C’è una fiaba che da trent’anni cattura l’immaginazione di adulti e bambini. E no, non si tratta del Piccolo Principe, ma di The Legend of Zelda, la saga videoludica di Nintendo che questo 21 febbraio ha spento ben trenta candeline. Nata nel lontano 1986, oggi Zelda ha ampiamente superato i 75 milioni di copie vendute in tutto il mondo, con 18 videogiochi principali, diversi spin-off e qualche exploit (non sempre riuscitissimo) tra fumetti, cartoni, serie tv e merchandising di ogni tipo: un vero fenomeno culturale a 360 gradi.
Tutto ebbe inizio grazie al genio di Shigeru Miyamoto, già papà di Mario e Donkey Kong, che a fine anni ’80 decise di trasporre in un videogioco le emozioni provate durante alcune escursioni nelle foreste attorno a Kyoto. The Legend of Zelda fu uno dei primi, se non il primo titolo, ad offrire ai giocatori un mondo di gioco immenso, nel quale perdersi e affrontare ogni ostacolo seguendo il proprio istinto.
Non c’erano punteggi da totalizzare o schemi rigidi, ma un forte, fortissimo senso di avventura e gioia della scoperta. Il primo Zelda era talmente lontano dalle mode del tempo che fu il primo gioco la cui cartuccia era dotata di batteria interna per salvare la partita: in un mondo di videogiochi da “una botta e via“, dominati da scomodi sistemi di password, Zelda era un’impresa epica che avrebbe accompagnato i giocatori per moltissime ore.
E nonostante le limitazioni tecniche dell’epoca, nel 1986 Zelda conteneva già tutti gli ingredienti magici che ancora oggi caratterizzano la saga: c’era l’eroe in tunica verde, il giovane Link, la principessa da salvare, Zelda, e l’antagonista da sconfiggere, il malvagio Ganondorf.
Nel mezzo, senza scomodare Propp e la sua morfologia della fiaba non mancavano la maturazione dell’eroe, le prove da superare e il ritorno finale all’equilibrio. In poche parole, una fiaba elettronica a tutti gli effetti, dove al centro c’è sempre il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.
Se Zelda avuto tutto questo successo è anche perché, in questi trentanni, è riuscito nell’impresa di essere sempre diverso, rimanendo al contempo sempre fedele a se stesso. Ogni episodio è ambientato nello stesso mondo, Hyrule, ma in un altra linea temporale, così come i protagonisti, che hanno nomi e sembianze sempre uguali ma non sono mai davvero le stesse persone.
E persino le armi e i boss da sconfiggere, a parte piccole differenze, seguono una serie ben precisa di punti fermi. In questo modo ogni gioco che Nintendo pubblica non è altro che un modo nuovo e diverso per raccontare la stessa semplice, e bellissima, storia.
Ma oltre all’esordio nel 1986, tutta la storia videoludica della saga di Zelda è legata a doppio filo con l’innovazione tecnologica e non solo: A Link To The Past, uscito nel 1991 sul Super Nintendo, è ancora oggi uno dei migliori titoli d’avventura in circolazione, mentre Ocarina of Time, pubblicato nel 1998 su Nintendo 64 e costantemente osannato come il miglior videogioco di tutti i tempi, diede vita a uno dei più bei mondi tridimensionali mai visti, portando per la prima volta la saga verso toni più maturi: sfrecciare sulle piane di Hyrule a bordo del cavallo Epona è una dei ricordi più belli che ogni giocatore si porta dietro.
Due anni dopo fu la volta di Majora’s Mask, che dopo i toni solari di Ocarina ebbe il coraggio di cambiare registro e sprofondare verso toni più dark che mai. L’intero gioco era una lotta contro il tempo per fermare l’apocalisse, rappresentata da una gigantesca e inquietante luna pronta a schiantarsi sul mondo di Termina. Le uniche armi a disposizione di Link erano la capacità di riavvolgere il tempo, (ma solo di tre giorni) e un arsenale di maschere magiche che consentivano all’eroe di trasformarsi e guadagnare nuovi poteri. Una roba quasi junghiana, come ha spiegato il francese Nicolas Courcier, co-autore del libro Zelda: Cronaca di una Saga Leggendaria: “In trent’anni, Link non ha mai proferito parola. È un eroe “muto” perché tocca a ognuno di noi interpretarlo, identificarci e dargli una voce. La saga di Zelda è ormai parte integrante dell’immaginario collettivo e della cultura pop, e a molti nati negli anni ’80 oggi basta anche un effetto sonoro per riconoscere al volo un titolo della serie”.
Per non parlare di The Wind Waker, arrivato sul 2003 nel GameCube: con tutto il mondo in attesa di una grafica adulta e realistica, Miyamoto sfoderò un mondo marino realizzato con un cel shading (uno stile grafico colorato e fumettoso) così bello da togliere il fiato, riuscendo a tenere incollata allo schermo un’altra generazione di eroi digitali.
Ma perché oggi, dopo trent’anni, Zelda occupa ancora un posto così importante nello scenario dei videogame? “Credo che il segreto del successo della saga stia nel saper riportare giocatori di tutte le età a sognare come bambini – spiega Marco Lancellotti, responsabile della community di fan Zelda Italy -. Tutti possiamo identificarci in Link, l’eroe che ha paura ma che affronta comunque gli ostacoli, anche con l’aiuto degli altri. La forza di Zelda sta nella sua profonda umanità, nel suo trasformare l’essenza della vita in formato videogioco”.
E se l’ultimo gioco, arrivato il 4 marzo su Wii U, è solamente un remake in HD di un titolo uscito giusto dieci anni fa su Wii, l’attesa più grande è per il prossimo capitolo, di cui Nintendo ha mostrato poco e parlato ancora meno. Al di là di grafica e giocabilità, la speranza è quella di poter tornare a indossare la tunica verde e cavalcare liberamente sulle pianure di Hyrule. Respirando quell’aria di avventura che da 30 anni riesce, ogni singola volta, a farci tornare bambini.