Ambiente
di Gabriele Ferraresi 15 Aprile 2016

Perché votare sì o votare no al referendum sulle trivellazioni di domenica 17 aprile

Tutto quello che c’è da sapere, comprese le ragioni del sì e del no

referendum trivellazioni  La scheda con il quesito del referendum di domenica 17 aprile

 

Ci siamo: domenica 17 aprile, si andrà a votare per il referendum sulla durata delle trivellazioni in mare. C’è tanta confusione in giro e a molti non è ben chiaro: ma alla fine, per che cosa andiamo a votare?

Per rispondere a una domanda in realtà molto semplice. La riassume bene l’Espresso, spiegando che i cittadini italiani “Dovranno decidere se i permessi per estrarre idrocarburi in mare, entro 12 miglia dalla costa, cioè più o meno a 20 chilometri da terra, debbano durare fino all’esaurimento del giacimento, come avviene attualmente, oppure fino al termine della concessione. In pratica, se il referendum dovesse passare – raggiungere il quorum con la vittoria del sì – le piattaforme piazzate attualmente in mare a meno di 12 miglia dalla costa verranno smantellate una volta scaduta la concessione, senza poter sfruttare completamente il gas o il petrolio nascosti sotto i fondali. Non cambierà invece nulla per le perforazioni su terra e in mare oltre le 12 miglia, che proseguiranno, né ci saranno variazioni per le nuove perforazioni entro le 12 miglia, già proibite dalla legge”. Tutto semplice no?

Cosa serve per votare?
Per votare serve la tessera elettorale e un documento di identità valido. Il Ministero dell’Interno precisa che sono ok a) carta d’identità o altro documento d’identificazione munito di fotografia, rilasciato dalla pubblica amministrazione b) tessera di riconoscimento rilasciata dall’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia, purché munita di fotografia e convalidata da un Comando militare c) tessera di riconoscimento rilasciata da un ordine professionale, purché munita di fotografia

Quando si vota?
Si vota domenica 17 aprile dalle 7 alle 23.

 

trivelle_referendum  Un’azione dimostrativa di Greenpeace su una piattaforma nel Mare Adriatico

 

Cosa succede se vince il sì e cosa succede se vince il no
L’abbiamo visto poche righe sopra, però spieghiamolo di nuovo. Su Internazionale leggiamo cheSe vincerà il sì sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del codice dell’ambiente, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente. La vittoria del sì bloccherebbe l’estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa italiana, quando scadranno le concessioni o le eventuali proroghe già approvate, cioè tra il 2017 e il 2034. Se dovessero vincere i no, invece, la legge non verrà modificata e le estrazioni in corso potranno continuare fino all’esaurimento del giacimento e le concessioni potranno essere rinnovate”.

Cosa succede se non si raggiunge il quorum del 50% + 1
Il referendum non è valido quindi tutto resta com’è.

 

 

Le ragioni del sì
Ecco qui si entra nel campo dell’opinabile. E le opinioni sono come le mutande, tutti ne abbiamo un paio. Vediamo di partire con le ragioni del sì. Chi tifa per il sì al referendum sulle trivellazioni spiega e La Stampa lo riassume molto bene – che ci sarebbero 1) Rischi per la fauna – Per la scansione dei fondali viene utilizzato l’air gun, spari di aria compressa che generano onde che “leggono” il sottosuolo. Alcuni cetacei e alcune specie di pesce vengono danneggiati con lesioni e perdita dell’udito a causa dell’air gun 2) Ci guadagnano solo i petrolieri  – Per estrarre petrolio le compagnie devono versare dei “diritti”, le cosiddette royalties. Ma per trivellare i mari italiani si pagano le royalties più basse al mondo: il 7% del valore di quanto si estrae 3) Il gioco non vale la candela – L’incidente è comunque possibile e in un mare chiuso come il Mediterraneo il disastro ambientale sarebbe amplificato. Inoltre la trivellazione non risolverà i nostri problemi energetici: le riserve certe nei mari italiani equivalgono a 6-7 settimane di consumi nazionali di petrolio e 6 mesi di gas.

