27 Aprile. Anno domini 2015. Scoppia l’eggplantgate. Instagram annuncia che è possibile creare hashtag e ricerche con le emoji, ma, nel giro di due ore, l’emoji raffigurante una melanzana viene esclusa dai risultati di ricerca. Il motivo è presto detto: gli utenti usano quella emoji per condividere foto che violano le regole imposte dal social network. La usano – più propriamente – per postare foto porno.
Gli inizi
La battaglia puritana di Instagram non nasce certo con il divieto di melanzana, ma quella data segna comunque uno spartiacque importante. Sin dalla sua creazione nel 2010, l’app ha cercato di salvaguardare da immagini che reputa deplorevoli la sua community, che è aperta a chiunque abbia almeno 13 anni. È la storia più vecchia del mondo: ogni qual volta c’è una piattaforma in cui gli utenti possono creare contenuti, state certi che dopo un tot – se non vogliamo osare una previsione di partenza contestuale – inizieranno a spuntare contenuti xxx o “per adulti”.
La battaglia a favore della pudicizia è diventata d’interesse globale quando nel 2014 Rihanna ha visto sospendersi il proprio profilo per delle foto in topless. Stessa sorte avevano subito anche Scout Willis e Miley Cyrus. Siamo nel periodo del movimento “Free The Nipple” ed azioni come quella dell’attrice Chelsea Handler evidenziano un altro problema, la disparità di genere, postando una sua foto bannata e confrontandola con una di Putin nella stessa situazione che invece è libera di circolare.
Sebbene #FreeTheNipple abbia poco a che fare col porno, ha acceso i riflettori sulla guerra di Instagram alle nudità e ai contenuti ritenuti offensivi. Guerra che – a conti fatti – assomiglia molto di più al gatto che gioca col topo: con le nuove linee guida rilasciate a settembre, il social consente di postare foto di allattamento, ad esempio, ma continua a giudicare in maniera diversa altre situazioni, come smagliature e sangue mestruale. Insomma, il problema alla base appare evidente: Instagram prova ad imporre la propria moralità a più di 400 milioni di utenti.
Un passo a lato, anzi due
La domanda a questo punto è lecita: perché gli utenti, pur consci di ricevere un ban entro qualche ora, continuano a postare contenuti che violano questa policy? Perché i social media sono molto spesso utilizzati per esplorare la propria sessualità e migliorare la propria autostima e per l’utente privato che vuole condividere una propria foto di nudo, per noia, eccitazione o altro (ma anche per il bot che prova a riportare traffico su un sito a pagamento), Instagram è il paradiso. Su altri social come Reddit o Tumblr le stesse foto non otterrebbero lo stesso risultato – sul primo c’è una pesante moderazione e questi post molto probabilmente non vedrebbero nemmeno la luce, il secondo richiede troppo tempo tra ricerca e scrolling. Instagram invece è un’app pensata per device mobili, ha già una sua utenza che lo usa per condividere attimi della propria vita e ha una fruizione molto più rapida.
Ma allora, perché Instagram non vuole contenuti porno? La risposta è molto semplice e riguarda la pubblicità. I brand, infatti, non vogliono che il il proprio nome venga avvicinato a contenuti per adulti, come confermato mesi fa dalla cancellazione di una campagna di Nielsen su Twitter per questo motivo.
Una soluzione per “combattere” il porno su Instagram? Ancora più porno.
È un po’ come la scoperta dell’acqua calda e non è certo un’idea innovativa, ma, d’altronde, visto quanto fino ad ora detto ed analizzato, il problema di Instagram non è il porno, ma il fatto che il porno non sia etichettato come tale – anche e soprattutto perché quell’etichetta significa ban. Se Instagram adottasse una politica di etichette, permettendo così di far funzionare filtri anti-porno, il problema diventerebbe potenzialmente nullo e potrebbe essere sfruttato doppiamente da un punto di vista pubblicitario.
Un esempio concreto dello scenario futuro potrebbe essere l’applicazione di tre diversi gradi di sicurezza come accadeva in passato su Flickr: contenuti Sicuri, Moderati e Con Restrizioni. Tre semplici etichette che potrebbero fruttare al social network parecchio sia in termini di utenti (attualmente sono 400 milioni, ma immaginate quanti potrebbero diventare senza la scure del ban), sia in termini di diversità di utilizzo.
Innanzitutto per gli incontri. In America, ad esempio, i giovani la utilizzano soprattutto come vetrina per poi spostarsi altrove e flirtare a livelli più spinti. Instagram per loro è solo l’anticamere di Kik, app di messaggistica usata per sexting molto spinto. Come racconta l’utente tres.4000 «Non vado su Instagram per i nudi, ci vado per trovare gente da contattare poi su Kik. Se non sono eccitato, non lo apro nemmeno. Voglio solo chattare per capire se riuscirò a concludere qualcosa». A livello comportamentale l’utente però preferisce svolgere le sue attività social in un’unica app invece di scaricarne un’altra ed ecco quindi che – con l’ipotesi dei filtri di sicurezza – Instagram implementerebbe al suo interno anche quest’ulteriore utilizzo.
Insomma, a conti fatti, Instagram sta conducendo una battaglia moralistica anche contro utenti che vogliono semplicemente esprimere la propria sessualità e sta forse perdendo un’occasione importante per essere dal lato “buono” della storia. D’altronde, se migliaia di utenti ogni giorno creano dei nuovi hashtag per potersi esprimere liberamente, qualcosa vorrà pur dire. Possono sembrare discorsi teorici, ma non è così: sono molto concreti e attuali. Lo dimostra ad esempio Eva Collè, che si definisce una “sex worker” e utilizza il suo account Instagram per promuovere se stessa pur con tutti i limiti derivanti dalla “censura”.
«Innanzitutto c’è differenza tra nudo e porno, ma social come Facebook e Instagram bannano il nudo a prescindere. Non solo – racconta – mi sono state bannate foto che semplicemente mostravano body hair o body fluids, perché il corpo femminile è considerato osceno a prescindere. Altra cosa ancor più ridicola, Instagram non ti notifica nemmeno quale foto è stata bannata, così da eliminare tutto il clamore e minimizzare le critiche». Per l’ampiezza e la diversità dei suoi utenti, però, Instagram rimane una vetrina importante: «Fino a pochi mesi fa mi sono rifiutata di utilizzarlo – continua Collè – ma ho deciso di fare un compromesso in quanto ho capito che poteva essermi d’aiuto a livello lavorativo. E così è stato, alla fine è grazie a questo social che sono finita a sfilare per la Fashion Week. Fino a poco fa ho sempre utilizzato solo Tumblr perché lì il nudo non viene censurato e il nudo è parte integrante dei miei contenuti. Resta il fatto che dover lottare per ottenere la possibilità di mostrare un capezzolo sul proprio profilo social è l’estrema dimostrazione di come il corpo femminile sia ancora considerato mero oggetto sessuale e questo deve cambiare, a prescindere da tutto»