Art
di Gabriele Ferraresi 12 Gennaio 2016

Edoardo Pepino: dentro il Labirinto più bello del mondo

La storia del Labirinto di Franco Maria Ricci alla Masone di Fontanellato, raccontata da chi la conosce bene.

Edoardo Pepino sarà al Better Days Festival il 30 e 31 gennaio

Che ci si perda anche solo per arrivarci è in fondo un buon segno. Dopo ci si perderà ulteriormente. Ma ogni singola volta che da Milano sono partito alla volta del Labirinto della Masone di Fontanellato – poco lontano Parma – mi sono sempre, sempre, sempre perduto tra strade di campagna sterrate, perso anche un po’ apposta, lo ammetto, ma era lì il bello. Perdersi per strada mentre si va verso un labirinto. E mi perdo infatti anche questa volta, quando oltre che per una visita al Labirinto della Masone devo anche incontrare Edoardo Pepino, 32 anni, nipote di Franco Maria Ricci e direttore editoriale della casa editrice che pubblicava – e a breve ricomincerà a pubblicare – FMR, la più leggendaria delle riviste d’arte, oltre ai libri più belli del mondo. Quelli però non ha mai smesso di editarli. E che oltre a queste già due impegnative mansioni, dedicate in gran parte al culto del bello, segue anche ogni giorno le attività del Labirinto.

Il Labirinto: il più grande del mondo, con i suoi  25 tipi differenti di bambù, che si estende per circa 3 km. E il suo parco che copre circa 7 ettari di campagna parmense, e poi i 5000 metri quadri di struttura espositiva e le circa 500 opere collezionate da Franco Maria Ricci in decenni di amore per l’arte. Un progetto pensato forse da sempre, ma partito ufficialmente nel 2003 e inaugurato a metà 2015, dopo tredici anni di lavoro.

Dove siamo? Poco importa: conta più il quando siamo, siamo nel pieno della macroregione, ma c’è ben poco che ricordi la pianura di Padania Classics: qui il tempo è ancora fermo a una trentina d’anni fa e il capannone è stato eretto sì, ma rimane circondato da un territorio verde e gentile, tutt’altro che malamente antropizzato. Questo è vero soprattutto nei pressi del Labirinto, dove la campagna è come uno si immagina la campagna: non è una distesa di capannoni, o di anonime palazzine pensate in buona fede da geometri di provincia quaranta, cinquant’anni fa. È campagna.

 

Edoardo Pepino, responsabile editoriale di Franco Maria Ricci Editore, all'interno del Labirinto della Masone.  Edoardo Pepino, direttore editoriale di Franco Maria Ricci Editore, all’interno del Labirinto della Masone – Foto: Gabriele Ferraresi.

 

Il Labirinto di bambù – immaginato da Franco Maria Ricci e sognato con lo scrittore argentino Jorge Luis Borges – è di tipo romano, con gli angoli retti, suddiviso in quartieri e corredato da bivi, bivi destinati a diventare per gli ospiti vicoli ciechi. Il perimetro ha forma di stella, come fosse uscito dal Trattato di Architettura del Filarete, cui prende ispirazione, così come la presero secoli fa Sabbioneta, o Palmanova: il Labirinto è così uno splendido anacronismo inaugurato a metà 2015.

Parcheggio, mi aspetto il deserto – era in fondo quello “il labirinto più grande del mondo”, proprio secondo Borges – invece malgrado sia un martedì, giorno ufficialmente di chiusura sia per il Labirinto che per il museo che raccoglie le opere collezionate nel corso di decenni da Ricci, c’è il pienone. Caso vuole che già nel parcheggio incroci Edoardo, siamo puntuali entrambi, l’orologio segna le 9.30 di martedì 22 dicembre. Entriamo negli edifici del Labirinto e saliamo nel museo dove è conservata la collezione di Ricci. Lì c’è l’ufficio di Edoardo e la redazione di Franco Maria Ricci Editore.