Le ragioni del no
Sempre La Stampa mette in fila tre punti di chi è a favore del no, che chiariscono la questione: 1) Perdita di investimenti e posti di lavoro – Smettere di usare gli impianti entro le acque territoriali italiane significherebbe perdere gli investimenti fatti fino a oggi e quelli futuri. Oltre che a migliaia di posti di lavoro 2) Basso rischio di incidenti – Dal 1950 a oggi ci sono stati pochi incidenti che hanno riguardato impianti di estrazione: a Cortemaggiore (Piacenza) appunto nel 1950 e a Trecate (Novara) nel 1994. Un incidente in mare è avvenuto a Porto Corsini (Ravenna) nel 1965 3) Fabbisogno energetico – Secondo le stime il petrolio presente nei mari italiani sarebbe pari a 700 milioni di tonnellate. Il nostro consumo attuale all’anno è 58 milioni di tonnellate. Nel 2014 sono stati importati 54 milioni di tonnellate. Avere fonti energetiche nostre ci fa spendere meno e ci mette al riparo da cali improvvisi dovuti a crisi internazionali.  Secondo le stime sarebbe pari a 700 milioni di tonnellate. Il nostro consumo attuale all’anno è 58 milioni di tonnellate. Nel 2015 sono stati esportati 21 milioni di tonnellate.

Cosa dicono gli ambientalisti
Ovviamente sono nella stragrande maggioranza per il sì. Se volete approfondire la questione il sito di Greenpeace è pieno di approfondimenti e faq sul referendum per le trivellazioni del 17 aprile, che rispondono anche direttamente ad alcune delle ragioni del no che abbiamo letto qui sopra. Ad esempio, riguardo alla perdita di investimenti e posti di lavoro, Greenpeace risponde che “Un’eventuale vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Un esito positivo del referendum, infatti, non farebbe cessare immediatamente, bensì solo progressivamente, l’attività petrolifera in corso entro le 12 miglia, secondo le scadenze già stabilite. Prima che il Parlamento, lo scorso dicembre, introducesse la norma su cui gli italiani sono chiamati a esprimersi alle urne, le concessioni per estrarre gas e petrolio avevano normalmente una durata di 30 anni più proroghe. E ciò era noto a ogni società petrolifera (e ai suoi dipendenti) fin dal momento del rilascio della concessione. Una vittoria del Sì non farebbe altro che mettere una scadenza certa a queste concessioni già in atto: quella prevista al momento del rilascio, senza consentire ulteriori proroghe”.

Riguardo invece alla sicurezza e al basso rischio di incidenti e per l’ambiente, sempre Greenpeace risponde “L’impatto sull’ambiente delle trivellazioni in mare può essere devastante: nessuno può escludere incidenti gravi e la portata di uno sversamento di petrolio, in un mare chiuso come il Mediterraneo, che impiega circa 90 anni per il ricambio completo delle proprie acque, potrebbe danneggiare gli ecosistemi in modo irreparabile (…) È chiaro inoltre come le trivelle possano avere impatti negativi sul turismo e sulla pesca sostenibile, settori vitali della nostra economia che andrebbero tutelati da ogni rischio. Si pensi che il turismo costiero fa registrare ogni estate oltre 40 milioni di presenze di turisti stranieri nei nostri mari; e che la pesca oggi, senza contare i suoi indotti e la maricoltura, impiega circa 25 mila persone.”

Infine per quel che riguarda le stime e il fabbisogno energetico dell’Italia, alla domanda “Davvero l’Italia è ricca di petrolio?” Greenpeace risponde “No. I dati parlano chiaro: le riserve certe di petrolio sotto i nostri fondali ammontano a meno di 2 mesi di consumi nazionali. Quelle di gas a meno di 6 mesi (…) Non c’è una compagnia di Stato che potrebbe beneficiare di questo piano di trivellazioni, ma soltanto i petrolieri e il loro profitto privato. Petrolio e gas, una volta estratti, apparterebbero a loro, non agli italiani”.

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