me lo devo creare con fondi e cose del genere, è molto diverso.
C’è molto studio e molta preparazione ogni dietro tua opera, o sei relativamente veloce quando lavori?
Dipende: in genere non faccio schizzi accurati, ho solo un’idea di come occupare lo spazio e poi decido tutto al momento, specialmente se si tratta di grandi muri. Poi, usare una matita è completamente diverso da usare un pennello o un rullo e le dimensioni influenzano i movimenti che faccio dipingendo. Per quanto riguarda pitture o lavori all’esterno, l’ambiente circostante mi influenza tantissimo e non posso capirlo quando sono a 2000 km di distanza con una foto del muro che mi hanno mandato via email. Poi, per me, è importante lavorare, cerco di dare più spazio possibile al mio lato istintivo e al caso. È una pratica spirituale, purtroppo sono ad uno stadio veramente primitivo e la parte razionale interviene sempre in modo troppo invadente. Detto questo, la parte preparatoria è quella più importante. Osservo e studio ogni cosa fin da quando sono nato, penso e metto sotto processo ogni idea e ogni opera che realizzo. In quello che faccio ci sono io fino a punti più profondi e nascosti. E’ una guerra continua.
L’idea che spesso tu copra grandi parti di muro con il nero può comunicare un senso di annichilimento, può essere una giusta interpretazione dei tuoi lavori?
Penso proprio di sì. Il nero può avere due significati allo stesso tempo: quello di un buco in cui entrare e perdersi, quello di forma concreta fisica che ti sovrasta. Lo amo perché io stesso, dopo anni, non riesco a vederlo solamente in un modo o nell’altro. Quando ho iniziato con 108, era un progetto sia visuale che sonoro, e lo è ancora oggi. Le forme nere erano accompagnate da produzioni sonore non-musicali composte da rumore. In questo senso devo dire che la mia parte pittorica è stata influenzata pesantemente dalla musica industriale, da Russolo ai Throbbing Gristle, ma soprattutto da Maurizio Bianchi e Mauthausen Orchestra. Però adesso, nel 2016, io vedrei il nero più che altro come segno di distinzione, di introspezione.
Raramente utilizzi forme geometriche, perché?
Figure come il cerchio, il triangolo o il quadrato, sono forme perfette. Le ho usate in varie occasioni, ma sono forme così perfette che uno le può usare così come sono. Una volta ho pensato che avrei voluto disegnare solo triangoli neri. Però a me piace molto dipingere, anche se non faccio figurativo da anni, io mi sento un pittore, mi piace lavorare con le vernici con i pennelli, mi piacciono le imperfezioni e le colature, mi piace il colore come materia. Mi piace e mi piace disegnare migliaia di forme, tutte diverse, amo l’irregolarità e il centro del mio lavoro è appunto la forma. Quindi mi piace creare le mie forme.
In più interviste hai ribadito come il tuo percorso artistico sia assolutamente personale ed egoistico, e quindi non tieni conto del parere del pubblico o delle possibili suggestioni che le tue opere possano provocare negli altri. Non confrontarsi mai con il pubblico può avere delle controindicazioni?
La penso così, ma ovviamente detta in quel modo è una provocazione. Inoltre la reazione del pubblico ai miei lavori è una parte molto importante. Quello che non sopporto e che negli anni a volte mi ha irritato è il vedere “l’arte pubblica” solo in funzione di una fantomatica riqualificazione. È un modo di vedere le arti in generale, molto distante da me, che mortifica la cultura e che la rende intrattenimento low cost per gente annichilita che non ha alcun interesse culturale. L’arte è arte, migliora le persone nel profondo, non è una cosa superficiale. E se vogliamo vedere nell’arte una qualche funzione sociale, allora dovrebbe cercare di insegnare alle persone a fermarsi per qualche minuto e farsi delle domande. Prima di abbellire le periferie con dei disegni sottopagati sarebbe meglio migliorare i servizi, cambiare gli alberi tagliati e cose del genere.