Videogioco narrativo e attività secondarie, aggiunta superflua o necessaria?

Uno dei profili da sempre più interessanti nel mezzo videoludico risiede nella sua capacità di intrattenere attraverso la narrazione. Il videogioco è utilizzato per raccontare storie che in molti casi non solo sono perfettamente paragonabili ai mezzi più tradizionali, come film o libri, ma talvolta sono addirittura per essi di ispirazione: possono farsi decine di esempi, ma basti pensare ai film di Tomb Raider, basati sull’omonimo franchise videoludico, o a The Last of Us, recente e apprezzata serie tv trasposizione dell’omonimo videogioco del 2013.

Insomma, non solo intrattenimento puro e semplice: l’offerta di un videogioco è spesso concentrata sulla narrazione di una determinata storia. Eppure, è praticamente impossibile trovare un videogioco narrativo la cui offerta non sia arricchita, almeno in qualche misura, da contenuti opzionali di vario tipo. Minigiochi, missioni secondarie, collezionabili: gli esempi sono numerosi, ma portano tutti a chiedersi quanto, in un gioco story-driven, sia necessario inserire attività secondarie.

In realtà l’aggiunta di contenuti opzionali risponde a una logica ben precisa: il ritmo della narrazione. Raccontare una storia, attraverso qualsiasi mezzo si scelga di farlo, rende necessario saper gestire i tempi della narrazione: quando accelerare, quando indugiare in parti descrittive e così via. Il videogioco non è da meno, e i contenuti opzionali spesso rappresentano esattamente la versione videoludica di quelle “pause” narrative tanto necessarie per sceneggiatori e scrittori. In un gioco come Ori and the Will of the Wisp, acclamato platform metroidvania, in corrispondenza dei punti maggiormente emotivi della trama anche il gameplay diventa frenetico; indugiando in attività secondarie o esplorando per collezionabili la narrazione invece è in stallo, e l’intero gioco si riduce ai classici del platform come corse e salti col giusto tempismo.

Videogioco narrativo e attività secondarie, aggiunta superflua o necessaria?  Foto di Sam Pak su Unsplash

In altri casi, l’inserimento di attività secondarie è finalizzato a creare un mondo di gioco il più vivo possibile: ottimi esempi possono essere visti in giochi narrativi su mappe open world, formula tradizionalmente adottata dalla serie Grand Theft Auto. Si può pensare a GTA San Andreas, ormai un classico del videogioco essendo datato 2004, che narra una lunga storia in versioni rivisitate di tre città americane: Los Angeles, San Francisco e Las Vegas. La versione rielaborata di quest’ultima, Las Venturas, è ricca di casinò e locali notturni, uno dei quali entra in possesso del protagonista che lo gestirà per parte della trama.
Ovviamente la gestione del casinò si svolge in missioni che non portano avanti la trama principale, e che forniscono l’occasione per inserire classici intrattenimenti come la roulette. In questo caso l’utilizzo della roulette assolve una doppia funzione: da un lato aumenta l’immersione, dall’altro è un minigioco volto all’intrattenimento. Sotto il primo profilo, sarebbe infatti stato impossibile inserire un casinò senza popolarlo dei suoi giochi tipici: esattamente come nel caso delle piattaforme online che regolarmente la includono nella propria offerta, la roulette è presente in maniera da rendere credibile l’ambiente, e dunque aumentare l’immersione. Sotto il secondo profilo, direttamente collegato al primo, sarebbe stato insensato limitare l’inclusione della roulette a un oggetto di scena: diventa dunque giocabile, per quanto si tratti di un minigioco senza alcuna influenza sulla narrazione.

È del resto normale che un videogioco utilizzi a più fini diversi contenuti opzionali, per esempio nel caso di The Witcher. Recentemente sotto la lente d’ingrandimento per via della non troppo apprezzata trasposizione di Netflix, il franchise letterario ideato da Andrzej Sapkowski si articola in termini videoludici in una trilogia che ha raggiunto l’apice con il terzo capitolo, del 2015.
The Witcher 3 utilizza i contenuti opzionali per far entrare nel videogioco il maggior numero possibile di riferimenti ai libri: personaggi, vicende, semplici riferimenti sono riportati in numerose missioni secondarie, mentre la trama principale porta avanti la narrazione scritta appositamente per il videogioco. Allo stesso tempo, altri contenuti opzionali vengono utilizzati per rallentare il ritmo della storia, fornendo l’occasione di prendere una pausa: è il caso del Gwent, un gioco di carte collezionabili che in The Witcher 3 ha sue regole e missioni dedicate. Una sorta di minigioco al quale ci si può dedicare per spezzare il ritmo della narrazione, ma dal successo tale da essere stato rilasciato persino come videogioco autonomo.

Insomma, difficile pensare che le attività secondarie siano superflue in videogiochi narrativi. Certo, talvolta possono essere poco ispirate, come le estenuanti cacce a insignificanti collezionabili sparsi per la mappa di gioco; ma, il più delle volte, i contenuti secondari si rivelano necessari persino in videogiochi story driven, soprattutto per gestire il ritmo della narrazione.

 

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