I Waxman Brothers sono quattro. Non sono fratelli ma in fondo quasi, sono quattro amici, si conoscono da un vita o da un po’ meno. Il più anziano ha appena compiuto trent’anni, il più giovane? Ne ha fatti ventotto da poco. In ordine sparso sono Valerio Ruberto – il parigino del gruppo, che non appare nelle foto del servizio se non in una schermata di Skype – Nicola Manfredi, Francesco Strobbe, Nicolò Talignani, tutti nati e cresciuti tra Parma, Reggio Emilia e Modena.
Qualcuno lì è rimasto, qualcuno, Valerio, è andato oltralpe. Insieme hanno portato la tradizione dei coloratissimi tessuti africani wax nel bel mezzo della pianura padana, in terre di cibo e motori dove il continente nero sembra lontanissimo. Ma il tessuto wax di strada ne ha già fatta molta e qualche chilometro in più non lo spaventa, anzi, è felice di continuare a girare il mondo. Del resto le stoffe che – crediamo – africane hanno da secoli una storia da globetrotter.
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Nate in Indonesia con la lavorazione del batik realizzato con cera – e da lì il nome wax – importate dai coloni olandesi in Europa, conquistarono il Vecchio Continente già secoli fa. Dall’Europa poi i tessuti wax passarono all’Africa, la terra da cui provenivano molti dei coloni olandesi, e da lì ripartirono di nuovo. Ed ecco fatto un giro di tre continenti in qualche decina d’anni e poche righe. Ancora oggi i maggiori produttori globali di tessuti wax sono olandesi e in parte africani, mentre quelle stoffe bellissime, colorate e vivaci sono ovunque: e hanno conquistato anche i quattro Waxman Brothers.
Tra i primi a scegliere una loro camicia c’è stato Jovanotti. Nicolò ricorda che “Fare una camicia, in quel periodo per noi era ancora terribilmente complicato. I bottoni, la scelta dell’etichetta interna, la rigidità del collo, che deve essere rigido quanto i polsini, la lunghezza dei polsini, la lunghezza delle maniche… era tutto molto complicato. E una di delle prime camicie la dovevamo mandare a Jovanotti, aveva le maniche assurdamente lunghe… prima di mandarla ero disperato. L’ho portata dalla mia sarta personale qui a Parma per farla accorciare di 6 cm”. Lieto fine: il giorno dopo a Jovanotti la camicia andava giusta.
Tutti giovanissimi: under 30, o trentenni da poco. Come vi siete conosciuti?
[Nicolò] Io e Valerio abbiamo fatto la laurea triennale insieme, comunicazione e marketing a Reggio Emilia. Poi con lui ci siamo ritrovati a Parigi, io ero andato là per uno stage, mentre lui viveva già a Parigi: ci siamo rivisti lì. Francesco lo conosco da dieci anni, abbiamo iniziato giocando insieme a calcio… insomma, ci conosciamo da una vita. Con Nicola saranno un paio d’anni, ci siamo conosciuti perché le nostre fidanzate sono amiche e da cosa nasce cosa e da lì è partita.
Qual è la storia di Waxman Brothers?
[Nicolò] Come ti dicevo nel 2013 io e Valerio vivevamo a Parigi. Valerio ha avuto l’idea iniziale di questa concezione del tessuto wax inserito in uno stile urban underground e da lì è partito un po’ tutto. Waxman Brothers è nata a Parigi. Da lì poi il primo step che ci ha fatto fare la prima svolta, è stato l’entrata in società di Alessandro Cornali, un mio amico di una vita: anche lui di Parma, un ragazzo giovane anche lui che ha creduto nel progetto e soprattutto ha creduto nel nostro brand. Ci ha dato lo sprint per partire e strutturarci. Sempre in quel periodo sono entrati Nicola Manfredi per la linea KuiShi e Francesco Strobbe, che ci ha aiutato su miliardi di aspetti, dal lato musicale al lato di organizzazione di eventi. Il percorso dal 2013 a oggi poi ha portato all’entrata di un altro investitore, che è Mauro Del Rio: è stata una bella spinta e una bella soddisfazione fare un progetto in cui lui potesse essere interessato. Portare in team persone di una certa esperienza e un certo calibro non può che farci bene.
