È un bel librone grande, questa Pulcinellopaedia Seraphiniana di Luigi Serafini, uscito a fine settembre scorso per Rizzoli. Come di consueto per Luigi Serafini, è un grande libro.
Contiene tutto quello cui ci ha abituato l’autore di quel libro impossibile e meraviglioso che è il Codex Seraphinianus – l’avevamo incontrato qualche mese fa – in termini di capacità di sognare e di capacità di immaginare nuovi mondi e nuove forme di vita, semplicemente disegnandoli su carta.
Questa volta però Serafini non ha creato un’enciclopedia di un mondo immaginario scritta in una lingua che non esiste, ma ha applicato la sua fantasia a una delle maschere più popolari d’Italia, forse del mondo: Pulcinella.
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Tutto nacque più di trent’anni fa: infatti il volume è una ristampa della prima edizione del 1984, ma il lavoro di Serafini cominciò ancora prima, quando realizzò una maschera per il Carnevale di Venezia del 1982. Gli abbiamo chiesto di raccontarcelo.
La tua Pulcinellopaedia nacque per il Carnevale di Venezia del 1982, giusto?
Sì, un po’ l’ho raccontato alla fine del libro, romanzandola un po’, ma ci torneremo sopra dopo… Quando cominciai a lavorare ai primi bozzetti del Pulcinella per il Carnevale di Venezia del 1982, il Carnevale era scomparso ormai da due secoli, da quando Napoleone lo aveva abolito. All’epoca della sua abolizione il Carnevale veneziano era all’apoteosi, da mezza Europa tutti volevano andare lì. Napoleone lo abolisce non certo per ragioni morali o etiche, ma perché il Carnevale veneziano durava un mese e ne succedevano di tutti i colori. Casanova ne racconta delle belle, ma c’erano anche omicidi, stupri, eccetera… però la città aveva un’identità e una coesione tali per cui poteva permettersi anche un mese l’anno diciamo di anarchia. Quando dopo Napoleone arrivano gli austriaci, anche loro mantengono il divieto, e così non festeggiare più il Carnevale diventa la normalità: e nessuno si interroga più sul fatto che non ci sia più.
Finché sul finire degli anni settanta il Carnevale di Venezia rinasce
Esatto, e infatti si arriva al 1978: quando Maurizio Scaparro viene nominato direttore della Biennale Teatro. E quando sta là, a Venezia, chissà come gli viene l’ispirazione: gli viene l’idea di ritirare fuori il Carnevale, l’antico Carnevale di Venezia, non il Carnevale che si faceva nelle case, quello era un Carnevale domestico, lui voleva un grande Carnevale della città.
Infatti come arriva il tuo Pulcinella a Venezia?
Il Carnevale rinasceva lentamente, ma già nel 1981 c’era stata una cospicua partecipazione della città: poi nel 1982, l’ultimo anno di Scaparro a Venezia, avvenne questa fusione con Napoli, una specie di gemellaggio tra il Carnevale veneziano che stava rinascendo e il Carnevale di Piedigrotta che è una tradizione secolare. E così arrivano a Venezia pulcinelli di tutti i tipi, e al seguito registi, come Martone, Luca De Filippo – il figlio di Edoardo – varie compagnie, insomma, un trasferimento in massa di napoletani a Venezia. A me Scaparro, che conoscevo attraverso il Codex, chiese una maschera: ed è la maschera che si trova alla fine del libro, dove c’è questa specie di Pulcinella con un grande testone, da cui escono le mani.
Un pulcinella stegosauro
Esattamente! Quella è la maschera che realizzai a Venezia. La scala te la dà l’attore: la figura è il Pulcinella reale, alto un metro e settanta, era lunga poco più di due metri, due metri e mezzo. Pensa che fu portata anche in gondola, sul Canal Grande, durante il martedì grasso!
Non ci sono delle foto?
Ma guarda, no! All’epoca non c’era il digitale, sembra ieri, ma era preistoria. Oggi una cosa del genere avrebbe migliaia di foto, ce le troveremmo ovunque, ma di sicuro sarà stata fotografata da qualcuno, perché la città fu veramente presa d’assalto. Magari facendo delle ricerche qualche immagine si potrebbe ritrovare, io avevo fatto delle foto, ma poi le foto analogiche: uno le perde, trasloca, non le trova più. Magari un giorno usciranno fuori.
Siamo arrivati al 1982, ma i disegni della Pulcinellopaedia tu li realizzi anche dopo, tra il 1983 e il 1984
Sì, per arrivare allo stegosauro, come l’hai chiamato, ho fatto diversi disegni, bozzetti, ho cercato qua e là immagini, il mio lavoro era quello. C’era il tema della metamorfosi, cui sono davvero legato… e mi trovai ad avere un sacco di materiali e ad avere voglia di organizzarli, venendo dal Codex, di qualche anno prima. Be’, chissà, un’enciclopedia su Pulcinella, come potrebbe essere, come potrei farla? Pensai a una specie di suite, come le suite sono delle composizioni musicali che hanno un tema comune e poi si differenziano a seconda delle parti, e quindi pensai per esempio alla parte geografica, antropologica, e così via. Il tutto con un tema comune: la maschera di Pulcinella.
La prima edizione fu con Longanesi nel 1984
Pensa che all’epoca tra l’altro la proposi anche a Franco Maria Ricci, ma non gli piacque. E non piacque neanche a Italo Calvino. Questo passaggio dal mio inconscio a un inconscio collettivo – quello della maschera di Pulcinella – fece storcere il naso, sembrava chissà perché che fossi caduto in basso. Ma evidentemente era anche perché usai una tecnica diversa, usai la matita, feci una piccola rivoluzione, ma la feci anche perché non volevo essere incasellato nel Codex, volevo far vedere che sapevo fare anche altro. Ci son voluti trent’anni, adesso la Pulcinellopaedia sarà compresa per quello che è, al tempo era stata un po’ oscurata dal Codex.
In quel periodo in effetti tu “eri” il Codex, eri quella cosa lì
Volevo smarcarmi, senza fare polemica, ma volevo dimostrare che potevo fare anche altro. Sfruttare un tema popolaresco, e non restare nella torre d’avorio a cincischiare. Era anche una sfida con me stesso: prendere con un linguaggio mio un’entità che era fuori di me, che era inconscio collettivo.
E dove hai disegnato il tuo Pulcinella?
Sempre in via del Gesù, a Roma. Lì c’era anche l’incontro con Pulcinella, di cui scrivo nel libro, che in realtà era un emissario di Scaparro… ma col passare del tempo mi sembra che sia veramente avvenuto quello che ho scritto, e di avere incontrato Pulcinella.
Al termine del libro c’è il motto Festina Lente, perché affrettarsi lentamente?
Affrettati Lentamente è una doppia citazione: credo che fosse stato Augusto a inventare questo ossimoro, mi ha sempre affascinato.
Sì, ti riassume bene
Era anche nel logo di Aldo Manuzio, il grande tipografo veneziano, che aveva un’ancora con scritto Festina Lente. Mi è sembrato un doppio gioco, sia una citazione, come posso dire, chiamiamola tipografica, che altro. Quelle frasi lapidarie, da Roma tardo imperiale.