 

Edoardo Pepino all'interno del museo che ospita la collezione di Franco Maria Ricci.  Edoardo Pepino all’interno del museo che ospita la collezione di Franco Maria Ricci – Foto: Gabriele Ferraresi

 

Per arrivarci passiamo in rassegna le centinaia di opere che Ricci ha raccolto in decenni di culto per la bellezza, in particolare quella neoclassica, ma non solo. Parliamo d’arte, Edoardo racconta la sua passione il barocco e il visionario “Se dovessi dire un artista che amo, direi Hieronymus Bosch, rappresenta una realtà onirica che non è in nessun altro, ha inventato una cosa che potrebbe essere della sua epoca, ma potrebbe essere attualissima, potrebbe essere di oggi. Estremamente dettagliata, completa nella sua visione”. Camminiamo. Oltre alla temporanea mostra sulla follia, dove scorriamo in mezzo a dipinti di Ligabue e Ghizzardi, ci lasciamo alle spalle allegoriche vanitas, procediamo a fianco di candidi busti di Canova, modelli in scala del Duomo di Milano costruiti da detenuti a inizio ‘900, tele di Carracci, finanche  una wunderkammer dove mi blocco a osservare rari denti di narvalo. Il museo è deserto, nostro. Gli ospiti della convention resteranno ancora ad ascoltare i discorsi motivazionali del loro amministratore delegato o presidente. Poveri loro.

Edoardo Pepino ed io ci accomodiamo a un tavolo del museo, ci osserva una Beatrice scolpita da Canova.

Quando è stata la prima volta in casa hai sentito parlare del Labirinto?

Non saprei, direi da sempre… il labirinto è un oggetto che mi è davvero familiare, fa parte di quella categoria di temi di conversazione che conosco da tanto tempo, mi viene da pensare che in famiglia fosse presente da sempre, da ben prima che nascessi. L’idea vera e propria di costruirlo penso di averla sentita intorno al 2003, in quegli anni Franco Maria Ricci ha ceduto alcuni dei marchi, che ora ha recuperato, per finanziare la creazione proprio del labirinto. E in realtà quando ho capito che Ricci aveva questo progetto, ho capito anche che avrebbe avuto un inizio e una fine: e che per quanto potesse sembrare assurdo e impossibile – e in giro tutti cominciavano un po’ a essere scettici su questo progetto – io sapevo che sarebbe arrivato al termine. Conoscendo la persona, sapevo che qualunque progetto, anche il più folle andava portato a termine. Ci ha messo tanto tempo, ed è cambiato in tanti aspetti, si è arricchito: se prima era un labirinto come simbolo, poi è diventato un labirinto di bambù, poi un labirinto di bambù con all’interno delle architetture neoclassiche, poi si sono aggiunte la collezione d’arte sua, collezionata in cinquant’anni, poi è diventato anche una casa editrice… chissà cosa sarà domani.

È pieno di gente anche oggi che dovrebbe essere chiuso

Sì, oggi saremmo chiusi, ma è tempo di convention aziendali…

Passeggiamo rapidamente nel Labirinto, di cui Edoardo ha le chiavi. È alto, magro più di me, casual-chic. Incrociamo giardinieri sudamericani che regolano il bambù: va spesso potato in altezza e ha bisogno di cure continue, amorevoli. Ma giunto dalla Cina alla pianura padana pare trovarsi benissimo.

Edoardo Pepino nel Labirinto. Gif di Giorgette_P - Edoardo Pepino nel Labirinto

 

Le forme del labirinto e delle strutture sembrano del Filarete o degli architetti della rivoluzione francese, vengono in mente Ledoux e Boullèe

L’architetto che ha pensato insieme a Ricci il Labirinto è Pier Carlo Bontempi, vive qui vicino, a Collecchio, fa parte di INTBAU, una scuola internazionale di architettura guidata dal Principe Carlo d’Inghilterra e da Leon Krier, un altro grande architetto di origine canadese. In realtà Ricci e Bontempi hanno lavorato insieme, come fossero il principe rinascimentale e l’architetto, anche perché Ricci aveva molto ben chiare le architetture che voleva costruire, lo stile quale voleva avvicinarsi, che era appunto quello degli architetti della rivoluzione francese. Che non è un semplice neoclassicismo, è un neoclassicismo visionario. Una via di mezzo tra il visionario e il neoclassico. Un’architettura fatta di grandi forme geometriche, di cose a volte impossibili da realizzare.

