Nella mia breve attività di teatrante ho conosciuto, quasi tre anni fa, Luca Radaelli, attore e regista lecchese, fondatore nel 1986 della compagnia Teatro Invito. Grazie a tale sodalizio professionale mi si sono aperti gli occhi su un aspetto che, da milanese, avevo sempre trascurato: il teatro di provincia non è minimamente considerato come quello di città. La marginalizzazione non si limita a essere territoriale, ma sfocia inevitabilmente nell’ambito della produzione. Fare teatro in provincia significa accettare il rischio di essere tenuti a margine dai critici della metropoli, di stare fuori dai grandi circuiti. Questo però, fortunatamente, non vuol dire non avere pubblico, personalmente, ho incontrato spettatori più numerosi -e vogliosi di dialogare al termine di una replica- in un paese di 5000 abitanti della bassa bergamasca rispetto che in una sala teatrale del centro.
Lavorando con la compagnia dal 2018 -ed avendo affrontato un’intensa stagione di spettacoli nella scorsa estate, tastando con mano la possibile convivenza tra covid e attività teatrale- ho deciso di riportare il punta di vista di un addetto ai lavori ben più qualificato del sottoscritto rispetto la situazione generale dei teatri in Italia.“Fare previsioni è difficilissimo, da un anno a questa parte”, esordisce Luca, “si fanno investimenti di speranza e fiducia nel futuro che spesso vengono tarpati da situazioni al limite del paradossale”. Il riferimento è appunto alla stagione autunnale mai partita. “Una volta fatte le previsioni, stampati i materiali, presentato il cartellone in conferenza stampa, tutto è stato troncato sul nascere”. Sembra una grande barzelletta, ma è solo il ritratto della totale mancanza di rispetto delle istituzioni nei confronti dei continui tentativi di adattamento di questa come di decine di altre categorie. Una delle opzioni di cui si è molto parlato, e che molti hanno adottato in questa fase per andare avanti in qualche modo, è stato lo streaming. “Questa forma di proposizione dello spettacolo è stata caldeggiata dallo stesso Ministero (per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, ndr), che tuttavia non riconosce allo streaming i minimi criteri per avere i finanziamenti ministeriali”. La contraddizione è unica.
Rispondendo a un appello del comune di Lecco, Teatro Invito ha iniziato a dicembre a mettere in scena spettacoli dal repertorio per le scuole del territorio. “Abbiamo provato a rendere più interessante e meno fredda l’esperienza. Lo spettacolo viene sempre proiettato in diretta nelle diverse classi, ma anche i bambini sono ripresi e microfonati, in modo tale che gli attori possano vederli e parlare con loro al termine della rappresentazione. C’è un rapporto biunivoco, e questo rende l’esperienza più simile a quella vissuta in presenza, restituendo parzialmente l’interazione con lo spettatore, il ’qui ed ora’, essenza stessa dell’arte teatrale”.
L’altro escamotage che la compagnia si è inventata per passare oltre questo momentaccio di stasi è stata l’idea della registrazione di un radiodramma. “Per chi ha la mia età, il radiodramma è un retaggio della memoria. Quando non eravamo così subissati dalle immagini, era bello abbandonarsi alla fantasia, lasciarsi trasportare dalle voci provenienti dalla radio che trasmettevano queste storie”. Per scegliere il testo da registrare Luca ha colto l’occasione della ristampa di un romanzo giovanile di Antonio Ghislanzoni, scrittore e poeta lecchese, legato alla scapigliatura milanese e vicino delle idee politiche di Mazzini, rimasto famoso soprattutto per essere stato l’autore del libretto dell’Aida. Il volume in questione, Un suicidio a fior d’acqua, non veniva ristampato dalla seconda metà dell’800, ed è ambientato proprio a Lecco. “Ha questa doppia valenza, è un libro quasi inedito, ma narra di vicende che si sviluppano principalmente in ambientazioni note ai nostri cittadini. Per gli abitanti di Lecco sarà bello rivivere i propri luoghi come set di questa commedia. Il Ghislanzoni usa il suo protagonista, Arturo Leoni, per deridere in modo caricaturale Foscolo e i foscoliani. Per questo ho deciso di intitolare il radiodramma Un romantico guarito”.
Teatro Invito sta ripartendo, con le possibilità limitate che gli sono concesse ma con tutta la volontà di occupare ogni spazio disponibile. Non è né la prima né l’ultima realtà a farlo. Tutto ciò potrebbe destare stupore, dove si alimenta questo fuoco persi nel bicchiere d’acqua delle istituzioni nazionali? C’è un piccolo particolare che molto spesso viene trascurato: la cultura è un mestiere, e se togli l’occupazione a un lavoratore (sia esso un cuoco, un estetista o un teatrante), lui cercherà al più presto di tornare a fare quello che sa fare. Ed è per questo che, dietro a una finta coltre d’invisibilità relegata in un armadio più sporco del solito, la cultura continua a nascere e a essere trasportata dai suoi mestieranti.