Anche quest’anno il Festival è finito.
Ma come, direte voi, siamo appena alla terza giornata, ce ne sarà un’altra nella quale ascoltare i cantanti in gara e la finale nella quale riascoltarli e poi proclamare il vincitore. Appunto, dico io, è finito. Le canzoni le ho già sentite tutte, dei vecchi e dei giovani, ho ascoltato pure le cover ed ho collezionato tutte le papere, le gaffes ed i momenti di di imbarazzo che Sanremo inevitabilmente porta con sé. Il vincitore della kermesse è ininfluente, dal momento che l’anno scorso ha vinto Arisa e a guardarla quest’anno, oltre al premio le toglieresti pure la patente.
Carlo Conti, il direttore artistico e presentatore di Sanremo 2015, l’ha detto e ripetuto fino alla nausea di volere un Festival normale, sicuramente incalzato dai dirigenti Rai che non avrebbero sopportato un altro show schierato politicamente, attivo sul sociale (seppur noioso) come quello di Fazio. Leggasi “schierato politicamente” come “tendente a sinistra” e “normale” “tendente a destra”. Perché all’Ariston si scherza sugli obesi, sulle badanti, sulle persone di colore, sugli omosessuali, sugli stranieri in generale e mai che scappi una risata. Sembra di esser ritornati all’oscurante bullismo delle medie, alla battuta tanto per fare, all’offesa gratuita. La famiglia glorificata è quella psycho-religiosa e allucinante degli Anania con 16 figli, quello bravo a suonare è il chitarrista ‘tallo dei Gazosa che fa Malmsteen, pure male, nel 2015 e i giovani-che-fanno-rock si devono vestire per forza a scemi, come i Kutso.
Delle canzoni ne parleremo nel pagellone, ma il livello è da Radio Paese Reale: terribilmente basso. Andiamo con ordine:
Carlo Conti: impostazione robotica dozzinale da Sagra della Cozza, fa il suo mestiere ma visto per tre sere di seguito ti spacca l’anima, che lui non ha. Quando ha davanti un superospite, non tradisce alcuna emozione perché non ne è provvisto in natura. Che sia Charlize Theron oppure la famiglia Anania, niente, lui fa le solite 5 domandine del cazzo e via. Picco più basso mai visto in tv, quando intervista la Puccini e le fa imitare la Fallaci. Che poi chiami Conchita col nome Tom, ti fa capire tutto sul personaggio.
Emma Marrone: ingessatissima, non sa leggere bene ed ogni suo intervento è una pena al cuore. Stretta dentro abitini da bambola assassina con le minne, non fa un figurone come valletta. Però “Charlize è terron come me” vince la miglior battuta del Festival, per dire come siamo messi. Per il resto sembra sempre una bambina incazzata che è stata appena rimproverata davanti a tutti.
Arisa: lei è ingessata davvero perché si è sfatta una caviglia, ma questo non è il problema. Svampita oltre ogni limite, protagonista e tornata ad essere volgare, dopo la parentesi seria e composta, nel vestire come nell’intervenire. Poi c’è a chi piace, ma sembra la versione tossica della Gegia. Nel primo abito sfoggiato usciva pure le tette a busta.
Rocio Munoz Morales: l’unica che parla italiano è spagnola. Senza infamia e senza lode a parte l’occhio che guarda in camera e l’altro che guarda affanculo. Parla per proverbi, ma quella è colpa di Conti. Poi ho scoperto che è la tipa di Raul Bova e ho capito perché è lì.
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CANTANTI IN GARA:
Raf: l’occasione di riaffacciarsi al grande pubblico giocata malone. Tutti lo ricorderanno come quello (forse) malato che una volta sapeva cantare. La sua cover di “Rose rosse” è stata imbarazzante quasi come la giacca che ha sfoggiato per cantarla.
Irene Grandi: il testo del pezzo di Irene è uno dei migliori ma la canzone è piatta e non gli fa onore. Niente a che vedere con “La cometa di Alley”, perché Bianconi starà anche sul cazzo, ma sa scrivere.
Moreno: il rapper buono coi baffi da preadolescente mi fa salire un Cristo ferocissimo ed una cattiveria rara. Uno dei momenti con più densità di bestemmie per km quadrato.
Anna Tatangelo: la milfona di periferia, che non ha ancora 30 anni e questo, amici da casa, non me lo so spiegare. Ha uscito un po’ le sise, per il resto è più truccata di Ultimate Warrior. Deve avere anche cantato, ma non mi ricordo nulla.