Architetti che ci hanno lasciato poco o nulla, se non splendidi progetti

Sì, è un’architettura fatta di grandi forme geometriche, a volte impossibili da realizzare oggi, figuriamoci all’epoca. La maggior parte di questi architetti francesi ha costruito poco, ed è un’architettura particolare: fatta anche di rovine. Su FMR, mi pare intorno al 1994, era stato pubblicato un articolo, proprio sulle piramidi disegnate da Ledoux: questi disegni erano già delle rovine in fase di progetto, insomma… loro già nei progetti riempivano i disegni di dettagli che erano quelli delle future rovine. La bellezza di questa architetture così fantastiche era proprio il fatto di vedere delle architetture inutili, passate, oniriche. Per cui anche su questo Ricci ha avuto l’occhio lungo. Se un giorno il labirinto non dovesse più funzionare, se un giorno tutto andasse in un’altra direzione, la verità è che qui in mezzo alla pianura padana ci sarà sempre una piramide e dei porticati neoclassici che verranno invasi piano piano dai bambù, formeranno qualcosa che farà parte delle bellezze d’Italia.

Avete inaugurato il Labirinto sei mesi fa: com’è andata? 

La storia del labirinto in questi sei mesi è stata piena di sorprese, nessuno avrebbe potuto immaginare se sarebbe stato un successo o un insuccesso, perché nessuno ha mai costruito un labirinto del genere. Così grande, e che poi non avesse un carattere puramente ludico, ma anche un interesse letterario e culturale. La verità è che il successo è stato grande e inatteso, nell’arco di sei mesi abbiamo avuto 48mila visitatori, e se uno pensa che deve venire a Casalbarbato di Fontanellato, al Labirinto, apposta per vedere questo posto, è un numero veramente notevole. Non ce lo saremmo mai aspettati.

 

Il bambù cresce rigoglioso nel Labirinto  Il bambù cresce rigoglioso nel Labirinto – Foto: Gabriele Ferraresi

 

Ero passato qui, a Fontanellato anche altre volte in passato. Anche prima che il Labirinto fosse terminato, anche prima che iniziassero i lavori. Ero stato a casa di Ricci, che ora sarà sicuramente diversa: molte delle opere che albergavano in una abitazione che era una vera e propria casa museo, ora sono in un museo vero e proprio. E in quella casa ricordo la biblioteca bodoniana. Ricci, collezionista delle opere di Bodoni, del tipografo parmense aveva praticamente tutto. Tutto. Tutto quanto Bodoni aveva stampato, tranne alcune rarissime edizioni, chissà se perdute, chissà se in mano a qualche collezionista che non voleva separarsene. Ricci quelle edizioni introvabili – forse introvate tutt’ora – diceva “Sono i miei unicorni”.

Che fanno qui i visitatori? Oltre a perdersi, s’intende

Restano mezza giornata, molti anche una giornata intera. Passeggiano, fanno un giro, vanno a vedere la mostra, fanno un altro giro, mangiano dallo chef Spigaroli, vivono questo luogo un po’ come speravamo lo vivessero, e insomma… ci riempie d’orgoglio che le persone amino venire qui. Anche Ricci si commuove, la gente quando lo incontra lo ringrazia “Grazie di avere fatto un posto del genere”.

Come avete pensato l’allestimento della collezione d’arte di Franco Maria Ricci?

Abbiamo cercato di non cadere nei cliché, o nelle normalità di un museo. Abbiamo cercato di creare un posto che somigliasse a una casa, o anche a un ufficio, che avesse dentro attività che fossero moderne e allo stesso tempo tradizionali. Abbiamo creato una cosa nuova, e creando una cosa nuova non puoi mai sapere il successo che andrai ad avere. Per ora è andata bene.

