Essere complottisti è un lavoro duro. Un giorno tracci corrispondenze improbabili fra eventi che non hanno nulla in comune, e subito dopo ti ritrovi sbeffeggiato da chi difende la scienza con le maniere forti, ovvero il cosiddetto “debunker”. Può sembrarvi ironico, ma queste due tribù rivali – chi ci mette in guardia dalle scie chimiche e chi invece li deride – si assomigliano molto.
A dirlo non siamo noi, ma Walter Quattrociocchi, professore dell’IMT di Lucca che esplora come si diffondono le informazioni sui social network. Per esempio, nel suo studio Debunking in a world of tribes racconta come una semplice esercitazione militare fosse percepita negli Stati Uniti come l’inizio di una guerra civile. Un po’ come succede ai protagonisti del film I primi della lista, che scambiano i preparativi per la parata del 2 giugno per un colpo di stato e fuggono in Austria.
Come mai i nostri complottisti assomigliano tanto a quelli nordamericani? “È un meccanismo universale” ci dice Quattrociocchi. “Sono comunità fortemente divise. Si incontrano poco, ma quando si incontrano si rafforzano al proprio interno.” Succede per via del fenomeno della “eco chamber”, una cassa di risonanza in cui prevalgono solo le cose che vogliamo sentirci dire.
In poche parole, se ripetiamo uno slogan inflazionato – come il nuovo ordine mondiale o la scienza che ha sempre ragione – è probabile che il nostro gruppo lo riconosca come suo e lo rilanci. Risultato? Noi ci sentiamo parte di un tutto più grande, alimentiamo la macchina dello scontro e non ci facciamo più domande.
Quattrociocchi ci elenca esempi di bufale che sembrano innocue, come questa frase attribuita erroneamente a Pertini: “quando un governo non fa ciò che vuole il popolo, va cacciato via anche con mazze e pietre.” Ci sono anche fenomeni completamente travisati, come la pagina di Toto Cutugno che posta la stessa foto ogni giorno che avrebbe mandato in tilt il news feed di Facebook.
Senza dimenticare Povia, che con le sue canzoni si è reso portavoce del complottismo. Non è tutta farina del suo sacco. “Un troll che postava commenti sulle scie chimiche condivise una lista fittizia del loro contenuto, dicendo che c’era anche il viagra. Ogni giorno ce ne è una.” Ma ci sono anche questioni più delicate. “Adesso c’è un litigio in corso tra Marco Cattaneo delle Scienze ed Elena Fattori del M5S sui vaccini.”
“Trovate forti polarizzazioni da un lato e dall’altro – continua Quattrociocchi – Il complottista dice che l’esperto è pagato, il debunker si fomenta ma non ha una formazione tale da poter affrontare la discussione.” A volte senti dire cose errate come: “il metodo scientifico dà verità assolute.” Ne viene fuori uno scenario in cui, non sempre, “il complottista è un po’ frustrato, mentre il debunker è una specie di bullo che cerca un capro espiatorio.”
Quattrociocchi ha un buon senso dell’umorismo. “C’era un articolo uscito su Wired dove si citava il mio nome. Io da complottista-troll scrissi un commento in cui dicevo che secondo me era una bufala. Qualcuno mi rispose: ‘secondo me non hai letto lo studio’! Evidentemente, era lui a non averlo letto.”
Purtroppo è così: il nostro livello di attenzione è tremendamente basso. Succede anche a complottisti e debunker: “Ci si appaga leggendo solo le prime righe di un testo, e si è alimentati dalla negazione dell’altro.” Per uscire dal tunnel dell’autocompiacimento c’è bisogno di “smorzare i toni del narcisismo. Alleggerire l’Io grandioso, metterlo più sullo scherzoso.” È proprio questa una delle ragioni per cui a volte anche il debunking professionale del giornalista Paolo Attivissimo può risultare troppo deleterio e fine a se stesso.
“Affrontare il complottismo con strumenti razionali è un’azione che ha ben poche speranze di successo – conclude Quattrociocchi – La teoria del complotto innesca meccanismi religiosi, si va in cerca di conferme. È gente che ha paura di quello che ha di fronte. Si entra in meccanismi per cui, parlando di vaccini, una mamma percepisce pericoli per il figlio. È una cosa biologica.”
Combattere le bufale su Facebook non fa altro che rafforzarle, lo dicono anche i dati di Quattrociocchi. Valutando la reazione di numerosi complottisti italiani nei confronti di 47.780 post di debunking, ha scoperto che solo una frazione ridotta si interessa alle opinioni che smontano le bufale. Come se non bastasse, questi post di debunking producono un effetto contrario a quello per cui sono stati pensati: aumentano l’interesse di chi li legge per le teorie della cospirazione.