Ho conosciuto, musicalmente parlando, Prince intorno ai 14/15 anni o giù di lì, grazie a un cugino che formò in maniera totale la mia adolescenza musicale: Van Halen per primi per evitare che continuassi a mettere a loop The final countdown degli Europe, poi Pink Floyd, Led Zeppelin e infine Prince.
Il disco formativo di questo genio poliedrico fu un cd a dire la verità, era quello di Purple Rain, 9 canzoni e un fulmine a ciel sereno. Sarà stata la pubertà, sarà stata la prima scoperta del sesso: fino a prima ma anche durante e un pochino anche dopo ancora un tabù generazionale, ma quel piccolo folletto, di viola vestito, mi fece da maestro, conduttore e confessore, prendendomi per mano e staccandomi senza troppi rimpianti ( in parte arrivati dopo) da Subbuteo e Commodore64.
La mia formazione con Prince è iniziata da un campo puramente sessuale, andando a smascherare ogni pudore ogni riverenza (non c’era internet e si era legati al massimo ai fumetti della casa editrice Squalo) che un ragazzetto con piccoli problemi di acne troppo affezionato alla parte intima del catalogo PostalMarket poteva avere.
Prince era il sesso, il sesso rappresentato come vizio, lussuria, estremo godimento reciproco. Lui lo sapeva e non ebbe alcun problema a farsene carico: Head (inteso come pompino) Jack u off, Darling Nikki basterebbe questa triade a spiegare come trattava, il genio consentitemi per la prima volta di usare questa parola ,il lato carnale della cosa.
Non fosse abbastanza i gemiti che sentite in Scandalous nella colonna sonora di Batman sono di Kim Basinger e sono veri, registrati pare durante un amplesso, prima che la biondissima rimase più o meno pregnant e ormai succube del folletto e poco pochissimo prima di essere scaricata da sua maestà in mezzo ad una strada (letteralmente) in una storia di BMW gialle, urla e strepiti fuori da Pasley Park, da cui la tirò fuori il fratello di lei.
L’approccio musicale invece, quello per me è arrivato qualche mese dopo, in realtà, prima ascoltavo per voyeurismo, curiosità, moda – e anche per fare contento mio cugino va ammesso. Ho cominciato dalle batterie, quelle elettroniche di Baby i’m a star per intenderci e da lì tutte prima e dopo il pezzo presente in Purple Rain.
La folgorazione ritmica arriva con I Would die for U e i suoi synth sparati e imitati, presi a menzione da molti tantissimi quasi tutti. Nel tempo, quella è stata la canzone che più mi ha accompagnato e che più ho amato di Prince, non la più figa, non la più tecnica forse una delle poche che si può azzardare a definire normali. Azzardare appunto: disco dopo disco, almeno fino a Graffiti Bridge e prima di sfanculare il nome Prince per un acronimo e un simbolo, il folletto dai completi color pesca ha scelto la definizione di azzardare come Reason for life, roba da far meravigliare uno come Miles Davis che lo adorava e con cui suonò in un live al Pasley Park (recuperabile, perché in rete c’è più di quanto si creda), questo perché il principe non si limitò a suonare il funky e per suonare intendo ogni strumento presente in un disco, ma lo prese per mano e in ogni singolo disco andò ad aggiungere qualcosa di nuovo che fosse: disco music, elettronica, synth pop, addiritura il rap degli albori (nel Black album ‘87 o in Love sexy nell’88) o stacchi poi risentiti nella jungle (quasi dieci anni prima).
Riuscì ad omaggiare i Beatles con Around The World in a Day, addirittura fece un disco di musica elettronica valevole e avanguardistico ancora oggi nella colonna sonora di Batman. Tutto questo giusto per sollecitare la mente a dischi magari meno conosciuti, senza nominare gli incredibili inizi di For you e senza andare a toccare i tre mostri sacri della carriera del folletto: Purple Rain, Sign O’ The Times e 1999 capolavori inarrivabili per talento estro genialità.
