Sono passati esattamente 23 anni dalla Strage di via Palestro a Milano. Era la sera del 27 luglio del 1993 e davanti al Padiglione d’Arte Contemporanea esplose un’autobomba che uccise 5 persone.
Quella bomba è tutt’ora, malgrado “tanta nostalgia degli anni novanta”, malgrado le serie tv dedicate a quegli anni – 1992, per dirne una – e al culto un po’ passatista di un’epoca vissuta da bambini (culto di cui ammetto essere il primo officiante) un grande rimosso della nostra storia recente. Poniamo rimedio oggi.
Prima di tutto, inquadriamo la situazione: che cosa succedeva nell’Italia di quegli anni? Erano anni di transizione violentissima, tellurica, da un sistema all’altro, e accadeva qualcosa di impensabile oggi. Crollava un sistema politico giunto allo zenit della corruzione – la Prima Repubblica, sotto i colpi del pool di Mani Pulite – e crollava un altro sistema fatto di intrecci e legami quantomeno opachi, per usare un eufemismo, tra politica ed economia.
Il resto del mondo? Stava sfasciandosi la divisione in blocchi: il comunismo era agli sgoccioli da un pezzo, almeno dal 1989 con il crollo del Muro di Berlino, l’ex URSS si stava frantumando per diventare da terra dei Soviet a terra degli oligarchi, nel 1991 invece era scoppiata pure una Guerra nel Golfo, contro un misterioso dittatore sconosciuto ai più in occidente, Saddam Hussein. Nessuno immaginava che sarebbe stata solo la prima, di Guerra nel Golfo.
Insomma: crollava tutto. Cambiava tutto, e anche in Italia, ci si preparava ad altro.
Al di là delle vicende internazionali, la dimenticatissima Strage di via Palestro del 27 luglio del 1993 si inseriva in una cornice più ampia, molto più ampia di quel periodo: la strategia stragista mafiosa, partita già nel 1992.
Le due stragi di Capaci e via d’Amelio, in cui perdono la vita i giudici Falcone e Borsellino, e poi altri omicidi mirati, come quello di Salvo Lima – che per convenzione dà il via alla strategia del terrore voluta da Totò Riina – o attentati falliti, buoni però per scatenare altro terrore, per esempio quello al giornalista Maurizio Costanzo.
Ma perché Cosa Nostra si imbarca in una strategia del genere?
Per due anni fa esplodere bombe in tutta Italia, a Palermo, Roma, Firenze, Milano, uccide giudici simbolo, devasta luoghi dell’arte italiana noti in tutto il mondo – la Strage di via dei Georgofili a Firenze – nel complesso uccide 21 persone, non è una cosa da poco, neanche per un’organizzazione criminale potente e ramificata. Perché farlo?
Principalmente per potersi sedere – in un momento difficile della sua storia – a un tavolo e trattare con lo Stato: l’offerta è semplicissima, chiara, “Noi smettiamo con le stragi e le bombe, voi ci date qualcosa in cambio”. Ed è questa la famosa trattativa Stato-mafia – discutibile e discutibilissima, su tanti fronti – ma quello è. Un modo per sedersi a un tavolo e negoziare: infatti dal 1993 in poi, qualcosa cambia, le bombe smettono di esplodere e così i giudici di saltare in aria.
Il 12 marzo del 2012, a vent’anni da quel 1992 di sangue, su Repubblica Palermo si legge “Era l’ottobre del 1993, quando, fallito l’attentato all’Olimpico, Cosa nostra tornò al silenzio. Tra promesse di linee morbide, attenuazioni del 41 bis, riforme legislative. Segnali concreti per un ritorno alla coesistenza pacifica. Con il nuovo ordine, il traguardo era ora la finanza. Un altro modo per dare le carte. Lontano dai riflettori, gli amici calabresi lo stavano già facendo“.
La Strage di via Palestro a Milano si inserisce quindi in questo contesto, nella stessa notte in cui esplodono altre due bombe, due ordigni che non fanno vittime però, a Roma: San Giovanni Laterano e San Giorgio in Velabro – pur se con qualche dubbio, e qualche mistero ancora oggi irrisolto: per esempio, c’è chi sostiene che l’obiettivo non fosse in realtà il PAC, ma il Palazzo dei Giornali in piazza Cavour, oppure una loggia massonica poco distante. Probabilmente non lo sapremo mai.