Gli uffici di Waxman sono a Parma in un edificio un tempo di un mobiliere, oggi divenuto centro creativo vivace e operoso. Le collezioni esposte, appese alle pareti, qualche pianta in giro, i colori dell’Africa e dei tessuti wax ovunque. Un ping pong al centro della stanza che funziona da antistress, molti Mac in giro, atmosfera da startup californiana. Una lavagna racconta i prossimi passi di Waxman Brothers, qualche telefono squilla.
Quando avete realizzato la vostra prima camicia?
[Valerio] La prima camicia è stato difficilissimo farla! La prima primissima la realizzò un sarto africano nel quartiere parigino dove vivo, il 18° Arrondissement, qui a Parigi. Era completamente sbagliata, nelle proporzioni, nella taglia, in tutto: ma era un inizio. L’altro problema fu trovare i tessuti, eravamo tutti convinti che fossero tessuti di provenienza africana, ma entrando nel settore abbiamo scoperto che il wax ha origine indonesiana, i produttori principali sono olandesi e il mercato principale è l’Africa. Mi feci portare due pezzi di tessuto da un amico senegalese, che ha la famiglia a Dakar. Poi trovammo un produttore italiano, perché volevamo mettere al centro anche l’idea di made in Italy, come fattori fondanti del brand. E trovammo un produttore a Latina, sotto Roma, però anche in questo caso la prima serie di 20 camicie fu sbagliata completamente…
Come si fa a sbagliare una camicia?
[Valerio] La camicia è probabilmente il capo più complicato da realizzare. Siamo tutti abituati a portare l’abbigliamento, ma quando lo produci ti rendi conto di una serie di dettagli che non immaginavi, e che non ti aspettavi: dalla larghezza del collo, alla lunghezza delle maniche, alla larghezza delle maniche ci sono un’infinità di piccoli dettagli che se non curi con attenzione, quando metti la camicia addosso portano a un disastro…
Le cose poi si sono aggiustate?
[Valerio] Sì, è andato tutto a posto. Il Made in Italy ha un costo molto alto, e sul mercato concorrenziale di oggi è difficile giustificarlo anche per un brand giovane, ma abbiamo trovato un compromesso che è l’ideale, che è un produttore vicino Brescia, col quale abbiamo un’intesa ottima e abbiamo sviluppato il prodotto nel dettaglio.
[Nicolò] Una delle difficoltà dei piccoli, come noi, è farsi tenere in considerazione dai grandi. Per una piccola realtà le quantità iniziali sono piuttosto ridotte, e non sempre è facile trovare produttori che vogliano scommettere su quello che fai. E questo oltre a fare un lavoro di qualità… anche avere la voglia e la capacità di seguire progetti interessanti
[Valerio] Questa è la storia a oggi: ormai sono circa due anni che siamo nel progetto, e quindi abbiamo una rete ampia di collaboratori, produttori, modellisti, siamo riusciti ad allargarci.
Quante persone in totale lavorano al progetto Waxman?
[Nicolò] Le figure principali siamo noi quattro, poi abbiamo Alessandro Cornali che comunque fa parte dei consiglieri, così come Mauro Del Rio: e poi abbiamo altre figure che ci seguono, un paio di produttori, un commerciale, abbiamo una ragazza che segue la parte di programmazione del sito internet, abbiamo fotografi, che anche in una fase iniziale quando era più difficile trovare le risorse per shooting di qualità ci hanno superseguito… una bella squadra.
La prima camicia che avete venduto ve la ricordate?
[Nicolò] Il negozio di un nostro amico di Parma, uno dei negozi più innovativi che ha voluto scommettere su di noi, continua a comprarle, e nonostante ci troviamo in una piccola provincia continua a venderle, Store333. Forse a livello di negozi però il primissimo è stato un negozio di Reggio Emilia, che si chiamava Unity.
I clienti vi fanno qualche richiesta particolare?
[Valerio] Sicuramente la nostra clientela femminile, cerca sempre di fare una camicia su misura, o fare un oggetto, un accessorio… noi siamo partiti come brand uomo, e cerchiamo di rimanere lì, perché ci capiamo di più che sulla donna. Però è una domanda frequente, che fa parte del nostro lavoro. Vedremo in futuro.