Biggio e Mandelli: la morte. Di tutto eh: della comicità, della canzone, della simpatia. Il siparietto con i tipi-a-caso-che-cantano-la-canzone-che-fa-ridere fa molto anni 90, ma lì poi vinceva Massimo Ranieri con “Perdere l’amore”, mica cazzi. Loro due sono la morte.
Chiara: l’unica giovane a Sanremo 2015 con una voce particolare, non derivativa, potente. Anche la canzone non è bruttissima. S’intende per gli standard carlocontiani eh. Una dei pochi che ne uscirà bene alla fine.
Nesli: gioca a fare il duro col cuore di panna, il rapper che sa anche cantare, ma non tutti sono Neffa e nemmeno Ghemon. Nesli non lo è e gli viene fuori una canzonetta alla Zero Assoluto, cantata col culo.
Nek: Filippo vince con la cover di “Se Telefonando”, grazie ad un’ugola inossidabile e ad un arrangiamento rock sinfonico che dà la merda ai giovani. La canzone originale ha la cassa dritta, farà furore nelle radio e anche lui è uno di quelli che uscirà rilanciato dal Fest.
Dear Jack: la pochezza dei figli dei Modà la si vede una volta decontestualizzati dal talent o dal centro commerciale, assediati da bambine in età premestruale. Niente dai.
Grazia di Michele e Platinette: una canzone cucita sulla figura di Mauro-Platinette, sul fatto che non conta se siamo obesi oppure omosex, siamo tutti uguali. Fatta apposta per il premio della critica, per ora vince quella del ritorno al “Minchia signor tenente”, alla canzone di attualità scelta per fare sensazione.
Bianca Atzei: questa con la voce roca ci scartavetra la carrozzeria della macchina. Tutta impostata, leziosa ed in buona sostanza, assolutamente inconsistente.
Alex Britti: altro episodio Raf: questo non sa cantare. Punto e basta. Poi che faccia le pentatoniche blues sulla chitarra, sticazzi, che facesse il chitarrista. Ma non prende una nota una con la voce nemmeno per statistica. Un grande equivoco dei primi del 2000.
Lorenzo Fragola: quella faccina eternamente stupita e sorridente ti fa venire voglia, come già detto in passato, di picchiare bambini coi cuccioli di foca. La canzone ve la ascoltate voi.
Il Volo: se l’arrangi metal, la canzone dei tre tenorini sembra l’inno di quelli che giocano a Magic. Arriveranno nei primi posti, forse addirittura vinceranno, perché in Italia l’impostazione operistica a cazzo piace più dell’opera (un po’ come Allevi piace più dei pianisti veri).
Annalisa: dispiace perché è caruccia, mi ricorda Emma Stone o Mila Kunis, alla lontana eh, e mi fa venire pensieri perversi ma ha una voce totalmente senza personalità. In radio non la riconoscerei mai. La canzone è scritta da Kekko dei Modà, quindi è brutta.
Lara Fabian: pausa sigaretta, sempre.
Gianluca Grignani: merita rispetto, per la sua versione autobiografica di “Vedrai vedrai” di Tenco cantata ieri e per la sua canzone, che non è tra le migliori, però, cioè, a questo Festival c’è Moreno, c’è Nesli. In confronto Gianluca è Joe Strummer.
Nina Zilli: una che non è mai entrata negli anni 80, figurati dopo. Ogni sua canzone sembra sempre la stessa, praticamente farà la fine di Giuliano Palma. Una noia mortale.
Malika Ayane: anche Malika, come la Zilli, le canta tutte uguali, ma lì ci sento sempre l’anima. Ho un debole per lei anche quando fa schifo. Ieri poi minne giganti. Dalla canzone mi aspettavo di più però.
Marco Masini: the true king. A parte aver sfoggiato un look particolarmente hipster, questo Sanremo sarà per lui il trampolino di rilancio più alto. Bella voce, canzone una spanna sopra le altre, rende la sfiga agli sfigati che ancora commentano “sfiga”. Il migliore in assoluto.
Menzione di merito ad Al Bano e Romina, con una foto trovata sull’internet. Ringrazio il responsabile di tale, semplice ed esplicativo capolavoro:
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Ringrazio tutti i partecipanti al gruppo d’ascolto (e di bestemmia creativa) Trashpotting-disastri televisivi, stoici e puntuali come sempre nel fornirmi un punto di vista e tanta compagnia durante le tre estenuanti serate del Festival. Ma stasera si esce a bere ed è già tutto dimenticato.