Snowden, di Oliver Stone, 2016, ricostruisce la vicenda di Edward Snowden, il consulente dell’agenzia governativa NSA che nel 2013 decise di svelare al mondo i segreti della sorveglianza globale della National Security Agency.
Per farlo Snowden trafugò documenti riservati e fuggì dalle Hawaii verso Hong Kong per incontrare i tre giornalisti che lo avrebbero aiutato a diffondere lo scoop, ovvero la regista di documentari Laura Poitras insieme a Glenn Greenwald ed Ewen MacAskill del Guardian.
Li vediamo nei primi minuti del film blindati, con la paranoia della sorveglianza, nella stanza d’albergo dove Snowden sta per consegnare loro documenti scottanti e raccontare così tutta la sua verità in una video intervista, dove squaderna il rodatissimo piano di sorveglianza globale dell’agenzia governativa statunitense.
Da lì il film parte e ricostruisce per flashback la vicenda di Snowden, fino a oggi, con Snowden che da ormai tre anni vive in una località segreta in Russia, dove gli è stato concesso asilo politico.
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I fatti che coinvolgono Snowden sono ricostruiti abbastanza fedelmente nel film di Stone e risalgono appena al 2013, tre anni fa: la distanza che divide quel 2013 dal nostro oggi però, l’oggi del neoeletto Donald Trump, dell’alt-right, di Barack Obama ex Presidente degli Stati Uniti, l’oggi della post-verità parola dell’anno, è siderale, e la privacy online sembra un tema lontano dall’agenda di tutti.
Il film di Oliver Stone però funziona, non annoia malgrado i 134′, oltre due ore: la ricostruzione è pensata per il grande pubblico e per forza di cose si prende qualche licenza che forse farà storcere il naso agli esperti di sicurezza informatica, ma regge bene. Un po’ fuori luogo Nicolas Cage, che per carità, è sempre fantastico, gli vogliamo bene e lo vorremmo vedere pure sui cartoni del latte, ma come guru emarginato della crittografia è credibile quanto un lemure ai vertici del CERN.
Insieme a Cage anche Rhys Ifans è un po’ sopra le righe – Rhys Ifans interpreta uno degli istruttori di Snowden, Corbin O’Brien – e gioca da grande antagonista e “manovratore” di Snowden nel film. Il personaggio di O’Brien omaggia l’O’Brien di 1984 di Orwell. Ah: completamente inutile la scena di sesso tra Snowden e la fidanzata Heather Mills.
Nel finale a un credibile Joseph Gordon-Levitt che interpreta Edward Snowden si sostituisce il vero Snowden, per una chiusa parecchio retorica, ma che può emozionare, anche se forse se ne sarebbe potuto fare a meno: ma ricordiamoci che per chi vuole un documentario su Edward Snowden, c’è Citizenfour, girato proprio da Laura Poitras.
In conclusione: decisamente più alti che bassi in Snowden di Oliver Stone, tanto che c’è chi dice che questo sia il suo film migliore dai tempi di JFK.
È da capire però quanto Edward Snowden – la gola profonda che ha svelato i segreti della sorveglianza NSA e come l’America possa conoscere ogni nostro movimento online – sia ancora presente nel nostro immaginario: ci pensiamo ogni tanto a Snowden? O più che a lui, alla possibilità che governi e agenzie governative possano entrare e spiare ogni nostra comunicazione digitale in qualunque momento? No, non ci pensiamo.
Forse però Snowden serve anche a questo, a riportare l’agenda su un tema, quello della sorveglianza di massa e della nostra privacy online, che abbiamo lasciato perdere, ma la grande paura è che sarà più che altro un film che predica ai convertiti, ammesso che ci sia ancora o ci sia mai stata una “religione della privacy”, cosa di cui dubito molto.
Ci pensiamo ancora che siamo potenzialmente, tutti, nel 2013 come oggi, sorvegliati o sorvegliabili come mai lo siamo stati, in nessun altro momento della storia dell’umanità, grazie agli smartphone, grazie ai social media, grazie in definitiva a internet? No. Non ci pensiamo, anche perché impazziremmo.
La privacy è ancora o è mai stata un’autentica preoccupazione per noi, e intendo per la maggioranza di noi? Non per la minoranza che sa cos’è Tor, che magari si muove nel deepweb, o anche solo per la minoranza che ricorda e ha seguito nel 2013 le vicende di Snowden? No.
E mi pare che questa preoccupazione – in un’immaginaria agenda delle preoccupazioni – sia scesa di parecchi posti in classifica dal 2013 a oggi, perché non ce ne frega più niente della privacy, se mai qualcosa ci è importato, e abbiamo tutti, tutti, consciamente o meno scelto questa strada: “Ma tanto non ho nulla da nascondere”, che è già tanto, è un pensiero. Sbagliato, ma è un pensiero.
La mia opinione è che la maggior parte di noi sia a un livello ancora inferiore, non ha mai avuto tempo di pensarci, di metterci la testa. Che la vita è già tanto complicata.