“E la chiamano estate/ questa estate/ senza te / ma non sanno che vivo / ricordando sempre te / il profumo del mare / non lo sento non c’è più” cantava nel 1965 Bruno Martino, scoprendo tutto quel lato “altro” della stagione votata alla spensieratezza e all’allegria proprio quando, a boom economico ormai concluso e alla vigilia delle rivoluzioni culturali degli anni ’60 ci si stava di fatto preparando ad una nuova epoca.
Noi, molto più modestamente, sulla scia di questa canzone andiamo a trattare di altro, ovvero di chi, per scelta o per forza, per cause economiche o famigliari o semplicemente perché ha avuto la (s)ventura di nascerci, si trova costretto a passare l’estate in città e, soprattutto, lontano dal mare.
Perché se è facile trascorrere il periodo da giugno ad agosto in una località costiera, o comunque immediatamente prospiciente qualche specchio d’acqua, meno semplice è resistere alla canicola stretti tra il cemento e la pianura e, in particolare, obbligati a dover sopportare alcuni traumi da lontananza di mare a cui è davvero difficile resistere.
Indi per cui, non avendo sottomano neppure “la moto /usata ma tenuta bene” di Luca Carboni, eccovi i cinque traumi di chi vive lontano dal mare.
Le persone in ciabatte
Per capire il disagio ed anche il filo di imbarazzo che si prova nel vedere centinaia di persone che, senza colpo ferire, deambulano per quelle che, nelle altri stagioni, giornalisticamente si chiamerebbero le “eleganti vie del centro”, in ciabatte da casa, occorre prendere spunto da un ragionamento, divenuto poi celeberrimo, contenuto in Caro Diario di Nanni Moretti.
In questo film del 1993 si vede infatti Moretti, in sella alla sua vespa d’ordinanza, andare a visitare il quartiere di Casal Palocco, zona periferica di Roma sud-ovest, al di là del Grande Raccordo Anulare, zona caratterizzata dalle innumerevoli ville e villette, spesso abusive, sorte nel corso degli anni.
Attraversando le vie al regista romano sorge, spontanea, una riflessione: “Passando accanto a queste case, sento un odore di tute indossate al posto dei vestiti, un odore di videocassette, cani in giardino a far la guardia e pizze già pronte dentro scatole di cartone”.
Ecco è esattamente la medesima sensazione che si prova nel passare accanto ad una persona che, per uscire di casa, decide che fa troppo caldo per “vestirsi” ed allora non si sente neppure in dovere di cambiarsi, infilando un paio di scarpe anche estive o una semplice polo: no, niente di tutto questo, canottiera sempre un po’ troppo lunga (e dai colori, oltre al classico bianco, quasi sempre discutibili, dal lilla al giallo canarino con stampe di tramonti tropicali) e ciabatte od infradito casalinghe.
Il risultato è che invece di fare un giro in centro sembra di frequentare tutti i giorni una pensione a due stelle a Rivazzurra, frazione di Rimini.
Il viaggio in auto o in treno per raggiungere il mare
Però siamo sinceri: l’Italia non è esattamente il Tagikistan indi per cui, in qualsiasi parte della Penisola ci si trovi, si può sempre raggiungere il mare con un, più o meno breve, viaggio in macchina, in treno o in autobus. Si fa presto a dire però “facile da raggiungere”. Infatti vi sono differenze sostanziali tra un viaggio effettuato in estate ed uno effettuato in un’altra stagione. Innanzi tutto se uno va al mare non è che ci può andare portandosi dietro giusto il telefono, il portafoglio e un pacchetto di mentine.
Bisogna portarsi nell’ordine un telo mare, una crema solare (a protezione più o meno alta a seconda di quanto si è vicini al colore delle mozzarelle da bufala), un paio di occhiali da sole, acqua e bibite in borse frigo, un costume naturalmente, magari un cambio, qualcosa da leggere e da sgranocchiare ed eventualmente un ombrellone e una sdraio. Insomma forse per un biologico moto ad assomigliare sempre alla “Famiglia Passaguai”, la famiglia protagonista di una serie fortunata di film anni ’50 con Aldo Fabrizi e Ave Ninchi , veri e propri “pesi massimi” del cinema nostrano, più che un viaggio sembra un esodo.
In più occorre tenere conto che, se si parte in macchina, non si andrà certamente da soli. Certo c’è la variante, un po’ romantica un po’ scontata, della fuga al mare a due, il viaggio di coppia ma, di solito, la normalità è la classica comitiva che renderà la vostra auto più stretta e stipata di un quadro da punteggi molto alti a tetris.
Logica conseguenza di ciò è un’atmosfera interna paragonabile alla giungla tropicale (non c’è sistema di climatizzazione che tenga) e odori molesti che, quasi subito, caratterizzeranno il vostro viaggio, senza considerare le oceaniche code e la caccia al tesoro per trovare un parcheggio decente (e possibilmente non a venti chilometri dalla prima spiaggia). Se invece opterete per il treno o per il pullman il discorso non cambia, occorrerà soltanto moltiplicare per n volte il disagio.
