Dino Fracchia è un grande fotogiornalista italiano: classe 1950, ne ha viste tante, in giro per l’Italia e il mondo, ne ha fotografate altrettante.
Se volete conoscerlo meglio e rivivere un periodo incredibile della controcultura italiana un’ottima occasione è la mostra I giorni del Parco Lambro. Continuous Days, Milano 29/5/1975 – 26/6/1976, a cura di Matteo Balduzzi, che inaugura giovedì 23 giugno alle 18.30 a Forma Meravigli, a Milano.
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I giorni del Parco Lambro presenta in versione integrale 13 rullini inediti scattati da Dino Fracchia durante le ultime due edizioni del festival (1975 e 1976) per un totale di quasi 250 immagini. Foto che raccontano il Festival del proletariato giovanile organizzato da Re Nudo “la più importante manifestazione musicale e contro culturale italiana dell’epoca. Insieme ai grandi nomi del rock italiano – tra i quali Area, Stormy Six, Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Eugenio Finardi, Edoardo Bennato, Franco Battiato, Antonello Venditti, Giorgio Gaber – radunò dal 1974 al 1976 migliaia di giovani (…) freak, militanti underground, cani sciolti, femministe, semplici curiosi e appassionati di musica.” spiegano da Forma.
Noi abbiamo contattato Dino Fracchia, fotografo e fotogiornalista d’altri tempi con i piedi ben piantati nel presente, uno che ha lavorato per chiunque, dai quotidiani a Panorama, L’Espresso, Epoca, New York Times, Time Magazine, Le Monde e mille altri, uno che prima di vedere il mondo negli anni ’80 ha battuto e fotografato ogni angolo di Milano per i quotidiani nei ’70, le tasche piene di gettoni del telefono perché “non c’erano mica i telefonini. Avevamo la mappa di tutte le cabine del telefono di Milano per sentire la redazione“.
“In mostra ci sono 13 rullini inediti, c’è tutto – comincia a raccontare Dino al telefono – anche le foto che di solito non si vedono perché il fotografo non le sceglie… ma immagino che sia interessante, perché i milanesi andranno a rivedersi quarant’anni dopo”. E saranno di sicuro cambiati un bel po’.
Oggi hai 66 anni, all’epoca delle foto in mostra ne avevi 25, 26: ti rendevi conto di quello che stava accadendo in quei giorni al Parco Lambro?
No, sicuramente no. Nel senso che poi – è questa è una cosa di cui mi sono accorto andando avanti nella professione – le cose le capisci meglio quando non sei dentro, è un po’ come con le corse di Formula 1, il modo migliore di vederle è stare a casa a vedere la televisione. Al tempo il Festival era una cosa grossa per Milano, ma non immaginavo certo che diventasse così grande a quarant’anni di distanza.
Qual è il primo ricordo che ti viene in mente oggi di quei giorni?
La gente, tutta la gente che c’era.
In un’intervista a La Stampa dicevi “Io continuo a lavorare perché ho 40 anni di carriera alle spalle, ma i giovani non capisco come possano fare”
Sì, io sono assolutamente convinto di essere stato fortunato, e di avere vissuto per un pelo l’ultimo periodo d’oro del fotogiornalismo: che comunque oggi, secondo me, sta andando a scomparire, almeno per come l’ho fatto io. Sono scomparsi gli spazzacamini, i linotipisti dei giornali… e con questa diffusione ormai capillare di macchine, di telefonini, di telecamerine, che ognuno ce l’ha, ogni avvenimento nel mondo viene ripreso in tempo reale e ritrasmesso in tempo reale. Lo scopo primo del fotogiornalista è quello di andare, vedere le cose, e sta sempre più scomparendo.
Quarant’anni di carriera: come si lavorava ieri per i quotidiani?
Si scattava, si tornava al giornale, si sviluppava in una maniera atroce, soprattutto nel periodo in cui lavoravo per i quotidiani, alla “come la viene la viene”, si stampava, ed erano delle stampe bruttissime, anche lì “come la viene la viene”, e poi si correva a portarle su in redazione, quando erano ancora bagnate. Una volta passate le foto in redazione c’era il venditore che andava a venderle in macchina agli altri giornali e faceva il giro con la sua cartellina con le foto. C’era sempre qualcuno che usciva di corsa a inseguirlo, qualcuno che gli buttava dentro le ultime foto dal finestrino in macchina. Ti lascio immaginare la qualità…
Dalla stampe “come la viene la viene” anni ’70 a oggi, 2016, c’è di mezzo il digitale: oggi come fotografi?
Ho dovuto passare al digitale…
Da come lo dici non mi sembra che ti piaccia molto
No… è che è proprio una maniera diversa di lavorare, d’altronde se uno lo fa per professione deve anche adeguarsi alle esigenze dei giornali, non si possono più tenere i tempi di una volta, i tempi dello sviluppo, i tempi della stampa. I giornali adesso le foto le vogliono subito. Per ieri.
I giorni del Parco Lambro
Continuous days, Milano 29/5/1975 – 26/6/1976
Dal 24 giugno all’8 settembre 2016
Mercoledì, venerdì, sabato e domenica 11.00 – 18.00
Giovedì 12.00 – 21.00; Lunedì, martedì chiuso
Ingresso gratuito
Forma Meravigli
Via Meravigli 5, 20123 Milano