 

Franco Maria Ricci, 77 anni.  Franco Maria Ricci, 77 anni: la spilla in bachelite che indossa nacque per abbellire un regalo ricevuto da Ottavio Missoni nel 1973. Ricci ne conserva una ventina di esemplari ancora oggi – Foto: Gabriele Ferraresi

 

È andata bene: FMR è soddisfatto. FMR ovvero Franco Mario Ricci, nato a Parma il 2 dicembre 1937. Le sue iniziali in francese si pronunciano éphémère, effimero: effimero come le vanitas, nature morte secentesche che rammentano ancora oggi all’uomo l’inevitabile caducità della vita. E di vanitas Ricci è da sempre grande appassionato e collezionista, molte, un tempo conservate nella sua abitazione – a poche centinaia di metri dal labirinto, immersa nel verde – ora sono ospitate all’interno del museo. Franco Maria Ricci, poliedrico cultore del bello, esteta, editore e collezionista, designer: suoi i loghi di CariParma, delle cucine Scic, e sua l’idea delle opere d’arte sui biglietti aerei Alitalia.

 

Fu di Franco Maria Ricci l'idea di rappresentare opere d'arte sui pieghevoli destinati a proteggere i biglietti aerei Alitalia. Era l'epoca in cui i biglietti aerei non erano un foglio stampato da un amico: erano veri biglietti.   Fu di Franco Maria Ricci l’idea di rappresentare opere d’arte sui pieghevoli destinati a proteggere i biglietti aerei Alitalia. Era l’epoca in cui i biglietti aerei non erano un foglio stampato da un amico che ha ancora la stampante: erano veri biglietti.

 

Edoardo, prima che ci perdiamo: di che cosa ti occupi qui?

Sono il responsabile editoriale di Franco Maria Ricci Editore e ultimamente mi sono anche occupato di questa impresa, che non è stata un libro come di consueto, ma è un posto: il Labirinto della Masone, di cui seguo la parte contenutistica. Dagli eventi dedicati all’editoria, alle mostre temporanee, alla collezione permanente che è conservata in queste sale.

Com’è la tua giornata tipo?

Ah, sono quasi sempre qui, alla Masone di Fontanellato, al Labirinto. E comporta dei momenti di concentrazione in cui devo passare la giornata, perché devo mettere in piedi un libro. È un lavoro che ha bisogno di concentrazione e anche di solitudine in certi casi, a parte il lavoro che viene fatto con grafici, con la tipografia.

Sfogliare i volumi pubblicati da Franco Maria Ricci produce vertigine. È la vertigine della perfezione, sia per le pubblicazioni di altri decenni, sia per quelle più recenti, cui ha messo mano Edoardo. Sono libri perfetti. Dal progetto grafico, alle foto – scattate da fotografi come Massimo Listri – ai testi. “Per i libri oggi lavoriamo molto spesso con istituzioni che sponsorizzano il volume, e hanno delle esigenze particolari: sapendo che siamo molto bravi ci danno carta bianca (sorride). Però poi mettere insieme tutte queste persone, fotografi, autori dei testi, e altre persone che non sono nemmeno vive, come gli autori dei quadri, o gli autori dei testi citati che non sono più tra noi… è una sorta di piccolo puzzle. E poi Ricci pretende che il lavoro che viene fatto sia un lavoro fatto bene, molto bene, e non è facile.

E il Labirinto invece che cure richiede?

Cure molto diverse, richiede delle attenzioni immediate, ci sono sempre dei piccoli problemi che nascono e che vanno risolti, visto che il museo ha aperto da poco tempo, e stiamo ancora prendendo le misure. Ogni giorno ci sono incertezze. Passare tempo al telefono, fare riunioni, decidere quali sono i piccoli progetti da mandare avanti giorno per giorno o i grandi progetti a lungo termine. E cercare di fare questa cosa e i libri con la stessa filosofia. La scelta delle piccole cose che riguardano il labirinto seguano la stessa eleganza e la stessa cura che abbiamo sempre avuto con i libri.

Già, i libri di FMR: meraviglie da bibliofili, meraviglie per pochi. Un lusso impudico, una ricchezza nella costruzione della pagina che lo stesso Ricci riassumeva così: “Non diamo mai un’immagine ridotta, ingabbiata su due colonne, ma dieci pagine di riproduzioni a colori, per le quali a volte facciamo anche cinque prove di stampa“. Collane che solo dai titoli fanno sognare, o forse provare a ricordare un sogno: I segni dell’uomo, Morgana, Quadreria, Luxe, calme et volupté, Curiosa, La Biblioteca di Babele, Iconographia, La biblioteca blu, Guide impossibili, Italia/Antichi Stati, Grand Tour.