Estroso, controverso, joker di un mazzo di carte che negli 80’s sapeva di forte decadenza, generoso con altri artisti, Prince riusciva sempre nel gioco perfetto di anticipare stili creare emozioni: che fosse il riff sbarazzino di Kiss, o U Got The Look, o la celebrazione di un party di fine millennio, suonò il rock’n’roll all’alba travolgendolo (Play in The Sunshine, Sign O’ The Times) fece piangere le colombe e nevicare in aprile, rispettato e venerato dagli stessi colleghi ( celebre la dichiarazione di Clapton che rimandava a Prince domande tipo: come ci si sente ad essere il miglior chitarrista del mondo), genio reale fece piangere generazioni intere con le sue ballad al pianoforte da The Beautiful Ones a When 2 Are In Love a Scandalous passando per Anastasia o Condition of the heart, molte inserite come terza traccia nei suoi album, impossibile citarle tutte disperse in una discografia impressionante fatta di continue provocazioni nelle liriche negli atteggiamenti nelle parole fuori dalla musica.
Schivo nei confronti dei media che prima sfruttava e poi detestava, incompreso dall’industria musicale dalla quale pretendeva assoluta carta bianca per progetti ai limiti della follia (Crystal ball fu l’esatta conseguenza di alcuni no rinchiusi insieme). Dotato di una spiritualità intensa, celebrata spesso per metafore, non mancò estro nemmeno lì: diventato testimone di Geova aveva la forte abitudine di presentarsi a casa di sconosciuti in compagnia del socio Larry Graham (uno degli Sly and the family), chiedendo di pregare tutti insieme il signore, ad orari francamente spropositati e lascio a voi l’immaginazione di Prince che bussa alla porta in completo color crema con la copia americana di “Torre di Guardia”.
Sempre negli 80’s fu, come logica obbligava, messo in assurde competizioni con l’altro re del pop Michael Jackson, è noto come Prince rifiutò qualsiasi duetto in Bad, altrettanto noti sono gli episodi legati a varie partite di ping pong finite in sfottò, ma viene da pensare che tra i due ci fosse più che una sana amicizia una di quelle amicizie adolescenziali fatta di gare, finte liti e rispetto. Impossibile, in questo momento tragico andare a toccare anche le scelte sbagliate, degne di tanta genialità: dall’uso del web al già citato cambio nome, ai dischi brutti.
Marachelle, mi viene da chiamarle così. Marachelle, prese per il culo di un folletto dispettoso. Si potrebbe andare avanti per giorni, per ore, tra fan affranti, in una gara a chi ne sa di più, si potrebbe disquisire di tecniche, controtempi, analizzare per filo e per segno le differenze tra i The Revolution e la New Power Generation, si potrebbero celebrare tutti gli artisti che sfiorati da Prince hanno conosciuto successi estemporanei e duraturi, in un misto di emozione, commozione, dolore per la perdita di questo assoluto genio, ma Prince, il Prince che ho adorato, amato e preso a riferimento avrebbe solo voluto essere celebrato con un party intimo o affollato fatto di musica eccessi e bei vestiti.
Artista moderno e padre dell’arte stessa, ispiratore di stili a venire, di tutti gli artisti venuti dopo e quando dico tutti e intendo tutti per generalizzazione, c’è un po’ di Prince in ogni album canzone o frase che associata a ritmo e spasso si è affacciata nel mondo della musica. Quello che Prince lascia a questo mondo è qualcosa di molto di più di musiche a cui ispirarsi è un modo unico è inarrivabile di intendere; ritmo, vita, suono, note, sesso, amore e follia, è una linea di demarcazione tra il pre 21 aprile 2016 e il post 2016 quella che viene tracciata oggi, tra quello che è stato e quello che sarà dopo.
Sua maestà è morto, evviva evviva evviva sua maestà.