Siete partiti con le camicie, poi siete passati agli accessori, ai cuscini, agli oggetti da casa…
[Nicolò] Il percorso è stato di partire con la camicia, che comunque rimane il prodotto simbolico, di punta, lo step successivo è stato fare borse e una travel bag, che era una borsa che si trasformava in zaino, appena dopo siamo usciti con questa collezione di camicie, ampliando il numero delle fantasie, e poi t-shirt, felpe, boxer intimo uomo, costumi da bagno, due tipologie diverse di zaini, e una borsa da palestra. E poi c’è stato Kuishi, con Nicola.
KuiShi è la linea d’arredo di Waxman Brothers, con i tessuti wax
[Nicola] Proprio così. Il mio lavoro principale è l’arredatore d’interni, quindi il passaggio per creare una linea d’arredo è stato naturale. Dopo una chiacchierata con Nicolò abbiamo iniziato a seguire questa idea, e abbiamo studiato vari prodotti. Il primo è stato il cuscino, il più semplice, poi siamo passati al rivestimento di poltrone vintage. Adesso però vogliamo fare una nostra collezione, disegnata interamente da noi. Ci sarà una nuova poltrona, una serie di lampade, i cuscini sono rimasti, poi facciamo accessori per la cucina, quindi tovaglie e tutto quello che riguarda il tessile. Un’altra cosa interessante è che arrediamo gli spazi dove facciamo gli eventi, quindi il nostro spazio al MI AMI sarà arredato da KuiShi, poi faremo un altro locale a Parma… sono spazi unici, molto colorati. L’influenza africana si sente molto, dà un tocco di allegria, di effervescenza. [Nicolò] Gli arredi KuiShi trasmettono molto bene l’anima del nostro brand con un ambiente in cui sono presenti sia elementi africani, che sono le fantasie, sia oggetti che con il mondo africano poco c’entrano. Entri in un mood fatto di bellezza e contrasti.
[Valerio] KuiShi oltre a essere colorato e vivace rimane stiloso, non è eccessivo, non è etnico.
[Nicola] L’idea era di unire il design nordico al design africano: unire il rigore minimalista a queste vampate di colori.
Quand’è che vi siete innamorati di questi tessuti?
[Valerio] Per rispondere a questa domanda bisogna spiegare il concetto del brand Waxman Brothers. L’ispirazione nasce da due elementi: uno è chiaramente il quartiere di Parigi in cui io vivo ancora, ma dove giravamo in quel periodo, il 18° Arrondissement che si divide in due parti, una parte molto borghese e una molto popolare. La parte popolare è il centro dell’Africa a Parigi, il quartiere più africano di tutti, ci sono mercati di frutta, negozi di ogni genere, e anche negozi di tessuti. Dall’altro lato c’è tutto un filone musicale che ha contribuito a ispirare la creazione della marca. L’ultimo step di questo percorso musicale è la world music, un genere musicale che usa suoni provenienti dai continenti del mondo per mescolarli a beat più occidentali. Oggi la chiamiamo così, ma cent’anni fa magari la world music si chiamava jazz, poi si è chiamata blues, poi r’n’b, e altri step… l’hip hop la soul music… questo tipo di musica è nato sempre dalla contaminazione tra occidente e Africa. Ogni volta che c’è stato un contatto è nato un genere. E da qui è nato il nostro concetto di world apparel, un capo d’abbigliamento che porti dentro se stesso questi contrasti tra l’occidente e il sud del mondo unendo la manifattura italiana con il tessuto africano, partendo magari proprio dal 18° Arrondissement parigino, dove c’è una parte più borghese e una più popolare.
E come è nato il legame tra Waxman e la musica?
[Valerio] Nella musica la dinamica della world music si è già verificata e ha prodotto una nuova identità, e nell’abbigliamento ancora no. Io sono molto appassionato di musica, e la musica è fondamentale nel nostro brand, ma ho pensato e voluto andare oltre sviluppando questo elemento come un elemento forte, per comunicare il valore della brand. La wax connection: un collettivo di artisti che nella loro azione creativa rappresentano i valori di Waxman Brothers. Quello che ci piaceva era essere rappresentati da loro e allo stesso tempo rappresentarli, dandogli le nostre camicie, il nostro abbigliamento, in modo che potessero performare vestendo i nostri prodotti, e in questo modo creare uno scambio di valori tra la loro arte e il nostro brand.
