“La definizione non è cambiata dagli inizi: Studio Azzurro è un luogo dove ci si può confrontare su progetti, un posto in cui le persone hanno l’opportunità di sviluppare idee. È questo che ci ha tenuti insieme dall’inizio. Speriamo di mantenere la nostra coerenza con le cose che abbiamo fatto anche in futuro e che questa riesca a incidere in qualche modo, a fare la differenza”
Incontrare Fabio Cirifino nella sede di Studio Azzurro presso la Fabbrica del Vapore di Milano, una settimana prima che la mostra Studio Azzurro – Immagini Sensibili (in cartellone dal 9 aprile al 4 settembre a Palazzo Reale, Milano) apra le porte, è stata un’esperienza. Avete presente quando vi siete costruiti un’idea di qualcosa o qualcuno nel tempo e vi si svela esattamente così? Ecco. Punto di riferimento della Milano creativa, conosciuto – ahimè – più in ambito internazionale che nazionale, Studio Azzurro si svela come una bottega d’artigiani che costruiscono opere con l’utilizzo del digitale. Farsi conoscere e comunicarsi in modo così diretto attraverso il proprio lavoro, rimanere fedeli a una visione e un approccio per 35 anni, non è cosa da poco e, in occasione di questo tributo che finalmente la città di Milano ha deciso di dedicar loro, abbiamo ripercorso con uno dei suoi fondatori, alcune delle sue caratteristiche fondamentali.
Studio Azzurro è una storia d’amicizia a Milano: quella tra Fabio Cirifino, Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi, che ha inizio nei primi anni Settanta. È una loro foto insieme, di quegli anni, che campeggia nello studio in cui ci troviamo a chiacchierare, come dire che nulla è cambiato, che sono sempre loro, anche se Paolo è scomparso da qualche anno e la sua assenza è incolmabile. Paolo e Leonardo, formatisi in Accademia a Brera, nei primi anni Settanta fondano lo studio G28 – via Garibaldi 28 – che Fabio, di formazione fotografica, frequenta assiduamente. Sono anni di fermento: nel 1975 occupano la Chiesa di San Carpoforo e danno vita a uno dei primi centri sociali della città. Nel 1978 decidono di frequentare un corso di cinema che si tiene alla Cineteca Italiana in via San Marco, nella zona di Brera. È la svolta. È qui che si avvicinano al video e decidono di riversare la loro esigenza d’esprimersi in un lavoro collettivo. “Era il momento di fare qualcosa, di non fermarsi. Da lì è nata l’idea di raccontare quello che accadeva a Milano attraverso una produzione video. In quel momento in città non si facevano altro che feste, nelle varie case, tutti i giorni: abbiamo voluto indagare le esigenze di questi giovani provenienti da esperienze diverse, soprattutto dalla nostra che eravamo ancora legati a ideali più che a divertimenti”. È il 1980 e il film si chiama Facce di Festa: è l’inizio di tutto, anche se la fondazione ufficiale viene datata due anni dopo.
Studio Azzurro è pioniere della multimedialità creativa. Lo è da Il nuotatore (1984) – che non a caso apre la mostra di Palazzo Reale – realizzato immergendo 12 camere in una piscina per riprendere il movimento poi proiettato su una serie di monitor allineati orizzontalmente, dove il cinema vive nel fotogramma e la sperimentazione nell’installazione. Videoarte, qualcuno la chiamerebbe per farsi intendere, mentre per i suoi membri, il cui obiettivo è stato sempre quello di tenersi ai margini del mondo artistico contemporaneo, è un rito di ripensamento delle modalità creative. Per definire e rafforzare questa idea, Studio Azzurro non ha mai venduto la sua arte alle gallerie: l’esistenza sta nella co-presenza in un certo luogo e in un certo tempo dell’installazione con il pubblico, la loro interazione. Questi luoghi vengono definiti Ambienti Sensibili: opere che indagano il rapporto tra corpo e spazio sia internamente, dove è il linguaggio teatrale ad avere la meglio, sia esternamente, nella fruizione dello spettatore. In Coro (1995) una serie di corpi sdraiati a video va a formare la trama di uno strano tappeto: calpestandoli coi piedi, i corpi si muovono e producono rumori. “È attraverso lavori come Coro che abbiamo cercato di evidenziare l’importanza dell’interazione nel nostro lavoro. Se tu sei solo sul tappeto, cammini e muovi questi corpi che emettono un certo suono. Se ci sono 4 o 5 persone insieme a te, nasce un coro di voci che è una composizione musicale. Anche questo pensiero di socializzazione nella fruizione del lavoro è ciò che sta alla base di ogni nostro progetto”.
Studio Azzurro è onestà intellettuale. “Come campavano?” vi starete già domandando. Facendo anche lavori commerciali. FIAT, Armani, Romeo Gigli, Arclinea, sono stati solo alcuni dei loro clienti: brand con cui, per ovvi motivi, era poi spesso difficile lavorare. D’altronde è noto: quando c’è di mezzo un’identità commerciale, quella creativa viene arginata. Sono questi lavori, però, che nel tempo hanno permesso allo Studio sia di vivere sia di sperimentare con mezzi che spesso non si sarebbero potuti permettere e quindi di crescere, rimanendo poi fedeli a se stessi quando lavoravano su contenuti non brandizzati.
Studio Azzurro è tecnologicamente analogico. Come abbiamo detto, la peculiarità di Studio Azzurro è la creazione d’interazione attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie come il video. L’importante però non è il mezzo quanto l’opera finale. Spieghiamoci meglio: nelle installazioni di Studio Azzurro, l’apparato tecnologico c’è ed è ciò che permette di animare il lavoro, ma non si vede mai. Il risultato è che gli schermi sono come i pezzi di un mosaico animato, mentre il dispositivo non è più solo un mezzo, ma una delle parti che condiziona le altre in gioco. La figura che più ha apportato a Studio Azzurro competenze in materia tecnologica è stato Stefano Roveda, che unitosi al direttivo nel 1995, è rimasto per una decina d’anni per poi prendere altre strade.
Parallelamente al video, fondamentale è il lavoro con la materia che integra l’opera. Legno, pietra e tessuto sono i prediletti: semplici e quindi riconoscibili. Vista e udito dunque, ma anche tatto: l’esperienza di Studio Azzurro è polisensoriale. In Tavoli (1995) lo spettatore interagisce sia con le immagini proiettate, sia con la superficie su cui sono sdraiate: il rapporto tra reale e virtuale prende vita su materiali familiari.
Studio Azzurro è ‘utile’. Certo, lo è stato in generale per la sperimentazione artistica, ma la strada che lo Studio sta percorrendo da Meditazioni Mediterraneo (2002) a oggi è sempre di più basata su “… storie, esperienze che ti arricchiscono e ti fan capire la complessità delle cose anche in modo molto semplice. Ti mettono di fronte condizioni e realtà, davanti a cui non ti puoi tirare indietro. Non che Il nuotatore non sia stato un lavoro utile, ma lo è stato in modo diverso” dice Cirifino. L’elemento sociale è dunque ciò che lo Studio sta integrando nei suoi lavori da circa dieci anni: l’ultimo di questo tipo è Portatori di storie (Museo Laboratorio della Mente, Roma), un racconto collettivo sulle alterità mentali.