La mano di Sam Raimi si avverte praticamente in ogni fotogramma di Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Più Follia che Multiverso. E va bene così.
Partiamo da un dato di fatto: il tocco di Sam Raimi è tangibile, evidente e caldo in ogni scena di Doctor Strange nel Multiverso della Follia. Per questo motivo non solo è uno dei migliori film della Marvel, anzi, a livello puramente registico è il migliore, senza se e senza ma, almeno dal mio punto di vista ma è anche un ottimo esempio di come si possano (o si debbano se preferite) traslare i fumetti al cinema: ovvero selezionando, con attenzione e cura le cose da raccontare, omettendone altre e, soprattutto, dando ritmo a ogni cosa. Perché la prima sensazione che ho avuto dalle sequenze iniziali di Doctor Strange nel Multiverso della Follia è stata proprio questa: rapidità, un artiglio, firmato Sam Raini, che si abbate sulle decine e decine di pellicole dei Marvel Studiosi di questi anni, lente, piene di dialoghi inutili, di combattimenti contro minion secondari e di personaggi senz’anima, e squarcia tutte le cose. Nell’epica battaglia per la salvaguardia, o forse si dovrebbe dire il dominio/controllo del Multiverso, Doctor Strange e Wanda Maximoff aka Scarlet Witch, non solo se le danno di santa ragione ma ci donano, grazie a Benedict Cumberbatch e, in particolar modo, Elizabeth Olsen, due tra le migliori prestazioni attoriali in assoluto dell’MCU. Per carità bastava poco, forse, però va detto.
Ciò che infatti funziona, e funziona sin da subito alla grande, è giustappunto la nota di Raimi che immerge le vicende di Doctor Strange nel Multiverso della Follia in un’atmosfera costantemente horror e weird, che calza alle perfezione con le avventure del potente mago di casa Marvel. Infatti, questo film, o questa storia per meglio, si innesta nel filone esoterico dei fumetti della Marvel. Per capire: se i Guardiani della Galassia, sempre di più, diventano gli alfieri della space-opera superereroistica, Strange diventa il paladino dell'”opera a nero” in calzamaglia. Detto questo, Raimi riesce a donare profondità e, soprattutto, coerenza a ogni singolo personaggio. Dimenticatevi lo Strange bizzarro e stranamente ottuso di Spider-Man: No Way Home (qui la mia recensione). Qui Dr. Stephen Strange è, esattamente, quello che dev’essere: ovvero un uomo distrutto, con un passato ingombrante e un futuro praticamente assente, che si è ritirato, quasi, a vita privata nel culto, disperato, di un amore ormai finito. Su queste macerie, psicologiche e emotive di quello che è, anzi dovrebbe essere, il personaggio principale, si innesta la carica vitalistica, ma tramite la morte e l’occultismo, di Scarlet Witch. E qui occorre fare un focus sulla prova, come già ricordato prima, di recitazione di Elizabeth Olsen.
In questo film, finalmente, si comprende il perché le nostre e amici più esperti di noi di cose Marvel, durante i vari Infinity War e Endgame non la smettevano di dire: “Wanda è la più forte di tutti”. Qui la strega è quello che dev’essere: un’incantatrice dotata di un potere praticamente infinito. Come emerso nella serie di Disney + Wandavision, Scarlet Witch non è solo in grado di controllare la mente altrui ma anche di plasmare la realtà a proprio piacimento. Ovviamente questo grande potere non porta a grandi responsabilità ma a grandi pericoli. Infatti Wanda è animata, verrebbe da dire posseduta, da un solo desiderio: riabbracciare i propri due figli, a costo di sconvolgere l’intero multiverso. Ecco allora che Elizabeth Olsen incarna i panni di una madre che diventa una strega, nel senso più horrorifico del termine. E non è un caso che Raimi con lei si “diverta” a lasciarla scatenare: labbra tremanti, occhi sgranati aperti verso l’abisso della magia nera e certe di inseguimento che sono la diretta discendenza, con proprio le stesse inquadrature, di Shining.
Con un parco attoriale tutto sommato contenuto, questo film riesce, al contrario, tanto per citarne uno di Eternal, a dare corpo e sostanza a ogni personaggio. Xochitl Gomez, ad esempio, è semplicemente perfetta nell’interpretazione di America Chavez, grazie anche a uno screentime dosato in maniera ottima. Poi certo, ci sono delle cose che non funzionano come ad esempio certe motivazioni sulla nascita dei poteri (la questione della puntura dell’ape alinea, seppur coerente con i fumetti, è abbastanza buffa da vedere al cinema) e anche la sezione degli Illuminati, per quanto gustosa e ben realizzata, si riduce a un cambio di opinioni un po’ troppo brusco e immotivato da parte di quello che è, anzi dovrebbe essere, “il più illuminato tra gli illuminati”: ovvero Charles Xavier. Anche il concetto stesso di Multiverso è appena appena accennato il che, credo, sia anche una cosa scontata visto che l’MCU, specialmente questa fase, è ancora abbastanza nebulosa nel suo sviluppo (nonostante, almeno secondo i titoli di coda, Strange tornerà sugli schermi).
Al netto di ciò, grazie anche a una CGI usata con grazia e (quasi) sempre decisamente convincente, Sam Raimi allestisce un grande film che respira cinema e autorialità da ogni poro: che bello ritornare a vedere una firma, vera e tangibile, nell’MCU (al netto che forse questa è proprio la prima volta in assoluta che la si avverte così tanto). Insomma grazie anche a una direzione artistica semplicemente da urlo che continua a crescere minuto dopo minuto e a delle scene di battaglie magiche veramente fighissime (e si sa quanto sia difficile renderle in maniera “credibile”), come quella “musicale”, Doctor Strange nel Multiverso della Follia si candida, senza troppe remore, al migliore cinecomic dell’anno. E l’invito a correre ad andare a vederlo è ovvio: magari vi spunta il più classico dei terzi occhi della conoscenza dopo la visione, no?