Quella tra Germania e Ungheria non è stato solamente un match tra una potenza del calcio mondiale ed una squadra di sconosciuti, ma anche la sfida tra la nazione portavoce e uno dei paesi membri più piccoli e ostili alle azioni dell’Unione Europea. Un match che si carica di tutt’altro valore simbolico diventando paradigma dell’attualità. Mentre in Italia impazzava il dialogo sul DDL Zan e le possibili ingerenze tra stato e Vaticano, a livello continentale, Ursula Von Der Leyen portava avanti la propria battaglia contro il governo di Budapest.
Un tempo l’Ungheria era una delle più potenti compagini calcistiche, capitanata dal pallone d’oro Ferenc Puskas (cui ancora oggi dedicato il premio al gol dell’anno) che portava fiero il nome della nazionale in giro per il mondo. Del resto, il mito della grandezza passata è la base di ogni regime totalitario e Orban sta utilizzando il calcio come mezzo per diffondere la propria ideologia nazionalista. Ancora oggi una delle poche motivazioni che rimangono ai fascisti è averci fatto trionfare in due mondiali consecutivi. Tra le opere realizzate in questa missione di “evangelizzazione identitaria” c’è la Puskas Arena, lo stadio inaugurato nel 2019 proprio per permettere ai magiari di ospitare le partite di questo torneo itinerante. La propaganda sta effettivamente avendo effetto, i tifosi ungheresi non sono solamente i più caldi della competizione, sono anche accumunati da una stessa ideologia politica, un vero e proprio megafono del loro presidente. Quando hanno fischiato l’adesione al Black Lives Matter della nazionale irlandese o deriso i giocatori tedeschi con cori di schermo omofobi, lo facevano in nome della propria nazione. La storia sarebbe finita qui, non fosse che l’Ungheria, a livello sportivo, fino a ieri è stata una delle favole più belle della competizione.
La differenza che sussiste tra nazione e nazionale rende tutta la vicenda ancor più controversa. Quella dell’Ungheria all’europeo è stata una favola guidata da un cavaliere italiano, una squadra di sconosciuti capitanata da un allenatore che trasmette anonimato sin dal nome. Calciatore con un passato da vagabondo, il sig. Marco Rossi da Druento ha vestito la maglia della Sampdoria, del Francoforte e del club America in Messico. Conclusa la carriera da difensore, avrebbe iniziato a lavorare nello studio da commercialista di suo fratello, se un giorno non si fosse ritrovato a pranzare con il direttore sportivo di una squadra della bassa classifica ungherese. Il resto è storia, l’allenatore piemontese ha portato al trionfo l’Honved dopo 14 anni guadagnandosi così il posto di C.T. della nazionale con la quale ha ottenuto un’inaspettata qualificazione EURO 2020. Capitato in quello che è stato nominato il girone di ferro, dopo aver strappato un pareggio ai campioni del mondo della Francia, in conferenza stampa si è commosso.
Non sappiamo quali siano le idee politiche di Marco Rossi, certo colpisce come in una nazione famosa per calpestare i diritti umani basilari di ogni minoranza, il C.T. ungherese si sia guadagnato un posto di prim’ordine grazie all’impegno e ai risultati conseguiti, motivo che ha reso la sua storia, a livello sportivo, una delle più genuinamente sorprendenti di tutto il torneo. Nella prima partita del girone, la Francia ha sconfitto con troppa facilità la Germania, il Portogallo è invece riuscito a strappare una vittoria come da pronostico sull’Ungheria grazie al solito CR7, faticando più del previsto. Alla seconda giornata la nazionale di Marco Rossi s’impone a sorpresa sui galletti che riescono a recuperare solo nel finale, la Germania torna in carreggiata grazie all’onnipotente prestazione di Gosens che asfalta i lusitani. Si arriva all’ultima giornata con tutte le squadre che possono ancora giocarsi la qualificazione in un girone che contiene la nazione più piccola ma politicamente antipatica d’Europa e le nostre due più acerrime nemiche sul piano calcistico.
Germania-Ungheria si veste quindi di significati che mettono ben poco a travalicare i limiti dello sportivo, cadendo poi proprio nella settimana del Christopher Street Day. Vista la prossimità temporale con la giornata simbolo della lotta per i diritti LGBTQ, il sindaco di Monaco ha proposto di illuminare (come ogni anno) l’Allianz Arena con i colori dell’arcobaleno in occasione della sfida. L’UEFA ha bloccato l’iniziativa con la sterile motivazione che le illuminazioni degli stadi per le partite nelle nazionali sono previste esclusivamente con i colori delle bandiere, tarpando l’evidente messaggio politico del primo cittadino bavarese, dopo che aveva già minacciato di multare Manuel Neuer, portiere dei teutonici, per aver indossato una fascia da capitano “troppo colorata”nei precedenti partite del girone. Lo stadio di Monaco è la casa del Bayern, l’unica grande del calcio europeo a essere uscita pulita dalla questione Super Lega. In Baviera si vive un periodo illuminato come quello del Blaue Reiter a livello artistico: la squadra gioca un gran calcio e i suoi tesserati sono gli interpreti dei valori della società. I calciatori del Bayen, come gli atleti NBA, sono riusciti costruirsi un’immagine cool ma conscia del ruolo sociale che consegue dalla visibilità.
Mentre proprio a Budapest, alla già citata Puskas Arena senza limiti di capienza, la sfida tra gli ex gemelli del gol Benzema e Ronaldo si chiude sul pareggio, all’Alianz di Monaco l’Ungheria tenta di giocarsi tutte le sue carte in trasferta. La partita è tesa e si risolve solo nei minuti finali. Passano Francia e Germania com’era previsto, ed anche Cristiano Ronaldo, per il rotto della cuffia con il Portogallo miglior terza qualificata e l’ennesimo record personale infranto (miglior marcatore della storia delle nazionali, superata la leggenda iraniana Ale Daei). L’Ungheria esce a testa alta ed il merito è tutto del suo allenatore, ma i tifosi magiari (insolitamente in maglia nera e non rossa) hanno urlato insulti omofobi ai calciatori tedeschi per 90 minuti. L’UEFA, come al solito non ha preso posizioni preferendo uno stadio pieno a un importante messaggio sociale.
Leon Goretzka, uno degli sportivi tedeschi più attivi sul fronte dei diritti umanitari (oltre che giocatore con i bicipiti più grossi dell’europeo), pochi giorni prima si era espresso anche contro AfD, un partito di destra tedesco in merito alle decisioni prese dal governo ungherese che impedisce di trattare qualsiasi tematica LGBTQ in presenza di minori. Subentrato dalla panchina, il centrocampista del Bayern ha trovato la rete della qualificazione con un tiro da fuori aerea ed è istintivamente corso sotto la curva dei tifosi rivali ostentando un cuoricino con le mani. Porche ore più tardi su Twitter festeggierà scrivendo “Spread Love” con l’emoticon di una bandiera arcobaleno a corredo. Vince sempre l’amore, alla faccia della UEFA e di Orban.