Gianni Miraglia è lo scrittore che si esibisce nudo in monologhi surreali o che fa il forzuto in tv nel programma della Rai Provincia capitale. Pochi mesi fa ha pubblicato un bellissimo libro dal titolo Ritornello al futuro che parla di una band di zombie capitanata da Luigi Tenco che, insieme a Freak Antoni, Kurt Cobain, Johnny Thunders, Claudio Cecchetto, Laura Pausini e molti altri, organizza una strage al festival di Sanremo. L’abbiamo intervistato In occasione del cinquantenario della morte del cantautore piemontese.
Fare uscire Ritornello al futuro quasi in concomitanza con il cinquantenario della morte di Tenco era voluto?
È stata una coincidenza, me ne sono accorto dopo. Calcola che il libro l’ho scritto all’incirca tre anni fa. Ad un certo punto ho persino pensato che non venisse pubblicato: la casa editrice aveva avuto dei problemi, c’erano stati dei rallentamenti, io l’avevo interpretata come l’ennesima sfiga di quel periodo. Poi, per fortuna, è uscito per Baldini.
Scrivere una storia di zombie ambientata in Italia è la solita critica sul nostro paese di vecchi o c’e di più?
No, è più semplice di così. Mi era venuta un’idea per alcuni documentari dedicati a degli zombie “poco corretti”. Erano delle specie di escursioni storiche dove si avveravano delle possibili vendette, che ne so, gli Zombie delle Fosse Ardeatine che si rivoltano contro i turisti tedeschi o lo zombie di Annibale che torna a Roma con gli elefanti zombie. Partendo da questo tipo di immagini, un po’ da b-movie, sono arrivato a pensare alla possibile vendetta di Tenco a Sanremo.
Perché proprio Tenco?
Mi faceva ridere l’idea dello zombie di uno squilibrato – tanto equilibrato non era, altrimenti non si ammazzava solo perché l’avevano escluso dal festival – che vuole vendicarsi di Sanremo. Se gli zombi esistessero davvero io ce lo vedo Tenco che fa un gesto simile a quello raccontato nel libro.
Il video di My Way di Sid Vicious è solo una nota di colore o è un tassello importante nel libro?
È piuttosto importante, è il video che ispira Tenco nella sua vendetta. In un’ipotetica civiltà di zombie penso che se Tenco lo vedesse penserebbe “guarda che casino che ha fatto, potevo farlo anche io”.
Messa così è come dire che Tenco è stato il primo punk italiano.
A modo suo lo è stato, quanto meno violava il pensiero positivo dell’epoca. Ai tempi si faceva la canzone didascalica sull’amore, nessuno aveva la la forza di uscire da quel tipi di comfort zone. A mio avviso Tenco è stato qualcosa di simbolicamente molto potente. Se poi vogliamo tirare fuori l’etichetta punk, ecco, parliamone. Per come la vedo io il punk è anche Bello Figo…
Approfondiamo.
Non mi riferisco a cosa è successo in tv recentemente, lo seguo già da parecchio tempo. Mi piace molto la sua diversità, la sua purezza: nel suo non avere filtri dice delle cose che nessun altro riesce a dire. Cazzeggia ma, in realtà, ha anche un talento canoro, lo cogli pezzi come tipo Sembro Francesco Totti dove evoca quasi un blues archetipico, con queste rime strane perché l’italiano l’ha imparato tardi. È interessante vedere una persona del tutto avulsa dalla nostra cultura ma che va avanti ugualmente per la sua strada. Spero che non si bruci, è il classico artista che se lo avvicini ad una major perde la sua originalità. Non può entrare nella famiglia di Fedez, ad esempio, rischierebbe di diventare come loro.
Oltre a lui su Facebook citi spesso anche i Fat White Family, che nel video di Cream of the Young sembrano un po’ degli zombie, c’entrano con il libro?
Non sono stati tra le miei principali fonti di ispirazione, ma l’infatuazione per i Fat White Family è stata per me molto importante. Vivevo con l’idea che tutto era già stato fatto e che i miei riferimenti, ormai, erano morti e sepolti. Vedere una band di scapestrati che facesse una roba simile mi ha fatto ritornare l’amore per musica. Oltretutto sono anche diventato amico su Facebook del del papà del chitarrista e li ho conosciuti di persona.
Mentre la tua passione per la musica quando è iniziata?
Mi facevo le seghe in un’epoca in cui non c’era molto. Andavo sempre in piscina perché negli anni ’80 a Genova la droga dilagava e mio padre ci teneva che facessi sport. Nelle radio ufficiali i nomi mainstream erano Tozzi, Dalla e altri simili. Ho scoperto le radio private e sono rimasto affascinato da quei suoni così misteriosi. Immagina un ragazzino che scopre i Joy Division. L’amore per la musica è stato qualcosa di molto potente ma, a suo, modo silenzioso. Il messaggio di fondo era che non tutto è visibile e devi cercare cosa ti piace davvero.
Tenco ti piaceva?
Non sono mai stato un cultore delle sue canzoni, ma l’ho sempre rispettato. Non discuto il suicidio ma ancora oggi resto stupito che i fan continuino a ipotizzare l’omicidio, i complotti, i servizi segreti, ecc. Mi colpisce che non riescano ad ammettere che un talento possa essere così umano da uscire di testa e ammazzarsi.
Quanto c’è di te nel Tenco di Ritornello al futuro?
C’è sicuramente l’elaborazione del dolore e di come io lo metto in mostra. In quel periodo non stavo benissimo e quei pensieri così cupi non potevano che essere rappresentati da Tenco.
Perché descrivere Tenco come un malato di figa?