 

Foto: Gabriele Ferraresi  Foto: Gabriele Ferraresi

 

Fai un lavoro cui nessun campo di studi può preparare

Ho studiato da storico dell’arte, prima a Milano e poi per un periodo a Parigi, alla Sorbona. Inizialmente poi ho fatto un’apprendistato nel campo del mercato dell’arte, lavorando da Christie’s a Londra e poi per delle gallerie a Zurigo, ma non era la mia strada. Così sono tornato in Italia e ho cominciato un lavoro, che era il lavoro della mia famiglia: l’editore di libri d’arte, e ormai lo faccio da tanti anni.

Un grand tour in Europa, cosa ricordi di quel periodo?

Mi ricordo una cosa molto bella e che non tornerà mai più: non sapere nulla. Vivere in un luogo e conoscerlo da zero con quella che chiameremmo ingenuità, ma in realtà è qualcosa di differente, è proprio la scoperta giorno per giorno. Se ripenso adesso ai ricordi di quei giorni, quando studiavo a Parigi o lavoravo a Londra, la cosa più bella era proprio che ogni giorno imparavo qualcosa di nuovo.

E oggi cosa impari lavorando qui?

Imparo anche oggi, ma all’epoca non sapevo niente prima: all’epoca non sapevo niente… trovo che sia più interessante lavorare quando non sai nulla prima. Partire da zero. Poi quando acquisisci le competenze, quando impari il mestiere, è allo stesso modo interessante perché riesci a portare a termine anche cose difficili, e lo fai in qualche caso anche con facilità: non te lo saresti mai aspettato, ma ci riesci. Invece è così bello sbagliare ogni tanto. E anche rendersi conto che prima si sapeva ben poco.

Le “cose difficili” che Edoardo Pepino porta a termine per la Franco Maria Ricci Editore sono probabilmente i libri d’arte più belli del mondo. Vivono di vita propria, sulla scia di altri volumi entrati nella leggenda pubblicati nel corso di decenni di amore per l’arte da Franco Maria Ricci.

Alcuni volumi pubblicati Franco Maria Ricci Editore, tra cui il Codex Seraphinianus del 1981.  Alcuni volumi pubblicati Franco Maria Ricci, tra cui il Codex Seraphinianus del 1981.

 

Dal Codex Seraphinianus di Luigi Serafini, pubblicato nel 1981 – la fantaenciclopedia illustrata e scritta in una lingua immaginaria che tanto affascinò Italo Calvino – alla ristampa de l’Encyclopèdie di Diderot e d’Alembert, per la quale Ricci, tra gli altri, coinvolse anche Roland Barthes. In un lavoro iniziato nel 1970, che diede i suoi frutti dieci anni dopo, nel 1980. A proposito de l’Encyclopèdie leggo da un numero di FMR dell’ottobre 1984 che conservo a casa in cui si avvisano i lettori delle ultime copie disponibili, il prezzo di vendita: “L’Encyclopèdie in 18 volumi, rilegati in seta (L.3.600.000)” e “L’Encyclopèdie in 18 volumi, rilegati in piena pelle (L.5.400.000)”. Ma quanto ancora ci sarebbe da scrivere dei libri pubblicati da Franco Maria Ricci: sono tutti, nessuno escluso, un inno alla bellezza, e forse vale la pena di citare quello da cui partì tutto.

 

Alcuni volumi pubblicati Franco Maria Ricci Editore.  Alcuni volumi pubblicati Franco Maria Ricci Editore.

 

La ristampa del Manuale Tipografico bodoniano, una follia datata 1963, quando Ricci decise di proporlo alle biblioteche di mezzo mondo: si dice che risposero in quattrocento a quella chiamata, ma molti lo fecero sbagliando la cifra da inserire per il pagamento, 500$ anziché 50$, come richiesto. Pagarono di più: gli sembrava troppo poco. Un altro “si dice”? Ricci negli anni sessanta decise di consegnare personalmente al direttore della Public Library di New York la copia del Manuale Tipografico che aveva acquistato. All’aeroporto lo mandano a prendere gli chiedono dove sia suo padre: troppo giovane il Ricci di allora per pensare un’opera simile. Au contraire era l’inizio di una storia che prosegue ancora oggi con Edoardo Pepino.

