TV e Cinema
di Dailybest 7 Maggio 2021

IO E ANNIE: scheda tecnica di un rapporto amoroso

Ieri è uscito Rifkin’s Festival, il cinquantesimo lungometraggio della carriera di Woody Allen, in attesa di visionarlo (finalmente) in sala, un’analisi sulla pellicola che ha reso celebre lo stile di uno dei registi più geniali e controversi della storia del cinema mondiale.

Visione pessimistica della vita, autoanalisi, autoerotismo, autostima, corteggiamento da manuale, questi alcuni degli elementi vincenti che rendono la storia focalizzata sul rapporto amoroso tra Alvy Singer (Woody Allen) e Annie Hall (Diane Keaton) una pellicola unica nel suo genere. Io e Annie è il film del 1977 che vincendo quattro Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura e attrice protagonista) ha definitivamente consacrato il linguaggio e il cinema di Woody Allen.

Allen attraverso il suo alter ego riesce a fotografare perfette cartoline della New York anni ‘70, gli appartamenti tipici, le strade larghe, le librerie, i circoli di tennis altolocati, i costosi studi degli psicanalisti, le panchine di Central Park e i cinematografi: la città è un vero e proprio personaggio sempre presente che funge da cornice ai caratteristici dialoghi della sceneggiatura Alleniana. La vicenda viene semplificata dal sarcasmo amaro delle battute sempre taglienti, una vera e propria ginnastica verbale per la coppia di protagonisti che logora una relazione a colpi di retorica. Io e Annie è stata definita “una rivoluzione comica del quotidiano”, una pellicola capace di annientare con una filosofia proustiana un romanticismo che mano a mano diventa più saturo per poi concludersi con una sorta di “c’eravamo tanto amati”. Ma, in fondo è stato bello anche solo averla incontrata.

 Diane Keaton diventa un’icona di stile con i suoi ampi pantaloni, consacrando un look androgino irripetibile, (sono realmente suoi tutti gli abiti di scena!), musa di Allen, dona ad ogni battuta il giusto contributo psicologico, pur essendo lo stesso regista il vero protagonista del film. La pellicola, infatti  entra nella psiche della coppia, in particolare nella mente di Alvy, auto sabotatore per eccellenza dei suoi sentimenti: Annie è solo l’ultimo dei suoi fallimenti e lo costringerà a riflettere sulle cause di questa sua anedonia. La psicologia del personaggio entra in gioco in un rapporto di forze ed equilibri, che dapprima vengono a mancare e in  seguito, mediante una lunga analisi, ritrovano il giusto contrappeso mentre Annie riesce definitivamente ad emanciparsi cambiando vita per poi non voltarsi mai più indietro.

Opera dichiaratamente autobiografica, preludio di un dramma mascherato che tratta la natura più intima e controversa del rapporto tra uomo e donna, contraddistinta da una narrazione apparentemente distaccata  e da un umorismo basato principalmente sulle citazioni, Io e Annie inaugura l’era della critica del cinema iper-intellettuale ed iper-testuale, quella dei recensori  in prima fila pronti a discutere di avanguardie e messaggi nascosti. Indimenticabile, in questo contesto, il cameo di Marshall MacLuhan, ridotto ad uno stereotipo culturale da chi rivendica di insegnare Tv, media e cultura alla Columbia University, un mezzo per fare satira ai danni stessi di chi pecca “d’esser troppo intellettuale”. Da Groucho Marx alla relazione con l’inconscio di Freud, si consuma una storia d’amore fatta di tenera nevrosi, introspezione e rotture frequenti della quarta parete. Un compendio sulle dipendenze affettive, sulla condizione di un innamoramento transitorio e malsano che viene attraversato dai personaggi e dagli spettatori come una vera e propria seduta terapeutica compiuta con un irresistibile comicità linguistica.

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