È morto Umberto Eco, scrittore e semiologo, aveva 84 anni. Intellettuale conosciuto in tutto il mondo, nato ad Alessandria, è stato un protagonista della cultura italiana dagli anni sessanta a oggi: era “L’uomo che sapeva tutto” come titola il Corriere della Sera.
È impossibile fare un ritratto di Umberto Eco in poche righe: noi proviamo a ricordarlo così, saltando qui e là tra video e interventi degli ultimi anni, o di molti anni fa, e libri, interviste, concetti, idee tirate fuori in una vita dedicata all’erudizione. In fondo, proprio a proposito dell’elencazione, Eco aveva scritto pochi anni fa La vertigine della lista, uscito per Bompiani.
Questa cosa incredibile con Paolo Poli negli anni settanta
Siamo nei primi anni settanta, e l’attore Paolo Poli si confronta con Umberto Eco in “Babau, un’indagine in quattro puntate sulle caratteristiche negative dell’italiano medio (mammismo, conformismo, arrivismo, intellettualismo)”. Da rivedere, rivedere, rivedere ancora oggi.
Il saggio “Come si fa una tesi di laurea”
A volte qualche professore di italiano lo dà da leggere agli studenti già alle superiori o al liceo, dove torna utile per la tesina della maturità, ma torna più utile dopo, se si proseguono gli studi all’università. Pubblicato nel 1977, seguendone i consigli si sono laureati migliaia di italiani.
Le “legioni di imbecilli” sui social media
Nel giugno scorso Eco riceve una delle tante lauree honoris causa della sua carriera, e commenta con i giornalisti a proposito dei social media che “danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli“. Discuss.
L’algoritmo siamo noi
Straordinario bibliofilo e collezionista, a proposito del collezionismo librario Eco affermava che non ha la funzione di conservare e archiviare acriticamente tutto. No. Serve all’opposto, a filtrare quel che serve da quel che può essere lasciato all’oblio. Insomma, Google siamo noi: “Come ho scritto in ‘Non sperate di liberarvi dei libri’ il compito degli operatori di cultura deve essere al contrario quello di saper filtrare ciò che riceviamo in eredità dai secoli passati, di far ricordare ma anche dimenticare. C’è molta stupidità non solo orale, ma anche nei libri“.
Sugli eBook: il libro è perfetto così
Piuttosto scettico sulle nuove tecnologie della lettura, a proposito degli eBook Eco spiegava che “I supporti elettronici hanno rivelato la loro labilità, mentre il testo in forma stampata ha saputo conservarsi per oltre cinque secoli. Non si può fare meglio del libro: l’e-book non lo soppianterà, come l’automobile non ha eliminato la bicicletta. Finché questo oggetto produrrà in noi la sensazione di poterlo percorrere usando anche le dita, non ne faremo a meno“. E ancora, in un’altra intervista su DoppioZero: “Per chiudere: tempo fa sosteneva che l’ebook poteva andar bene per i libri da consultare, ma non per il libri da leggere per piacere. Non è che ha cambiato idea? Non ho cambiato idea, ma ritengo che se mi tagliano una gamba, è giusto che usi una protesi. Perciò se devo partire per un lungo viaggio e non posso infilare in valigia dieci libri, ben venga la possibilità di caricarli tutti, e anche di più, sul mio iPad. Non appena torno a casa però riprendo subito in mano il libro di carta. Perché sul libro posso fare le orecchiette, posso sottolineare, posso sfogliarlo anni dopo e ritrovare le tracce di una precedente lettura. Posso uscire dall’eterno presente. E non è poco.”
L’importanza della memoria
Umberto Eco scrisse una bellissima lettera a suo nipote, in cui lo avvertiva sull’importanza della memoria. Dello studiare (anche) a memoria, perché oggi deleghiamo troppo a un motore di ricerca la nostra capacità di ricordo. E senza ricordare, siamo più poveri, anzi, più scemi: “La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi (dal punto di vista mentale) diversamente abile e cioè (parliamoci chiaro) un idiota. E inoltre, siccome per tutti c’è il rischio che quando si diventa vecchi ci venga l’Alzheimer, uno dei modi di evitare questo spiacevole incidente è di esercitare sempre la memoria“.
La prospettiva storica
In un’intervista a proposito degli anni passati nel Collegio Einaudi di Torino, Eco, oltre a consigliare la vita in collegio universitario rispetto alla stanzetta in affitto e coabitazione con fuorisede annesso, in un lampo spiega come e cosa è cambiato negli ultimi sessant’anni per chi si affaccia al mondo del lavoro, rispetto alla sua generazione: “E a coloro che sono all’ultimo anno e che a breve si affacceranno al mondo del lavoro, cosa suggerirebbe? Di trovarlo, direbbe Berlusconi. Come se fosse facile. Ma noi eravamo una generazione privilegiata. Era da poco finita la guerra, su questo pianeta eravamo solo in due miliardi e c’erano appena stati cinquanta milioni di morti o giù di lì. La generazione precedente era stata decimata, tantissimi di quelli che avevano dieci anni più di noi, travolti dalla guerra, non ce l’avevano fatta a terminare gli studi, iniziava il boom economico, il mondo del lavoro era aperto davanti a noi con mille possibilità. Oggi è purtroppo diverso e l’unico consiglio che potrei dare è di essere nato negli anni trenta“.
Non ne poteva più de “Il nome della rosa”
No, non ne poteva più già nel 2011: qui è quando ha spiegato perché lo odiava.
Non ne poteva più di quelli che danno a tutti del “tu”
Un pezzo uscito su Repubblica appena l’anno scorso, in cui in poche righe traccia una bellissima storia del darsi del tu, del lei, del voi: “Il regime fascista aveva giudicato il Lei capitalista e plutocratico e aveva imposto il Voi. Il Voi veniva usato nell’esercito, e sembrava più virile e guerresco, ma corrispondeva allo You inglese e al Vous francese, e dunque era pronome tipico dei nemici, mentre il Lei era di origine spagnolesca e dunque franchista. Forse il legislatore fascista poco sapeva di altre lingue e si era arrivati a sostituire il titolo di una rivista femminile, Lei , con Annabella , senza accorgersi che il Lei di quel titolo non era pronome personale di cortesia bensì l’indicazione che la rivista era dedicata alle donne, a lei e non a lui. Bambini e ragazzi si davano del Tu, anche all’università, sino a quando non entravano nel mondo del lavoro. A quel punto Lei a tutti“.
E potremmo andare avanti ancora molto, molto a lungo.