Qual è la storia, il DNA, di FMR casa editrice?

La casa editrice in realtà è impersonata da un uomo, Franco Maria Ricci, che dentro la sua casa editrice e dentro tutte le attività che ha svolto – per cui grafica, architettura – è sempre riuscito a rispecchiare il suo stile, la sua personalità. La sua persona è una cosa sola con il suo stile. Ha sempre visto i suoi libri e tutte le sue attività come un’unità, c’è un particolare “occhio” che ha sempre avuto per l’arte, per ciò che è bello, e soprattutto per distinguere ciò che è bello da ciò che è brutto, e nessun altro ha avuto nella sua epoca quella capacità. È un insegnamento molto difficile da portare avanti identico: però credo di averlo assimilato, lo porto avanti.

Che libri avete fatto quest’anno?

In questi sei mesi abbiamo fatto diversi progetti editoriali, anche se all’inizio pensavamo fosse complicato mescolare una casa editrice a un posto dove i visitatori potevano girare, interromperti, insomma, pensavamo fosse impossibile. Invece è possibile. Di quest’anno ci sono due progetti per l’estero molto interessanti, uno sul Museo Nazionale di Arte Antica di Lisbona, il museo più bello di Lisbona, ha delle opere meravigliose. Sono state studiate e selezionate da uno storico dell’arte, Paolo Pereira, che è anche uno storico della scienza. E il libro ha delle immagini meravigliose, fotografate da Massimo Listri. Un altro libro molto complesso di quest’anno – ci è voluto più di un anno per portarlo a termine – e il risultato è ottimo, è un libro che abbiamo fatto per il Ministero della Cultura del Messico. È la storia di un botanico al servizio dei conquistadores, che aveva documentato flora e fauna del Messico dell’epoca. Il suo lavoro era composto di 16 volumi, tutti di acquerelli, ma era andato perduto, bruciato nell’Escorial all’inizio del 1600. In questo libro vengono raccolto tutto il corpus di Hernandez, preso da quei botanici e appassionati che avevano copiato il codice prima che bruciasse, quindi prima del 1671. Ovviamente i testi sono dei più importanti autori italiani e messicani esperti di botanica e fauna, il libro ha una carta meravigliosa, riproduzioni perfette.

Ci spostiamo verso la zona bookshop, dove sono esposte in consultazione – e volendo, in vendita – le ultime opere pubblicate. Non ci sono altri ospiti insieme a noi “Molti visitatori quando arrivano al bookshop e vedono le nuove opere si stupiscono, vedono che in questa struttura si creano dei libri, e li creano le persone che lavorano qui dentro” 

Un volume realizzato insieme al Ministero della Cultura del Messico, che riproduce illustrazioni di flora e fauna antecedenti al 1671. Quando il Nuovo Mondo era ancora nuovo.   Un volume realizzato insieme al Ministero della Cultura del Messico, che riproduce illustrazioni di flora e fauna antecedenti al 1671. Quando il Nuovo Mondo era ancora nuovo – Foto: Gabriele Ferraresi

 

Quest’anno poi avete fatto il libro sul Labirinto e quello sulle botteghe di Milano del 1500

Sì, gli artigiani milanesi del 1500 producevano per i regnanti e collezionisti di tutta Europa meravigliose armature, o oggetti in cristalli di rocca straordinari. Sono artisti oggi poco conosciuti, ma al tempo erano celebri in tutto il continente. Producevano oggetti bellissimi, che i potenti si strappavano di mano, in molti casi oggetti splendidi ma assolutamente inutili: come una coppa di cristallo di rocca con draghi in bronzo… però questi oggetti oggi fanno parte delle collezioni dei musei più importanti del mondo, dal Metropolitan, al Kunsthistorisches Museum di Vienna, al Louvre, al Rijksmuseum di Amsterdam.

Quante copie stampate a libro?

