Il festival di Venezia è finito, il Leone D’oro è stato assegnato a Sagro Gra di Gianfranco Rosi. Il Gran Premio della giuria, invece, va a Jiaoyou – Stray dogs di Tsai Ming-liang: una pellicola ipnotica che rimane intatta negli occhi di chi era presente in sala al festival. Un film composto da immagini “guardate” che ci guardano, come i protagonisti del film che fissano, coinvolti, l’immagine disegnata sul muro. Tsai Ming- Liang, esponente di punta del “Nuovo Cinema di Taiwan”, Leone d’oro a Venezia nel 1994 con il film Aiqing wansui, ritorna alla Mostra con l’opera più contemporanea in concorso al festival. Il suo è un cinema fatto di lunghe riprese a camera fissa, un susseguirsi di immagini che contengono altre immagini all’interno come in una matrioska cinematografica. Il concatenamento di questi frame formano una struttura: Stray Dogs diventa un’unica immagine, un quadro composto da un grande albero dalle secolari radici, da un supermarket di cibi in scatola scaduti, da un sotterraneo senza finestre con pareti segnate dalle crepe ed infine da un livello sottostante dove vivono dei cani randagi. Una metafora del capitalismo, dell’occidentalizzazione delle città asiatiche. All’interno di queste città-non luoghi vive in solitudine il cittadino globale.
Commento del regista: Non c’è una storia da raccontare. Hsiao-kang è un buono a nulla, che si guadagna da vivere reggendo cartelloni pubblicitari. Fuma e piscia in strade costantemente percorse da veicoli e passanti. Le uniche presenze nella sua vita sono i suoi due bambini. Mangiano, si lavano i denti, si cambiano e dormono insieme. Non hanno acqua né elettricità e dormono sullo stesso materasso con una verza, abbracciandosi stretti l’uno con l’altro. Tutta la città è diventata una discarica per cani randagi. E il fiume è lontano, molto lontano. Poi, una notte di tempesta, l’uomo decide di portare i figli a fare un giro in barca a vela.