Bonus track: magari vi riterrete fortunati e beccate uno scompartimento del treno con l’aria condizionata: fuggite sciocchi! Infatti, come anni e anni di pendolarismo insegnano, il treno in Italia significa o un viaggio stile linea ferroviaria dell’India con temperature vertiginose oppure un viaggio alla Anna Karenina, con l’aria condizionata talmente forte da rimpiangere di non aver portato dietro, assieme alle lattine di birre e alla Gazzetta d’ordinanza, anche un pratico maglione: salvo poi, una volta scesi, liquefarsi seduta stante per lo sbalzo termico di, minimo, venti gradi: dai dieci della carrozza ai trenta del mare.
La piscina
Be’, ma se anche il mare è distante ci può essere sempre la piscina giusto? Questo discorso è perfettamente coerente per due precise fasce d’età: ovvero quella che va dai cinque ai quindici anni (l’età in cui si deve ancora raggiungere la ragione) e quella che va dai 65 in avanti (ovvero quella in cui, inesorabilmente, la si perde).
Infatti la piscina, a meno che uno non sia un fan sfegatato delle tonnellate di cloro e degli scivoli che ti scartavetrano il fondoschiena, è il luogo perfetto per torme di ragazzini sciamannati e in preda ai furori dell’adolescenza oppure l’habitat ideale per anziani signori che, senza soluzione di continuità alcuna, passano da una partita a tressette, ad un riposino sotto l’ombrellone ad un gelato al cioccolato metà consumato e metà precipitato sulla canottiera.
Certo la piscina è l’unico modo, per chi vive in città, di adocchiare le bellezze locali in costume ma la sensazione di disagio che si prova ad entrare in quelle vasche tre metri per tre, con l’acqua più calda di un brodo di pollo (e spesso dal colore neppure troppo diverso se si è in prossimità di quella dei bambini più piccoli) con praticamente ogni centimetro d’acqua occupato da ragazzi che si malmenano o si palpano oppure da signore sovrappeso che fanno zumba in apnea, è qualcosa di difficilmente sopportabile.
I pomeriggi in cortile
Per chi rimane in città tuttavia vi possono essere dei luoghi di ricovero apparentemente ideali: i cortili e i giardini, magari della casa dei nonni. Quanti di noi, specialmente da piccoli, per qualche settimana andavano a raggiungere i parenti al “paesino”? Che bello i primi giorni quando, un po’ come il Roberto, protagonista de Il Sorpasso di Dino Risi, riscoprivamo la casa sempre uguale dei nostri nonni, con le “piccole cose di pessimo gusto” che la caratterizzavano e che piacere, per un paio di giorni, potersi sfogare in cortile o in giardino mentre, per tutto l’inverno, si era rimasti segregati tra le quattro mura del proprio appartamento, stretti tra la scuola, il corso di chitarra e le commissioni domestiche.
Eppure, dopo poco, a meno che non siamo degli scrittori particolarmente tormentati che si rintanano in un angolo del giardino per creare il proprio capolavoro, sopraggiunge la noia. Brutta la città per carità, ma vuoi mettere le partite a Fifa con Marco mentre qui il massimo che posso fare è osservare il lento disfacimento delle gardenie della nonna?
E vogliamo mettere la frizzantezza di una via del centro affollata e piena di gente, magari per un’occasione mondana o qualche manifestazione terzomondista (se si ha un’anima particolarmente sensibile per queste cose) con le vie del paese sempre deserte, a parte il giorno della processione per il Santo Patrono? E sarà allora che comprenderemo pienamente le parole di Giacomino Leopardi sul “natio borgo selvaggio, intra una gente zotica”.
I supermercati
Ma come avevamo fatto a dimenticarcelo, eppure tutti gli anni, puntualmente, Studio Aperto ce lo ricorda: “Evitate di uscire nelle ore calde e frequentate i posti freschi, come i supermercati”. Giusto!
Il supermercato è una specie di oasi di refrigerio in mezzo al deserto della calura estiva. Ed ecco allora che, se si rimane in città, il supermercato o il discount diventa veramente un surrogato delle vie e delle piazze.
In mezzo ai detersivi e ai barattoli di gelato si possono fare incontri, ritrovare vecchi amici ed osservare mandrie di signore anziane transumare da un’offerta ad un’altra. La controindicazione è che di fronte a tutta quella serie di prodotti appetitosi, si finisce per fare spese faraoniche, andando ad acquistare tutte le schifezze possibili ed immaginabili: dagli snack al caramello (che se non si mettono nella borsa frigo arrivano a casa praticamente liquefatti) ai più astrusi dei salumi sino a decine e decine di sacchetti di caramelle differenti.
Ed ecco che allora, anche durante quest’estate, porteremo con noi qualcosa di, quasi, indelebile: quei cinque e sei chili di troppo ideali per farci tornare al lavoro a settembre più tristi e rabbuiati di prima. E la chiamano estate/ questa estate/ senza te…