Dalle duemila fino alle cinquemila copie, se collaboriamo con altre case editrici come Rizzoli sono tirature abbastanza alte, per dei libri d’arte.

Non poi così poche, anche perché si tratta di edizioni pregiate, e la cui produzione è costosa, così come il prezzo per chi le acquisterà. E in un settore – quello dell’editoria libraria – dove i tempi sono stati sicuramente migliori, sembra che Franco Maria Ricci Editore abbia saputo applicare un principio validissimo anche online: occupare una nicchia, esprimendosi al massimo, creando un prodotto perfetto e impossibile da copiare. È la verticalità pura, la nicchia, della nicchia, della nicchia in cui per paradosso, c’è sempre spazio.

C’è un libro che vorresti fare e non avete ancora fatto?

Sarebbe bellissimo fare un libro sulle rovine, anche se è difficile fare libri di quel tipo. Le rovine possono essere declinate in tanti modi, possono essere moderne, antiche… insomma, è complicato. Mentre se uno ha una selezione di oggetti, ti faccio un esempio: come per l’artigianato milanese, è più facile, sono oggetti che hanno delle somiglianze tra loro. Sarebbe bellissimo un libro sui ninfei, ma ce ne sono talmente tanti, di diverse epoche, che sarebbe difficile abbandonarne qualcuno.

Quindi che rovine ci consiglieresti di visitare?

C’era un architetto fantastico, Tomaso Buzzi, la cui attività è poco nota, se non che lavorava con gli Agnelli, di cui ha rifatto alcune case, e ha costruito una città ideale meravigliosa che si chiama Scarzuola. Una città visionaria che oggi è una rovina, ma ci sono tanti posti in Italia del genere. Il Giardino di Ninfa a Cisterna di Latina per dirne uno, è un insieme di rovine, vegetazione, architetture assolutamente immaginarie, è poco visitato, ma andrebbe conosciuto di più. A Lainate hanno da poco restaurato il ninfeo, ed è una meraviglia. E poi la Sicilia stessa, tutta, in Sicilia ci sono rovine poco conosciute meravigliose, chiese intere in mezzo alle campagne, cattedrali gotiche con i soffitti caduti. Ma c’è rovina e rovina. Ci sono rovine meravigliose perché sono rovine di edifici meravigliosi. Altre rovine sono meravigliose perché sono state immaginate per essere delle rovine, e una volta diventate rovine hanno raggiunto il loro scopo. È quella la loro bellezza è compiuta.

E la bellezza compiuta in Italia dov’è?

Ovunque. 

 

Edoardo Pepino tra i bambù del labirinto di Fontanellato  Edoardo Pepino tra i bambù del labirinto di Fontanellato – Foto: Gabriele Ferraresi

 

Perfetto, guidaci tu: dove andiamo?

Prendete la E55, che collega Cesena a Viterbo: ha una cattiva fama, è piena di buche, ma a qualunque uscita, a una qualunque, che può essere Todi, Assisi, Perugia, o Cesena stessa, ci sono dei posti meravigliosi. E poi la bellezza è nei piccoli posti, in qualunque piccola chiesa puoi trovare opere mai viste, l’Italia è così. La bellezza compiuta è dappertutto. Fisicamente a portata di mano uno ha sempre dei capolavori, il paradosso? È raro trovare dei posti dove non ci siano.

Sappiamo ancora distinguere il bello dal brutto? 

È giusto interrogarsi su ciò che è bello e brutto, per molti anni non lo abbiamo fatto, né in Italia né all’estero. Ricci lo ha sempre fatto. Ogni cosa che gli capita, ogni oggetto che gli capita sott’occhio, lui si interroga se è bello o brutto. Di qualunque epoca, di qualunque genere. È una selezione che va al di là del gusto personale, a Ricci piace il neoclassico, a qualcuno piacciono gli astrattisti, a qualcun altro chissà cosa. E il bello poi è tutto, ha un’utilità che va oltre. Un busto di Canova [lo indica, è sul tavolo dove si sta svolgendo l’intervista, ndr] è bello al di là dell’utilità, perché in questo caso ritrae la Beatrice di Dante e ha un significato letterario, ma è un oggetto bello di per sé. Va oltre quel concetto di bellezza che è destinato alla pura utilità.

