Quando arriva l’influenza nell’anacronismo della stagione che per tutti dovrebbe essere di gioia e letizia, allora è come se un macigno di proporzioni enormi si abbattesse sulle nostre teste, come se entrassimo in un tunnel di quelli senza uscita.
Succede che un anticiclone delle Azzorre, poi una settimana di Africa, poi la grandinata della vita e infine quell’arietta a 50° al sole e 13° all’ombra, possano mettere Ko anche il più vitaminico dei presenti, e sono dolori. Non parliamo poi dell’escursione termica assassina tra il parcheggio d’asfalto che ribolle il sole di un mese e l’aria condizionata al supermercato, in cui si è investiti da uno di quegli sbalzi di temperatura per i quali gli astronauti della NASA vengono preparati anni e anni.
Alcuni prendono il raffreddore, altri bronchite, polmonite, tonsillite, sinusite e altri nefasti malanni che finiscono per -ite. D’inverno, la settimana in malattia te la godi al 100%: tisane bollenti, letto con scaldasonno al massimo, Netflix accesa 24h, libri e fumetti in quantità, sparisci sotto le coperte e addio mondo crudele.
D’estate, anche una banale tosse persistente diventa il Vietnam, l’inferno sulla Terra, l’atomica, l’Apocalisse di San Giovanni. Fuori fa caldo, dalle finestre senti il rumore delle Vespe e le grida dei ragazzini che vanno al mare, a mangiare il Cornetto sotto il sole anche se stai in centro di Milano, mentre te non puoi uscire, pena la ricaduta. In casa, senza condizionatore (pena la ricaduta, ancora), ci sono gli stessi gradi che servono per arrostire il kebab e tu sei costretto a fare lo zombie disidratato, che chiede acqua con la voce spenta dalla peste bubbonica, che in realtà è sempre un semplice raffreddore. Dopo aver preso l’aspirina, il letto diventa una Sindone di sudore e in caso puoi tentare di vendere il lenzuolo su Ebay, casomai ne venissi fuori, spacciandolo per merchandising di Nazareth. Intanto le zanzare si cibano dei tuoi resti e tu le lasci fare, conscio che ormai sia venuta la tua ora e aspettando da un momento all’altro gli avvoltoi.
Nel caso tu sia abbronzato, durante quei giorni diventi giallo o verde, hai sempre le occhiaie viola e quella gradevole sudorazione fredda che fa di te un perfetto caratterista di un film sugli zombie, mentre ciondoli per casa alla ricerca del frigorifero in cui finalmente morire.
Nel caso tu abbia preso qualcosa di più stronzo e debba debellarlo con l’antibiotico, la vita diventa una valle di lacrime: non puoi uscire a bere, che passati i 18 anni è la cosa che rende l’estate tale, di conseguenza ti arrocchi su posizioni di isolamento e depressione che in confronto Leopardi e Kafka erano Ficarra e Picone.
Solo dopo la pioggia di medicinali, che ricordiamo nel caso di raffreddore lo fanno durare esattamente gli stessi giorni che durerebbe senza, sei pronto per tornare faticosamente alla vita di ogni giorno, che include il lavoro e una città in cui il mare non è proprio previsto. Gemi un po’, poi pensi “Almeno non son malato” e aspetti il weekend. Buona estate a te.