Il Concertone del Primo Maggio è una tradizione consolidata per una vasta area di persone che tramite il palco di Piazza San Giovanni a Roma, entra un contatto con una serie di musicisti che non ha mai ascoltato, alternati a nomi più famosi e a discorsi di natura sindacale e sociale. Fino a qualche anno fa, il Concertone a livello strettamente musicale era riassumibile con la nota canzone di Elio e le Storie Tese in materia: chitarre scordate dei gruppi nel pomeriggio, il centro sociale, la musica balcanica, l’invettiva contro il capitalismo, la band con due cantanti, il musicista etnico e alla fine i nomi grossi.
Quest’anno ha destato curiosità e una certa dose di polemica social la decisione di dare più spazio agli esponenti di rap, trap e nuova scena pop italiana, che in verità anche gli anni scorsi ha avuto il suo peso in scaletta con Thegiornalisti, Motta, Brunori Sas, Le luci della centrale elettrica, Ex Otago e Lo stato sociale, per dirne alcuni. A questi ultimi e in special modo a Lodo Guenzi è stata appaltata anche la conduzione dell’evento 2018 in coppia con Ambra Angiolini.
I nomi di quest’anno, fuori dalla bolla dei fan a molti potrebbero non dire granché ma di certo hanno avuto il grande merito di scalzare dal palco tutti i cliché stantii di folk militante che per anni hanno preso possesso della piazza e che nel tempo sono diventati indigesti anche al più fricchettone dei presenti.
I nomi, dicevamo: la quota post Sanremo composta da Ultimo, Braschi, Mirkoilcane e poi i nomi della scena indie/itpop da MI AMI Festival: Willie Peyote, Wrongonyou, Dardust + Joan Thiele, Maria Antonietta, Galeffi, I Ministri, The Zen Circus, Calibro 35, Cosmo, Canova, Lo Stato Sociale, Frah Quintale e ancora il rap/trap di Nitro, Gemitaiz, Nitro, Achille Lauro, Sfera Ebbasta insieme a nomi ben più conosciuti a livello nazionalpopolare come Francesca Michielin, Ermal Meta, Le Vibrazioni, Carmen Consoli, Max Gazzè e Gianna Nannini.
Praticamente un osservatorio sulla salute della musica in Italia, comprendente una larga parte delle band e dei progetti che riscuotono successo dal basso, con poche apparizioni televisive ma molte condivisioni social. Poche concessioni ai talent morenti, più apertura nei confronti del paese reale e di quello che il pubblico ascolta sul serio.
Parliamo di un momento storico in cui quelli che i nostri genitori avrebbero chiamato “i big” stanno invecchiando e le pop/rockstar da stadio presto dovranno pensionarsi, quindi l’industria richiede un cambio generazionale che possa far crescere le realtà più giovani e riuscire ad affermare definitivamente quelle che girano l’Italia sul furgone da anni. Pazienza se alcuni di loro stonano, presi dall’emozione o dalle lacune strutturali, ci sta. Non si può pretendere di riformare la Nazionale e di avere già pronti i nuovi Del Piero, Totti e Cannavaro, dobbiamo passare anche da una scommessa come Fabio Grosso che fa una stagione un po’ così e poi matura tutto un botto facendoci vincere il Mondiale, no?
I continui paragoni con la scena alternativa degli anni ’90/2000 non hanno ragione di esistere perché sottolineano solo quanto sia fondamentalmente conservatore e nostalgico un certo pubblico 30-40enne che già adesso inizia a parlare come il nonno che guarda il cantiere. Mica Sfera Ebbasta o Cosmo debbano piacere per forza, ma che rivoluzione vederli su palco del Primo Maggio di Roma, con tutto il pubblico che canta le loro canzoni. Il resto, come al solito, sono discorsi da social bar, haterismi a caso e una retromania atavica, quasi fosse un peccato originale da scontare per forza, che porta gli utenti dei social ad amare il passato senza neanche ricordarlo bene, altrimenti sarebbe chiaro a tutti che la stonatura e la band non in forma c’è sempre stata, ma soprattutto che la musica non è una gara e ogni momento storico ha la propria, di musica. In più, se serve la trap star per avvicinare i più giovani alle tematiche sindacali e sociali, viva la trap star.