Mandarin Gypsycat’s Barricade, ovvero l’opera più bizzarra, e al tempo stesso più coerente, di Akane Torikai.
Credo che Mandarin Gypsycat’s Barricade, opera di Akane Torikai e pubblicata da Dynit sia passata un po’ troppo silenzio. Certo l’autrice giapponese ha avuto la sua buona notorietà quando è passata, in concomitanza di Lucca Comics, qui da noi, eppure mi è parso che quest’opera (per altro presentata in anteprima proprio nella kermesse lucchese), non sia praticamente stata ancora trattata da nessuno nello specifico. E allora arrivo io, un po’ perché considero Torikai una delle autrici più interessanti della sua generazioni (con all’attivo, almeno, due opere meravigliose come La professoressa mente e, naturalmente, Saturn Return), un po’ perché ho davvero apprezzato Mandarin Gypsycat’s Barricade, nonostante mi renda conto sia un’opera che presenta anche molte asperità.
Ma facciamo ordine. Questo manga, pubblicato nella gloriosa collana showcase di Dynit, appartiene al genere distopico; infatti ci troviamo in una parte imprecisata nel mondo in un tempo in cui il tasso di natalità è, praticamente, bloccato a zero e dove i pochi esseri umani sono quasi tutte donne, sterili per altro, con qualche sparutissimo maschio che viene, per così dire, “utilizzato” soltanto come vettore della specie, come portatore di seme giustappunto, tenuto imprigionato come una specie di cavia da laboratorio.
In quello che pare essere un sobborgo molto povero, anzi un vero e proprio slum della città, si muovono le nostre protagoniste, un gruppo di ragazze molto particolari e dal passato abbastanza nebuloso, affiancate da un, bellissimo, ragazzo che si guadagna da vivere come gigolò. Torikai non ha, moltissimo, interesse a fornirci una biografia dei suoi personaggi ma ci dà qualche, rapidissimo, tratteggio: c’è chi è fuggita da un destino segnato, c’è chi si arrabatta con piccoli furti, c’è chi ha soltanto la propria sorella come punto fermo nella propria vita e poi c’è il ragazzo, che vive con l’unico obiettivo di “perpetrare la bellezza”. Anche grazie a dei disegni che nei dettagli dei volti e, in particolar modo, dei capelli “esplodono” di fascino, la narrazione, seppur un po’ zoppicante o comunque in certe parti monca, prosegue con grande piacere. Piano piano il lettore viene a scoprire le, in fondo, semplici regole che governano questa distopia, che ovviamente ci appare crudele ma, in un certo qual modo, anche giustificata per il già ricordato preoccupante tasso di natalità.
La storia, poi, proseguirà in modo elegante accelerando via via che ci si avvicinerà il finale, con le situazioni che precipiteranno fino a trasformarsi in una sorta di thriller. Eppure quello che rimane sempre costante è lo stile di Torikai, ovvero quell’interesse, mai morboso ma sempre filosofico e teoretico, per la riflessione sui corpi. Sui corpi femminili, certo, ma anche su quelli maschili, sui ruoli di potere, sulle relazioni tra uomo e donna, sul concetto di famiglia e, come ricordato anche prima, su quello di prosecuzione della specie. Rispetto a Saturn Return non abbiamo quella ricchezza nell’intreccio e siamo distanti dagli “orrori” de La professoressa mente. Eppure in Mandarin Gypsycat’s Barricade abbiamo tutti gli elementi che stanno facendo grande Torikai, assieme ad un’atmosfera atemporale e, appunto, filosofica che ho trovato di grandissimo fascino.
Akane Torikai è una delle pochissimi autrici contemporanee che, almeno per me, “ti fa perdere la bussola” quando leggi le sue opere, scavallando ogni differenza di genere, anche letterario, per abbracciare in toto una narrazione fascinosa, che ti abbraccia e ti conduce con sé. Il finale poi, con quella riflessione sul valore del tempo presente, è un vertice a livello di scrittura raro da incontrare oggigiorno. E se volete sapere come si fa ad attaccare un bottone usando come filo per l’ago un capello particolarmente lungo, beh vi conviene leggere questo, bellissimo, manga.