Musica
di Dailybest 2 Aprile 2021

I migliori album della settimana

Una breve selezione delle migliori uscite internazionali degli ultime sette giorni

The Antlers Green to Gold

Non c’è niente che tenga, non c’è evento, per quanto catastrofico, che ci impedisca di gioire quando ci accorgiamo che i fiori sono tornati a spuntare in mezzo all’erbetta. Questa sensazione di rinascita l’ho provata anche ascoltando il, bellissimo, nuovo disco dei The Antlers. La voce calda di Peter Silberman ci accompagna come un raggio di solo in una tiepida mattinata d’aprile. Forse Green to Gold è il primo tassello del ritorno a una nuova normalità. Canzoni dolci, un indie-folk intriso di poesia capace di farci dimenticare, almeno per tre e minuti e mezzo, le brutture della vita che ci circonda. Anche quest’anno la primavera è tornata, speriamo sia l’ultima bella stagione “pacco” che dovremo vivere.

Mattia Nesto

Real Estate – Half a Human

Discutendo inter nos sui dischi da selezionare questa settimana, nessuno volevo inserire Half a Human. La motivazione era che l’ultimo ep dei Real Estate suonasse troppo “mollo”. D’altro canto, una volta dopo averlo ascoltato, non ho potuto far altro che rispondere come Malesani. La musica della band statunitense è sempre stata questa, una corda tesa tra le atmosfere dei Tame Impala e la monotonia espressiva dei Cigarette After Sex. Poche tracce che svariano da brevissimi intermezzi strumentali a canzoni dalla durata complessiva di oltre sei minuti, più che un album uno stato d’animo. Mentre la pandemia ci riconsegna la primavera più bella dell’ultimo decennio, sarà questa la vera estate?

Marco Beltramelli

Lost Girls – Menneskekollektivet

Menneskekollektivet è il primo splendido disco dei Lost Girls, duo norvegese formato da Jenny Hval e dal chitarrista Håvard Volden. Basta la prima traccia, di oltre 10 minuti, per capire cosa ci spetterà per i successivi 35. Dark dance sporcata da fraseggi chitarristici che tendono al dream pop, una lunga ed estenuante riflessione sulla parola, sulla finzione, sul senso della scrittura. In questo gioco, prima troppo intellettualoide e poi tremendamente urgente, la voce di Hval vibra come non aveva mai fatto nel suo coinvolgente e toccante spoken word. Nessuna intenzione di ergere l’uomo sopra il creato, del resto “we are merely content/ creators of what is called real life/ where we die we become paper”.

Gabriele Vollaro

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