Facciamo un po’ di nomi
[Francesco] Il primo in assoluto fu Jovanotti, che chiaramente è un’icona in Italia per quanto riguarda l’innovazione, l’attitudine creativa e la libertà d’espressione. Lui stesso ha una passione profonda per l’Africa, quindi sicuramente lui. Poi ci sono altri artisti magari più di nicchia ma molto rappresentativi, come Raffaele Costantino, ovvero Dj Khalab, un produttore italiano ha anche una trasmissione su RadioDue e organizza diversi festival in Italia, insomma un personaggio di riferimento nell’ambito della musica alternativa. Poi altri produttori come Clap! Clap!, Populous, ovvero Andrea Mangia, un altro produttore italiano che usa molte sonorità africane, e ancora Gilles Peterson…
Perché è importante questa contaminazione?
[Francesco] Soprattutto su questi artisti, Dj Khalab, Clap Clap e Populous per noi è fondamentale perché è una trasposizione fedele del brand nella musica, mettono insieme made in Italy e afrobeat. Sono artisti italiani e fanno musica di tendenza. Noi siamo un brand italiano, con ispirazione africana. Poi dopo fortunatamente ci sono anche varianti internazionali. Poi ci sono stati artisti che comunque hanno in sé una contaminazione evidente, vedi Joan Thiele: che oltre a essere secondo me una grandissima promessa del mercato italiana è comunque una persona con una storia particolare, una contaminazione forte musicalmente. Per noi sicuramente un punto di riferimento e un grande supporto. Poi ci sono state altre situazioni magari meno visibili, come Malika Ayane, che magari usciva dai ranghi del genere ma come artista era perfetta, origini africane, mercato italiano. C’è un’idea comune di quello che la wax connection dovrà diventare, da collettivo che è ora, la speranza nel futuro è quella di creare una realtà più strutturata anche nel panorama della musica. È un progetto ambizioso – ma che abbiamo a cuore – è riuscire un giorno a produrre il nostro primo artista. Fare una produzione Waxman Brothers, trovando un talento, qualcuno in cui crediamo. Ci piacerebbe molto.
Waxman Brothers sarà presente anche al MI AMI, il festival musicale organizzato da Rockit.it e giunto nel 2014 alla dodicesima edizione quest’anno
[Francesco] Nel MI AMI Festival noi parteciperemo come partner, nel senso che siamo sì uno sponsor, ma non la vediamo solo in questi termini. Ci vediamo come parte integrante del festival e abbiamo sposato subito il progetto anche perché oltre a ricalcare su alcune tematiche quello che è il nostro brand – ovvero spingere forte sulla musica italiana – ha un’essenza molto affine a quella che è la nostra, tanto che il palco che avremo da sponsorizzare è il più eterogeneo, e cioè il MI Fai che prevede non solo musica, ma illustratori, designer, grafici. Ci siamo inseriti in una situazione in cui ci rispecchiamo.
Ci siete stati al MI AMI?
[Francesco] Io ci sono stato e ci sono stati anche dei nostri artisti, come Populous e Joan Thiele, e vestivano Waxman, e secondo me il nome racchiude tutto: musica importante a Milano, musica importante per il panorama italiano cui noi ci associamo più che volentieri. È la wax connection.
Dove saranno domani i Waxman Brothers?
[Nicolò] Io parto guardando in là: a lungo termine ci piacerebbe a livello operativo avere un nostro negozio in una grande città, dove far vivere i nostri prodotti e la nostra filosofia di brand. Guardando un po’ più vicino vogliamo strutturarci di più, sia dal punto di vista dell’offerta dei prodotti che dal punto di vista dell’immagine, che dal punto di vista delle vendite, facendo passare il più possibile i clienti dal nostro sito. E chiaramente anche spingendo dal punto di vista di riconoscibilità musicale, arrivare al punto tale per cui siano i musicisti a chiedere di entrare a far parte della wax connection, in poche parole, sarebbe un sogno
[Valerio] E sicuramente ci piacerebbe arricchire la nostra gamma di prodotti, tenere un ritmo di rotazione alto, magari con una collezione nuova ogni tre mesi, visto che i tessuti sono rinnovati ogni trimestre.
Escono ogni tre mesi i tessuti?
