I panda non sono solo delle pigre e tenere palle di pelo create l’ottavo giorno dal Dio delle coccole, sono anche dei funzionari di alto rango della diplomazia cinese, perché, cosa poco nota, tutti i panda giganti del mondo sono di proprietà cinese, anche quelli nati in altre nazioni.
I panda giganti vivono in natura solo nel Qinling e nel Minshan, due piccole zone montuose all’interno della Cina rurale e sono circa 1500 esemplari. Altri 500 vivono in cattività, di questi solo 70 vivono fuori dalla Cina, e sono fuori dai confini nazionali per delle ragioni molto precise. I primi panda ad essere inviati all’estero nella storia recente erano dei regali diplomatici (l’usanza di regalare animali rari ad altri stati è abbastanza diffusa in oriente), ne furono inviati 23 a nove differenti nazioni tra il 1958 ed il 1982, ma dal 1984 ci fu un cambiamento importante.
Dal 1984 la Cina smise di regalare i panda, ed iniziò a concederli con dei contratti di affitto a lungo termine che prevedono il pagamento di 1 milione di dollari all’anno per panda. Tra le molte clausole c’è l’importazione di bambù dalla Cina, il pagamento di consulenze fatte da esperti cinesi, una multa di 500mila dollari nel caso in cui un panda muoia per colpa dello zoo. Ogni prodotto biologico dei panda come sangue, ovuli, sperma, pelliccia, rimane di proprietà cinese, e soprattutto la clausola più importante, che prevede che ogni cucciolo di panda nato in territorio straniero sia comunque cinese, ed ovviamente non è gratis, costa 400mila dollari all’anno.
Quest’ultima clausola è la chiave di quella che viene chiamata Panda diplomacy, di fatto non è sufficiente avere abbastanza denaro per affittare un panda, bisogna avere anche buone relazioni con la “casa madre”, e qui il detto follow the money si tramuta in follow the panda and find the money.
La maggior parte delle concessioni di panda in affitto è l’atto finale di importanti accordi commerciali con la Cina. Australia, Canada e Francia, hanno ricevuto dei panda dopo aver concluso accordi di vendita di uranio e tecnologie nucleari.
Nel 2010, dopo che il dissidente cinese Liu Xiaobo venne premiato con il Nobel per la pace (il Nobel per la pace viene consegnato ad Oslo a differenza di tutti gli altri premi Nobel, conferiti in Svezia), la Cina smise di importare salmone norvegese e firmò un contratto da 4 miliardi di dollari con la Scozia, inviando poi un panda allo zoo di Edinburgo.
Se i buoni rapporti portano panda, i cattivi rapporti ed a volte anche solo delle frizioni non portano fortuna. I panda negli zoo stranieri sono degli inconsapevoli e paffuti diplomatici, che possono venire richiamati in patria in caso di tensioni tra il paese ospitante e la Cina. Ritirare un proprio diplomatico è un atto formale con un grande peso nei rapporti internazionali, ed i panda sono delle armi diplomatiche cinesi.
Nel 2010 la Cina chiese pubblicamente al presidente Obama di non incontrare il Dalai Lama, Obama non poteva certo chinare il capo di fronte ad una richiesta cinese (come invece fece l’Austria nel 2013). Due giorni dopo l’incontro, due cuccioli di panda nati in territorio statunitense vennero fatti rimpatriare dalla Cina grazie alla clausola per la quale ogni panda del mondo, ovunque sia nato, è di proprietà della Repubblica Popolare Cinese.
La diplomazia dei panda rientra nella strategia del soft power (volta ad incrementare la propria influenza e prestigio internazionali e renderli pari alla loro già immensa forza economica e militare), ed è gestita ai più alti livelli della politica cinese, il presidente Xi Jinping firma personalmente i contratti che legano i panda alle nazioni straniere, e seppur il protocollo burocratico non sia pubblico, è noto che in molti casi la Cina voglia da parte della nazione che riceverà il panda una richiesta pubblica, fatta di persona da parte del suo più alto rappresentate (come Angela Merkel nel 2017), un processo che richiama volutamente gli antichi rituali dell’impero celeste.