A luglio di due anni fa stavo cercando casa a Roma. Io e la mia ragazza ci abbiamo messo quasi tre settimane per trovarla ma ne è valsa la pena: casa mia è bellissima. Abbiamo un cortile gigantesco con tanto di piccola arena dove i bambini delle varie scale si trovano per giocare a calcio. I panni li stendo sul terrazzo all’ultimo piano, ed è uno dei posti dove mi riconnetto meglio con l’universo. Poi Paolo, il portiere del palazzo, è un mito. E c’è pure un pub allo stesso nostro numero civico (vuol dire sbronzarsi in ciabatte, non è male). All’inizio avevano pure il cuoco bravo a cucinare gli hamburger, poi l’hanno cambiato e no, questo nuovo non li sa proprio fare.
Roma, all’inizio, è bellissima. C’è il sole, le palme che ti ricordano quando da piccolo vai in vacanza. Il cinema Sacher di Nanni Moretti che d’estate proietta all’aperto ed è frequentato solo dai classici vecchi borghesi ma simpatici a cui non puoi voler male. La birra da passeggio corredata di supplì da passeggio, mentre passeggi vicino a case popolari che sembra di essere in un film degli anni ’50. Il mercato di via Catania. Le scritte della A.S Roma sui muri, la gente che bestemmia facendosi sentire da tutto il quartiere solo perché ha segnato la Lazio.
La parte brutta è facilmente immaginabile. Roma è enorme, stando a quanto dice Wikipedia è dieci volte Milano ed è più grande di New York e di Berlino. Fate da soli il confronto con il numero di linee metropolitane presenti nelle tre città (spoiler: qui ne abbiamo tre). Ogni spostamento che vuoi fare va pensato, deciso, e devi sempre mettere in conto che dovrai aspettare i mezzi pubblici un sacco di tempo – sotto i 45 minuti non è ritardo, dicono i romani – e questo ti spinge a vivere prettamente nel tuo quartiere. È una dimensione di paese anche molto bella, ma alla lunga ti stanca.
A marzo di un anno fa ero ospite da dei miei amici di Brooklyn che mi raccontavano che stavano pianificando di spostarsi in California perché New York li sta sfinendo. Dicevano che è una città che ogni giorno ti ruba troppe energie rispetto a quello che ti dà in cambio. Ai tempi mi sembrava una frase fatta, ora ho capito che intendevano. Ti stanchi ad aspettare, ti stanchi nel vedere l’ennesimo vagone di metropolitana pieno che non si respira, a camminare su e giù da questi colli travestiti da città.
Una foto pubblicata da Sandro Giorello (@sandro_giorello) in data:
A settembre di quest’anno sono ventiquattro mesi che vivo a Roma. Dicono che ce ne vogliano almeno trentasei per ambientarsi come si deve (a naso ce ne metterò il doppio). Tre cose, però, mi piacciono molto.
Le pizzerie
Di solito hanno la tovaglia di carta a quadretti bianchi e rossi e la birra Moretti alla spina. I gestori sono gentili, la pizza è sottile e gli ingredienti aggiunti – carciofi, funghi, salame, ecc – sono sempre freschi. È tra le più buone che io abbia mai mangiato e in media te la cavi con quindici euro avendo insieme anche una crocchetta o il filetto di baccalà fritto. Sono un po’ il corrispettivo dei diner americani: posti dove ci mangiano tutti, la qualità è più che buona ed il prezzo è contenuto. La mia preferita è Il Podista a San Lorenzo, e da Il Podista – come in un diner, tra l’altro – se chiedi un’IPA ti ridono in faccia. Dopo un po’ capisci che è un punto a loro favore, non una mancanza.
Le ville
Che poi sono i parchi: a vederli su Google maps ti impressioni da quanto siano grossi. Alcuni sono talmente estesi che ci passano persino i bus in mezzo. Il mio preferito è quello di Villa Borghese: puoi startene vicino ai laghetti e goderti l’ombra dei pini – adoro i pini romani – oppure puoi arrivare fino alla terrazza del Pincio e trovarti, di colpo, tutta Roma davanti. Non deve essere stato male fare l’imperatore.
I romani
A me il dialetto romano diverte molto. Tra i momenti più belli c’è stato quando sono andato a sentire Baglioni e Morandi e, mentre tutto il palazzetto è commosso nel sentire Piccolo grande amore, quello sopra di me se ne esce con un frase tipo “ma chi gliel’ha prestate ‘ste corde vocali”. Se la gioca a parimerito con la bellissima “ciabbatta, plantarata paa la piscina” che mi ha venduto il calzolaio al mercato lo scorso sabato. Non è solo folklore, è sentire una città intera che si esprime nello stesso modo. Un’anima popolare intimamente radicata nel territorio. Un equilibrio sottile tra ironia e teatralità.
Poi, certo, ci sono i bori ma quelli, magari, li vediamo un’altra volta.