[Nicolò] È difficilissimo trovare produttori di questo tessuto, il wax, fatto con la tecnica del batik. I produttori sono tutti in un paesino olandese, in alternativa ci sono le aziende cinesi che copiano il design degli olandesi… e lo copiano male. Poi c’è una piccola produzione in Africa, per esempio in Costa d’Avorio. Noi compriamo dagli olandesi e i ritmi che hanno di produzione sono di tre mesi in tre mesi: loro in tre mesi cambiano la fantasia e le fantasie, proprio per evitare che i cinesi copino, e il cambio veloce li tutela. È interessante, c’è una sorta di monopolio di queste aziende e non tutte concedono i diritti sulle fantasie. Vanno bene per un utilizzo proprio, ma non puoi creare qualcosa e rivenderlo. E anche lì una delle difficoltà iniziali è stata trovare la credibilità giusta davanti a questi produttori. Come diceva Valerio, l’idea è ogni tre mesi rinnovare sempre il prodotto, far trovare sempre prodotti nuovi e sempre freschi
[Valerio] Avere una gamma di rotazione alta è sicuramente un obiettivo perché con Waxman Brothers vogliamo sviluppare un nuovo modo di commercializzare la camicia, avere un rapporto sempre più diretto con l’utente e il cliente finale, sfruttare al massimo il nostro sito, il web e tutte le forme di comunicazione digitale per interagire e offrire contenuti di qualsiasi tipo, facilitare l’acquisto dei nostri prodotti
Hai e avete parlato di tecnologia, sito: quanto passa dal vostro ecommerce e quanto dai negozi?
[Nicolò] In questa fase passiamo ancora più dai negozi tradizionali, rispetto al sito. Del resto le camicie sono un prodotto difficile da vendere online, per una questione di misure, è un prodotto che chi acquista vuole provare dal vivo
[Valerio] in questa fase abbiamo voluto farci un’idea sul campo, e capire dove sta andando il mercato per capire dove posizionarci: non è una scelta intelligente investire in entrambi i canali, sia il retail classico che l’ecommerce, bisogna fare una scelta, e quella che faremo sarà di potenziare al massimo l’online. Ci sono vantaggi evidenti per tutti, per il cliente finale e per noi. Il web ci dà questa libertà e si sposa bene con noi
[Nicolò] La distribuzione classica è ancora incentrata sul programmato, quindi presentare un prodotto la stagione prima per quella successiva: non è l’impronta strategica che vogliamo dare. L’idea è dare prodotti sempre nuovi, e il nostro ecommerce, che è la nostra casa, ci permette di gestirlo come vogliamo, al meglio.
[Valerio] E poi non esiste ancora il just in time di qualità: noi vogliamo tenere insieme tempi e qualità.
La camicia più lontana che avete venduto dove è finita?
Nelle Isole Filippine, e lì più di una camicia. Lì ne è finito uno stock. Abbiamo questa ragazza che ci ha contattato, si è innamorata dei nostri prodotti e ce ne ha comprato un botto, uno stock, una trentina di camicie, e una decina di borse. Ci siamo trovati a Parma: lei piccolina, piena di roba, fu molto divertente.
Dove trovo le camicie Waxman Brothers nel mondo?
[Nicolò] Siamo entrati a Miami, in un negozio non a South Beach, dalle parti di Wynwood, nel design district, una zona nuova molto cool: ero lì per altre cose, girando ho trovato un negozio che era in target. Si sono innamorati delle nostre camicie e in 15 giorni le avevano in negozio. Molto americano, fossero tutti così!
Altre bandiere Waxman sulla mappa?
[Nicolò] A New York ci arriveremo tra poco e saremo a Williamsburg, siamo già in un negozio a Madrid, uno a Casablanca, in Marocco, siamo in un paio di negozi a Parigi, uno nel Marais, e il secondo che è uno dei concept store che è Merci. Senza fare grandissimi sforzi commerciali siamo entrati in città interessanti: l’idea ora è di aumentare i negozi, uno per città selezionate, che facciano da vetrina. Ci piace l’idea che il cliente possa avere un punto di riferimento dal vivo.
Che evento vi piacerebbe fare in un negozio?
[Valerio] È ambizioso, ma mi piacerebbe un giorno lavorare con organizzazioni come Boiler Room o 22 Tracks, che sono internazionali e mi piacciono molto, hanno come approccio portare al grande pubblico delle nicchie musicali, e la missione di Waxman a mio avviso è anche questa.
[Questo contenuto è realizzato in collaborazione con Waxman Brothers]