Questo weekend ho visto due volte Bohemian Rhapsody al cinema. La prima per necessità: esce un film sui Queen e sull’enigmatica figura di Freddie Mercury, lo devo vedere, senza se e senza ma. La seconda, perché la prima mi è piaciuto talmente poco che mi sono fatto mille scrupoli: mia serata no, il cinema col riscaldamento che non funzionava, aspettative vs. realtà e tutte le altre tare personali. Purtroppo il risultato è lo stesso: non mi sono mai emozionato, neanche un accenno di pelle d’oca. Come tanti, ho fatto un po’ di air guitar, ho battuto i piedini a tempo, ho finto di cantare quelle che sapevo, ma per quello bastava il trailer o un qualsiasi documentario e qui, il rischio “fiction su Modugno al cinema” è reale.
Il problema mica sono i Queen: le loro canzoni le conoscono tutti ma proprio tutti, compresa tu’ nonna. La platea di provincia per Bohemian Rhapsody è infatti il massimo della trasversalità: fan della prima ora, gente che al cinema non è mai venuta, giovani curiosi, genitori affamati di emozioni, un mare di quarantenni nostalgici e si sa, questi ultimi li compri facilmente. Sono loro che, nei commenti sui social, scrivono “Rami Malek merita un Oscar, è uguale a Freddie Mercury”, facendomi partire un ictus di quelli seri.
Questa però non è una recensione che cerca la polemica ad ogni costo, dunque vado per gradi a spiegare il mio disappunto nei confronti del film in questione:
Tale e Quale
Per le imitazioni c’è Tale e Quale e nello spettacolo di Carlo Conti, Freddie Mercury è stato imitato molte volte, pure bene e pure cantato dal vivo. Il cinema è altra cosa e spesso i personaggi veramente esistiti funzionano meglio se accennati anziché ricalcati. Rami Malek e gli altri sono bravi, ci mancherebbe, ma è quel bravi che diresti a una recita scolastica venuta bene. Fanno le mossette, ammiccano dopo qualsiasi battuta che a volte sembra di vedere Zoolander, sono caricaturali al limite della macchietta: Mercury viene dipinto come un mezzo minus habens incapace di gestire qualsiasi emozione, anche la più semplice e miracolato dal genio che gli viene da chissà dove, May sempre pragmatico, Taylor scassapalle e Deacon, il povero Deacon, l’unico giusto, diventa la spalla comica, un Mr. Bean che suona bene. Quando parlano, lo fanno come gli Avengers, uno alla volta e ognuno con la battuta-spiegone, per strizzare l’occhio ai fan. Manca solo il televoto finale.
La maxistoria dei Queen, tutta inventata
Ho letto molte recensioni che dicono sostanzialmente “Uè, è un film non una biografia, qualche licenza va presa”. Sissignori, ma la storia dei Queen di Bohemian Rhapsody è quasi del tutto inventata. È stato Tim, il cantante degli Smile a introdurre Freddie a May e Taylor, Freddie già cantava in altre band (quindi sapeva usare l’asta di un microfono), Deacon non è stato il primo bassista dei Queen, i Queen si sono presi una pausa sì, ma di comune accordo, non per colpa dell’album solista di Mercury: Roger Taylor è stato il primo a pubblicare un album solista e Brian May ha collaborato con un sacco di musicisti durante l’anno sabbatico, preso sia perché i Queen erano stati abbandonati dai fan dopo alcuni album synth pop poco interessanti, sia perché John Deacon stava accusando lo stress della vita in tour. Si sono riuniti per registrare The Works, un album più rock che ha garantito loro nuovi fan, per poi imbarcarsi in un tour mondiale e subito dopo, suonare al Live Aid. Non è vero che sono arrivati a quel concerto dopo una vita che non si vedevano, quindi verosimilmente non c’è stata nessuna scena di tradimento e redenzione con Mercury che invoca il perdono degli altri membri, non è vero che Freddie abbia detto alla band che aveva l’AIDS durante le prove, perché lo stesso Mercury scoprirà solo anni dopo di essere malato. Immaginate quanto possa essere vero tutto il reparto Disney di lui che cerca il fidanzato, lo porta ai genitori il giorno stesso del Live Aid e parla col padre di buoni sentimenti. Tutto inventato. Mercury non ha mai fatto coming out e agli occhi della famiglia, Jim Hutton era il suo giardiniere.
