Poche cose uniscono popoli e culture totalmente diversi tra loro come il cibo. A chi non capita di fermarsi davanti a un ristorante etnico per leggere il menù e fantasticare sul gusto degli ingredienti e dei piatti misteriosi? Perché il cibo, si sa, è scoperta e coinvolge piacevolmente tutti i sensi.
Un’ottima notizia in questo senso arriva da Eat Offbeat, una startup americana creata appositamente per aiutare i rifugiati siriani, eritrei, nepalesi e iracheni a sentirsi un po’ a casa, cucinando i piatti tradizionali del loro paese per poi venderli take away tramite il sito.
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Il vero hummus, il pollo choila, il kebab di vitello con le spezie tradizionali, il cavolo pastellato, le cipolle ripiene di couscous e agnello. Tutti cibi che fanno venire fame a solo sentirli nominare.
Come funziona Eat Offbeat? In pratica assume i profughi, garantendo loro una nuova vita dignitosa a New York, tramite il cibo dei loro paesi d’origine. In questo modo, i rifugiati non rappresentano più un potenziale pericolo per l’opinione pubblica ma un valore umano ed economico notevole.
Fondata da Manal e Wissam Kahi, fratello e sorella emigrati a New York dal Libano solo due anni fa, il cui progetto oggi ha fatto il giro del mondo, contribuendo così a nutrire il mito del sogno americano. I rifugiati non solo vengono assunti, ma la startup diventa per loro una comunità in cui possono integrarsi nel tessuto sociale americano e grazie a cui possono imparare l’inglese.
Le tre cuoche che hanno portato la loro esperienza all’interno della startup sono Rachana Rimal dal Nepal, Nidaa Al Janabi dall’Iraq e Mitslal Tedla dall’Eritrea. Insieme a loro c’è anche lo chef Suarez de Lezo, che si occupa del lato igienico e formale, di perfezionare le quantità in base agli ordini senza mettere mano alle ricette.
Eat Offbeat lavora solo per gruppi di persone superiori a 10 e ogni menu (3 0 4 portate a testa) costa sui 20 $ per commensale e l’intero menu è visualizzatile dal sito e sembra tutto buonissimo. Dal canto nostro, speriamo vivamente che questa idea di integrazione faccia presto breccia anche nel nostro paese.
FONTE | So Bad So Good