Per scrivere il libro ho fatto parecchie ricerche e ho capito che la maggior parte dei suoi fan lo vedono in un’accezione intellettuale. Era il poeta, il narratore, il grande scrittore, ma spesso dietro artisti del genere c’è anche la voglia di figa e di successo. Non dico che sia stato veramente così, ma era plausibile pensarlo. Volevo che il mio Tenco fosse umano, mi piaceva immaginare che, come tutte le persone sensibili ma al tempo stesso egotiche e accentratrici di emozioni, trovasse gusto nel suscitare un certo tipo di interesse, a maggior ragione nel pubblico femminile. Siamo tutti ossessionati dalle donne, anche se non ne incontriamo molte. Il sesso è quel qualcosa c’è anche nel suo non esserci o che, quando c’è per davvero, lo vorresti diverso.
E la Pausini in tutto questo cosa c’entra?
All’inizio non la tolleravo perché sono cresciuto con generi musicali diversi e mi rendo conto di essere stato molto snob. Per me la Pausini era l’impero del male ma, inserendola nel mio libro è come se mi fossi riconciliato con lei. Ho capito che lei e tutte quelle come lei, rappresentano la nostra cultura in un modo più autoctono possibile, molto più della rock star che si sente alternativo in Italia. La cultura di riferimento di Manuel Agnelli, ad esempio, non è la nostra.
Ed è un bene o un male?
Tempo fa ho letto un articolo che diceva che gli uomini di Neanderthal hanno vissuto in presenza dei Sapiens per almeno centomila anni. Ci può stare che convivano specie così diverse, pur nella stessa cultura. Non sto dicendo che io o Agnelli siamo le persone evolute e la Pausini è Ia donna Neanderthal, probabilmente è il contrario, ma scrivendo così tante pagine su di lei mi sono reso conto di aver passato la mia vita interessandomi ad artisti di culture diverse e non conoscere la mia. Spesso, chiacchierando con il papà del chitarrista di Fat White Family, è emerso che sapevo più cose io dei Sex Pistols di lui che, ai tempi, li aveva pure visti dal vivo. Per questo nel libro ho fatto collaborare tra di loro Tenco, la Pausini, Cecchetto, Jonny Thunder, Kurt Cobain e altri, volevo uscire ad quel modo di pensare tipicamente italiano che ha sempre bisogno di divisioni così nette.
Posso dirti la mia?
Prego.
Credo che questo bisogno procedere sempre per compartimenti stagni dipenda molto dal nostro provincialismo: si cresce con la mentalità tipica di chi passa la vita a giudicare male chi vive nel paese a fianco e nella musica si finisce con il creare tante micro-scene che si fanno la guerra tra di loro.
Sono d’accordo. L’Italia è tutta una provincia, è guelfa e ghibellina, è una divisione continua. Da ragazzo secondo me è anche giusto perché hai bisogno di ribellarti e la musica può essere una buona alternativa alla cultura dominante. Quando sei piccolo era normale rimanere affascinato da quel tipo di suoni. Tornassi indietro lo rifarei. Non ti dico le polemiche che si generano ogni volta che su Facebook metto insieme le parole “punk” e “nuove generazioni”.
Pubblichi diversi post al giorno, ti piace?
È un mezzo affascinante ma bisogna starci attenti, è molto facile urtare la sensibilità delle persone. Pochi giorni fa avevo scritto “C’è tanta umanità nell’accontentarsi” e la gente ha iniziato commentarla come se fosse un’affermazione, come sei fossi a favore o meno dell’accontentarsi, invece era solo una constatazione. Siamo così democratici che, per eccesso di democrazia, uno non può più scherzare su nulla e, al tempo stesso, siamo così equi e così informati che tutti si sentono in diritto di avere un’opinione su qualsiasi cosa. Ci vorrebbe un po’ più di ironia.
Ironia che certo non manca nei tuoi famosi Monologhi della fatica. Perché però mettersi nudo davanti al pubblico, sorreggendo due bidoni e improvvisando sui temi più diversi?
Per me vuol dire mettere in mostra tutto: il mio corpo, le debolezze e le meschinità. Cerco di creare un momento dove mi trovo del tutto indifeso di fronte a loro. Mi scrivono dei temi e improvviso come se fossi un musicista jazz. È come se fossero delle cover di canzoni richieste dal pubblico.
Il messaggio di fondo sembra affermare che accettare i propri limiti sia una delle cose più faticose in assoluto, è così?
Mi piace come interpretazione ma, in realtà, per me la fatica fisica dovrebbe aiutarmi ad abbassare le mie difese e dire cose – chiamiamole verità – in maniera più diretta. E poi sono una persona che usa molto il corpo, alla fine è diventato uno strumento di scena. Come vedi anche in Rai mi fanno fare il forzuto.
La tv ti piace?
Non ce l’ho, la guardo in streaming. Non è per fare lo snob, credimi, ma mi conosco e se avessi un televisore ci starei tutto il giorno davanti. Ho troppe cose da fare, se mi metti una tv in casa per me è finita (ride).
Leggi molto?
Leggo molti saggi, biografie, libri di storia o di geopolitica. Cose del genere.
Un consiglio per scrivere meglio?
Chi vuole iniziare a scrivere deve farlo tutti i giorni. Puoi avere tutti i maestri che vuoi ma la cosa più importante è non sentirsi in soggezione o ammirare troppo chi ti piace perché rischi di diventare la sua brutta copia. E poi devi andare avanti fregandotene dello stile perché lo stile nasce scrivendo. Non servono le frasi ad effetto, serve scrivere. Avere qualcosa da dire è già sufficiente.