E la nostra generazione ha ancora questo culto del bello?

Secondo me sì, la nostra generazione, i nati nei primi anni ottanta ha questo tipo di attenzione. Lo vedo anche tra chi non lavora nel settore dell’arte, c’è interesse per la grafica, per il mondo dell’immagine in generale. Dobbiamo ringraziare il web per questo, i social media, la possibilità di poter reperire iconografie o grafiche poco note, oggi siamo sì bombardati di comunicazione a livello di immagine, ma bombardiamo a nostra volta. Il mondo della pubblicità che nel 1900 ti riempiva di immagini passive: uno subiva e lì c’è stata confusione. Era difficile capire cos’era bello e cosa brutto. Invece è diverso, puoi rispondere al fuoco.

L’attenzione per distinguere il bello dal brutto e la cura per i dettagli delle edizioni FMR in un aneddoto.

Le copertine delle prime annate di FMR, la rivista - non solo d'arte - più bella del mondo. Siamo nei primi anni ottanta.   Le copertine delle prime annate di FMR, la rivista – non solo d’arte – più bella del mondo. Siamo nei primi anni ottanta.

 

Ricordo un editoriale firmato da Franco Maria Ricci nel numero di FMR di ottobre 1985, trent’anni fa, in cui spiegava ad abbonati e lettori l’aumento di prezzo della rivista: “Per farci conoscere da molti abbiamo voluto a tutti i costi contenere il prezzo dell’abbonamento (rimasto praticamente invariato per tre anni, dal 1983 al 1985) e quello di copertina. Questo ci ha spinto ad abbandonare la stampa in macchina piana e ad adottare anche noi le rotative offset a quattro colori e una carta relativamente leggera. FMR è rimasta bella, ma non sempre come io, suo editore, l’avrei voluta. Basta, me ne pento, non accadrà più. (…) Sarà in tutto e per tutto come la sognavo quando la lanciai con lo slogan: la rivista più bella del mondo”. Quale editore oggi saprebbe raccontare la sua impresa in questa maniera? Quale lettore o abbonato avrebbe voglia di starlo a sentire? Nessuno.

 

Alcuni loghi disegnati da Franco Maria Ricci: molti sono in uso ancora oggi, a decenni di distanza dal progetto.   Alcuni loghi disegnati da Franco Maria Ricci: molti sono in uso ancora oggi, a decenni di distanza dal progetto.

 

Per Franco Maria Ricci il bello è incarnato dal neoclassico: per te?

Anch’io ho vissuto nel concetto di bellezza neoclassica, ma ho una grande passione per il barocco. È un’espressione in alcuni casi anche folle e visionaria della realtà, ma non ha ancora raggiunto quella stabilità e quell’equilibrio che nel neoclassico c’è. La bellezza classica comprende anche il tormento che c’è alle spalle del barocco, ma lo trasforma in una concezione stabile di bellezza che è la bellezza classica. Forse perché sono più giovane, ma ho una grande passione per le epoche più oniriche, più visionarie. Ma del resto anche Ricci ha sempre avuto un côte di passione per l’onirico e per il visionario, anche documentato dal rapporto che ha avuto con Borges.

Come sento dire dalla prima elementare arte e turismo sono la nostra ricchezza. Cosa ci manca per valorizzare al meglio il nostro patrimonio?

Manca un progetto. In Italia- e forse in Italia è difficile proprio essendo così democratica la presenza di opere e meraviglie artistiche – è difficilissimo avere un progetto. E il progetto più semplice è la rete: ma una rete significa sempre e comunque una selezione, e su un numero tale di opere, immagino possa essere difficile. Già viene fatto, certo, le sovrintendenze volendo sono una rete… ma per valorizzare un patrimonio come quello italiano serve un progetto specifico, che oggi manca. Nei secoli forse c’è stato. Oggi però manca perché un progetto ha bisogno di tempo, ma il tempo è sempre la cosa che manca.

Qui il progetto l’avete avuto

Esatto, è l’opposto di qui, andremo avanti per l’eternità. Rimarremo tra i piedi dei posteri.

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