San Freddie da Zanzibar
Pare chiaro che Bohemian Rhapsody sia fatto ad uso e consumo degli ammiratori che cercano il mito ed eviti in modo assoluto di entrare nel profondo delle contraddizioni di Mercury, ma ritrarlo come un ebete non gli rende giustizia. Come in ogni storia stile Disney, c’è un cattivo che si accolla tutte le colpe del mondo e in questo film è l’ex manager Paul Prenter (nella realtà fu licenziato un anno dopo il Live Aid, quindi neanche la scena madre sotto la pioggia è vera), che sembra l’origine di ogni male, come se Mercury non amasse le feste e fosse obbligato alle orge. Nel film, prima dell’entrata in scena di sua santità Freddie Mercury, pure il Live Aid era un fallimento, con tanto di Bob Geldof in chiara paranoia. Non è andata così, benché i Queen abbiano fatto una performance da annali della storia del rock, quel giorno sul palco c’erano fior di musicisti e le offerte fioccarono fin dall’inizio. Mercury era un uomo con un sacco di sfaccettature e in più era un artista, uno scrittore di canzoni. Nel film non viene dedicato neanche un attimo alle sue influenze, alle sue ispirazioni, al suo modo di scrivere, alla scoperta del proprio talento canoro, niente. È solo un indo-londinese che da lavorare come facchino in aeroporto, diventa una rockstar nel giro di 5 minuti. Una favola bella che finisce col martirio e la beatificazione senza mai andare oltre le apparenze e senza mostrare gli ultimi anni del Santo, per non rovinarne la patina. San Freddie non ha mai pubblicamente ammesso di essere gay, non ha mai lottato per i diritti degli omosessuali, non ha mai pubblicamente aiutato i malati di AIDS e i Queen un anno prima del Live Aid hanno suonato a Sun City, città sudafricana simbolo dell’apartheid, sdegnando tutta l’opinione pubblica e molti colleghi, che trovarono strano si facessero belli sotto la bandiera dell’Africa quando erano andati a fare soldi tra i razzisti poco prima. Di sicuro ne parleranno nel secondo film.
Fermate Brian May e Roger Taylor
Il vero Santo della vicenda in realtà è John Deacon, il bassista che ha dichiarato pubblicamente “I Queen sono morti dopo la morte di Freddie Mercury”, che ha evitato di partecipare ai patetismi tipo Queen + Paul Rodgers o Queen + Adam Lambert e si è ritirato a vita privata. I due Queen rimasti attivi invece non ne vogliono sapere di rilassarsi e a furia di glorificare il loro mito, lo stanno uccidendo. Provate a vedere uno dei concerti che May e Taylor senili stanno tenendo (sempre col nome di Queen) insieme al cantante-uscito-dai-talent Adam Lambert: canzoni suonate alla metà della velocità, con un brio degno del saggio di fine anno di Villa Arzilla. Loro sono i produttori musicali di Bohemian Rhapsody, il film. Non solo: sappiamo bene che il primo attore che avrebbe dovuto interpretare Freddie nel biopic sui Queen sarebbe dovuto essere Sasha Baron Cohen, che si è tirato fuori proprio per dissidi sulla visione generale di Brian May. Non si sono neanche sentiti un po’ in imbarazzo i due Queen quando hanno riscritto di sana pianta la storia della loro band a favore di cinepresa?
Il Live Aid dei Queen c’è anche su YouTube
Se proprio volete emozionarvi, guardate il vero concerto dei Queen al Live Aid, con i veri musicisti, la vera regia dell’epoca e, cosa importante, il pubblico vero, non quell’ammasso di computer grafica senz’anima con cui i produttori del film hanno riempito il Wembley Stadium. Fanno anche qualche pezzo in più rispetto al film: tutto gratis, tutto reale.
Goodbye everybody, I’ve got to go.